Gli articoli che qui proponiamo alla lettura andrebbero letti – è un consiglio – contestualmente a “La grande ristrutturazione della finaa europea”. I movimenti in atto sono molto complessi, tecnicamente, ma non tanto da essere incomprensibli. Tutto può sempre esser ridotto alla domanda “chi paga per questa crisi?” Ma sconsigliamo davvero di “semplificare” il pensiero fino al punto in cui è giunto Paolo Cacciari su “il manifesto” di sabato 29 ottobre, profferendo la regina di tutte le sciocchezze: “chi se ne frega del default!”. Perché un conto sono le parole d’ordine di un movimento popolare (“noi il debito non lo paghiamo”), che vanno benissmo in quanto separano la responsabilità dei “semplici lavoratori” e della maggioranza della popolazione da quella di finanzieri, governanti e grandi possidenti; altra cosa è pensare che il debito, o il rischio default, siano problemi risolvibili con un puro atto della mate (“chie se ne frega, il problema non c’è più”). La realtà globale è un tutto molto complesso. Le categorie del pensiero aiutano a separare il decisivo dal contingente, aiutando a ritrovare il filo che altrimenti va perso nella giungla delle informazioni quotidane. Ma guai – guai veri! – a credere che dopo aver avuto un pensiero “forte”, in grado di illuminare la notte, non sia più necessario riattraversare il mondo per “rimetterlo con i piedi per terra”.
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da “il manifesto” del 30 ottobre 2011
Italia e Spagna a rischio contagio Verso un «piano di emergenza»
Galapagos
Fondo monetario, Unione europea e banche centrali (con la Bce in primo piano) si stanno preparando al peggio mettendo a punto un piano straordinario per fronteggiare un eventuale contagio di Italia e Spagna nella crisi del debito pubblico partita dalla Grecia. Quello che è in preparazione (secondo indiscrezioni dell’Ansa) è «una rete di sicurezza» per fare fronte a nuovi attacchi della speculazione contro Roma e Madrid. CONTINUA|PAGINA7 Galapagos
Fondo monetario, Unione europea e banche centrali (con la Bce in primo piano) si stanno preparando al peggio mettendo a punto un piano straordinario per fronteggiare un eventuale contagio di Italia e Spagna nella crisi del debito pubblico partita dalla Grecia. Quello che è in preparazione (secondo indiscrezioni raccolte dall’Ansa) è una «rete di sicurezza» per far fronte a nuovi attacchi della speculazione contro Roma e Madrid.
Dopo l’euforia di giovedì conseguente l’approvazione da parte del Consiglio europeo dell’aumento a mille miliardi del fondo salva-stati, venerdì i mercati hanno cominciato a riflettere, penalizzando soprattutto l’Italia. Un segnale della debolezza italiana, oltre che della scarsa credibilità del piano anticrisi, è arrivato dai risultati dell’asta dei Btp decennali (con i rendimenti schizzati al 6,06%) e dei Btp triennali che hanno toccato rendimenti sconosciuti dal 1999. Sembra, oltretutto, che i fortissimi aumenti dei tassi siano avvenuti nonostante la Bce abbia operato sul mercato secondario acquistando titoli per tentare di ridurne i rendimenti.
A drammatizzare un situazione già pesante ha contribuito ieri il Financial Times che titolava a tutta pagina: «L’Italia rovina l’atmosfera dopo l’accordo Ue». La «bibbia» londinese sottolineava come «i costi del finanziamento dell’Italia sono cresciuti a livelli record nell’era dell’euro, appena all’indomani dell’accordo tra i leader europei su di un piano per arrestare l’avanzata della crisi debitoria». Di più. Ft lancia un allarme, definendo il risultato dell’asta «un segno preoccupante del fallimento del tentativo di riguadagnare la fiducia dei mercati».
Quello che si teme è una fuga dei risparmiatori dai bond (metà del debito pubblico italiano è collocata all’estero) anche europei e una generale e eccessiva svalutazione dell’euro. Oltretutto, come osserva il Financial Times, «l’Italia il prossimo anno deve rinnovare titoli in scadenza per quasi 300 miliardi di euro rispetto a una montagna di debito alta 1.900 miliardi». Secondo il quotidiano «Berlusconi si trova sotto la forte pressione da parte della Ue e della Bce per fare avanzare rapidamente misure per risollevare l’economia in fase di stagnazione ed evitare di seguire Grecia, Portogallo, Irlanda nel cercare un salvataggio di ampia scala che andrebbe al di là della capacità di fuoco dell’eurozona».
