“La più grande minaccia alla crescita economica dell’Italia non è il debito pubblico ma l’articolo 18”. A sostenerlo è il Wall Street Journal in un editoriale dal titolo, “Roma contro i sindacati”, nel quale lamenta come questa norma sia sottovalutata dalla stampa internazionale quando si affronta il tema della scarsa crescita italiana. L’articolo 18 “è un relitto degli anni ’70 che rende impossibile licenziare anche il più incompetente dei dipendenti ed in modo perverso causa ciò che dovrebbe prevenire: la disoccupazione”, scrive Matthew Melchiorre sul quotidiano del grande capitale finanziario.
Sembra quasi di sentire le ossessioni del ministro Sacconi, si tratta invece di un docente della filiale bolognese della statunitense “John Hopkins University”, insomma anche lui un professore, un “tecnico” come quelli che compongono il governo Monti ed al quale ha portato soccorso alla vigilia del viaggio negli Stati Uniti.
“A causa di questa norma, l’Italia è diventata il secondo peggior Paese in cui fare impresa, dopo la Grecia, secondo la classifica stilata dall’Ocse”, continua l’autore. Che cita poi uno studio dell’Organizzazione parigina, secondo cui, “mentre le aziende italiane aumentano il numero dei dipendenti di appena il 20% nei primi due anni di vita, quelle americane segnano un incremento del 120% nella forza lavoro”. Una affermazione questa piuttosto discutibile. Secondo l’ultimo Non Farm Payrolls, il dato riguardante la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore non agricolo da parte delle aziende americane, reso noto venerdi scorso, l’economia americana ha creato 243mila posti di lavoro, mentre il tasso di disoccupazione a gennaio e’ sceso all’8,3% dall’8,5% di dicembre. Un dato migliore rispetto alle stime degli analisti. Ma il dato è tutt’altro che positivo in termini di percentuale di partecipazione della popolazione all’occupazione. Se infatti andiamo ad analizzare questo parametro scopriamo che addirittua il dato è il peggiore dal 1980: Ovvero, solo il 63.7% della popolazione è occupata, e siamo ai minimi assoluti da oltre 30 anni.
L’editorialista statunitense con frequentazioni bolognesi, evidenzia poi l’ostruzionismo dei sindacati e la scarsa volontà della classe politica di cambiare la situazione. “Anche la più piccola riforma di questa norma è sempre stata impossibile, soprattutto per la codardia della classe politica italiana di sfidare il potere dei sindacati”.
Adesso però, secondo Melchiorre, il premier Monti e il ministro Fornero “stanno preparando il terreno per la grande battaglia di questo mese, cioè “la riforma dell’articolo 18 e di altre norme sul lavoro, che per oltre mezzo secolo hanno impedito all’Italia di crescere”.
L’editorialista felsineo-americano cita l’Ocse a sostegno delle proprie tesi, eppure proprio da un alto funzionario dell’organizzazione arriva una valutazione piuttosto diversa sulla crociata contro l’art.18 scatenata dal governo Monti. In una intervista a Sky Tg24, il Capo-economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, ha sostenuto che “l’articolo 18 in quanto tale forse non serve: se dobbiamo proteggere un lavoratore che si sente maltrattato dobbiamo anche avere un sistema di giustizia amministrativa che permetta di implementare le decisioni in tempi rapidi altrimenti l’articolo 18 resta un pezzo di carta che non cambia molto”. “Sappiamo molto bene – ha concluso il Capoeconomista dell’Ocse – che i problemi del mercato del lavoro in Italia sono altri: l’accesso del lavoro ai giovani, gli ammortizzatori sociali che non ci sono, i meccanismi che permettano di allocare i lavoratori”.
Il prof. Matthew Melchiorre avebbe potuto dare un’occhiata anche a quanto detto dal noto imprenditore e finanziere De Benedetti, in una recente confererenza all’università Bocconni dove ha ammesso candidamente che: “Il Gruppo Espresso in tre anni ha mandato via 800 persone su 3.000 senza incontrare ostacoli nell’articolo 18”, aggiungendo che non è vero che “l’America non investe in Italia per colpa dell’articolo 18. Mi auguro che il ministro Fornero e il governo Monti cambino idea” . Non solo, avrebbe potuto citare la stessa Confindustria, la quale in un sondaggio tra i propri aderenti ha rilevato che, fra le cause del mancato ampliamento delle aziende, gli imprenditori mettono al primo posto l’insufficienza delle domanda (segnalata dal 48,5 per cento del campione), seguita dalla mancanza di capitali (47,9), mentre gli ostacoli sindacali finiscono di gran lunga all’ultimo posto della classifica (con solo il 6,5 per cento).
“Vedo con favore che alcune parti sindacali cominciano a dire che (l’art.18, NdR) deve servire a una cosa specifica, che io ritengo anche sacrosanta, e cioe’ proteggere i lavoratori da un abuso nel caso di licenziamento senza causa giustificata”, ha precisato sempre il capo-economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan. Il che è esattamente quanto prevede l’art