Il piano in preparazione viene chiamato «contingency plan», e sarebbe in discussione oltre che a Washington (Fmi), Bruxelles (Ue) e Francoforte (Bce) anche con contatti (definiti per il momento «informali» con banche centrali e governi asiatici. Chiaro l’obiettivo: prevenire ad ogni costo l’onda d’urto globale che potrebbe derivare da un contagio ad economie «pesanti» dell’area euro a causa della crisi dei debiti pubblici. Sulla necessità di predisporre «un fuoco di sbarramento« sono convinti gli Stati uniti che da tempo reclamano dall’Europa aggiustamenti di bilancio. Oltre che dagli Usa, il via libera a questo nuovo piano è arrivato dalla Germania che ritiene «estremamente interessata ad avere una rete di sicurezza» e che in altre occasioni – vedi il salvataggio greco – ha preteso l’intervento del Fmi prima di impegnarsi nel finanziamento.
Questo nuovo piano (definito piano «B») scatterebbe in caso di peggioramento dello scenario attuale e, al momento, serve soltanto ad affiancare lo scenario principale, che si sta affrontando con le misure in corso. Che compredono, vale la pena ricordarlo, la riduzione del valore nominale del debito greco (con un taglio di almeno il 50%) il possibile rifinanziamento (per oltre 100 miliardi) del sistema bancario e la manovra correttiva sulla quale si è impegnata l’Italia con la lettera d’intenti. Certo è che le istituzioni finanziarie internazionali stanno ragionando su uno scenario pessimistico in via preventiva, «per approntare misure d’emergenza».
Ovviamente, se il piano decollerà il Fmi avrà bisogno di nuove risorse, ma i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) sono pronti e felici di intervire, mentre meno felici sono gli Usa che potrebbero perdere il Controllo del Fondo monetario. Intanto ieri da Pechino è arrivata la notizia che L’Efsf (il fondo salva stati) sta valutando se creare «veicoli per uso speciale, in seno al Fmi», come canale di denaro per ingrandire il fondo di salvataggio. Lo ha dichiarato Klauss Regling, chief executive dello stesso Efsf.
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Joseph Halevi
UNIONE EUROPEA
Fondo salva stati, un altro modo per allargare l’infezione
L’anno scorso Jan Toporovski, della Soas di Londra, osservò che una crisi del debito sarebbe emersa anche con un’eurozona ridotta a Germania, Francia e a pochi amici nordici. La crisi avrebbe potuto nascere dal debito pubblico belga o tulipano. vicino al 100% del pil. Il problema non sta infatti nella dimensione, quanto nel livello di debito che la Bce rifiuta di sostenere. A fondamento dell’Unione Monetaria Europea vi é l’idea che la banca centrale non debba rifinanziare l’indebitamento pubblico e che, invece, i migliori giudici delle finanze pubbliche siano i mercati privati di capitale e le annesse agenzie di rating. Ne consegue che la Bce non solo é nata rachitica senza una funzione istituzionale di supporto, ma produce essa stessa la paura nei confronti della solvibilità dello Stato infettando così i titoli pubblici.
L’impianto dell’Unione monetaria permette invece al sistema delle banche centrali di comperare prioritariamente titoli presso il mercato privato, perfino quelli più tossici (collateralized debt obligations). L’infezione é pertanto insita nel regime monetario istituzionale, che reagisce con «operazioni di emergenza», sebbene ormai ripetute più volte per timore di un crollo totale. Si può quindi capire perché la creazione dell’Efsf (il fondo salva stati-banche) abbia portato con sé l’infezione istituzionale, orientandosi su veicoli di investimento opachi senza minimamente ridurre la crescente tossicità dei titoli pubblici. Per sottolineare e mantenere il carattere eccezionale dell’intervento della Bce agli stati viene richiesto di porre in atto delle misure di drastica deflazione reale ottenendo in tal modo il grande successo di aver fatto aumentare enormemente il debito greco nel giro di poco più di un anno.
L’invio di una missione in Asia per ottenere soldi cinesi e giapponesi costituisce semplicemente l’allargamento del principio per cui la banca centrale non deve rifinanziare il debito pubblico ai tassi decisi dalla banca stessa, come fa la Federal Reserve Usa. I mercati europei sono asfittici per via della tossicità continuamente iniettata nei buoni del tesoro, le banche sono in uno stato patetico, quindi i denari si cerchino presso chi li ha: Cina e Giappone. Tuttavia questi soldi dovranno essere assicurati. Saranno cioé soggetti ad «impacchettamenti» in credit default swaps e via dicendo, brodo di coltura dei peggiori virus finanziari. La securitization virale appare però ineluttabile, dato che ai prestatori cinesi e nipponici si balena molto concretamente la possibilità di veder crollare il valore dei titoli che compreranno. Dal punto di vista cinese la valutazione sarà soprattutto di natura opportunistica e non strettamente economica. La Cina é a sua volta avviluppata in una gigantesca bolla speculativa e non vede certo di buon occhio l’idea di subire perdite nelle somme spese per l’acquisto titoli europei, cronicamente malati. Ma l’Unione europea é anche il maggior partner commerciale di Pechino.
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da Il Sole 24 Ore
Gli indignados di Wall Street spiazzano anche l’Fmi
di Paul Krugman
Ho visitato lo Zuccotti Park, il parco newyorchese dove sono radunati gli indignados americani, il 20 ottobre. Michael Moore ha tenuto un breve discorso, diffuso mediante microfono umano, che è quel sistema in cui un manifestante a portata di udito dal palco ripete quello che sta dicendo l’oratore a beneficio di quelli più distanti. (Per inciso, sento dire che la destra accusa i manifestanti di Occupy Wall Street di essere antisemiti: beh, hanno dimenticato di menzionare l’eccellente band di musica klezmer). Complessivamente, sono rimasto colpito nel vedere quanto poco minacciosa appaia tutta la faccenda: una folla di modeste dimensioni, pacifica, composta in gran parte da giovani (era una serata fredda e ventosa) ma anche con parecchie persone di mezza età, nessuna sporcizia e trasandatezza.
Insomma, non certo il genere di cosa che si penserebbe possa seminare lo scompiglio nella politica nazionale.
Eppure è quello che è successo, e questo può voler dire solo una cosa: l’imperatore era nudo e tutto quello che serviva era una voce onesta e sincera che lo facesse notare.
Quanto a come abbia fatto l’imperatore a denudarsi a tal punto, leggete l’articolo di Ari Berman sul “fronte del rigore” e sul suo predominio a Washington, pubblicato il 19 ottobre su The Nation. Berman parla di «un paradosso importantissimo della politica americana negli ultimi due anni: com’è possibile che nel pieno di una crisi occupazionale enorme – quando è dolorosamente evidente che l’economia non riesce a creare abbastanza occupazione e la stragrande maggioranza dei cittadini vuole che le autorità concentrino le loro iniziative su questo problema – il deficit sia emerso come il problema più pressante?». E aggiunge: «E perché, quando i dati, in tutto il mondo, mostrano chiaramente che le misure di austerity faranno crescere la disoccupazione e ostacoleranno la crescita, invece di accelerarla, i fautori del rigore godono ancora di così tanto credito?».
Una spiegazione la si può trovare nella rilevanza del potente e aggressivo “fronte del rigore”, una coalizione di politici, fanatici e opinionisti che si spaccia per moderata ed è considerata, senza possibilità di contestazioni, come la guardiana dell’assennatezza economica.
La cosa davvero straordinaria è che la reputazione di saggezza di queste persone persiste a dispetto delle figuracce in serie che continuano ad accumulare.
C’è stata l’esaltazione dell'”austerità espansiva”, una tesi la cui infondatezza economica è stata messa a nudo non solo, come ricorda Berman, da istituti di ricerca come il Center on Budget and Policy Priorities, ma anche dal Servizio ricerca del Congresso e dal Fondo monetario internazionale. Sì, avete capito bene, il Fondo monetario internazionale.
C’è stata l’elevazione a campione della responsabilità di bilancio del clownesco Paul D. Ryan, il presidente della commissione bilancio della Camera dei rappresentanti, e in generale le lance spezzate in suo favore quando già all’inizio del 2010 si era capito che Ryan non era né serio né onesto.
E c’è stato, naturalmente, il fallimento totale sul fronte dei dati economici: le cure di risanamento hanno portato ovunque a un aumento della disoccupazione e gli interessi sui titoli di Stato sono rimasti ostinatamente bassi nonostante la crisi debitoria che secondo questa gente incombeva su di noi.
Berman non spiega fino in fondo le ragioni di questa supremazia del “fronte del rigore”, ma la documenta con efficacia. E questo è il punto: è un’egemonia talmente assoluta che le opinioni alternative non vengono neppure ascoltate. Ecco perché qualcosa, qualunque cosa che facesse breccia in questa ideologia poteva produrre un effetto importante.
Grazie, Occupy Wall Street.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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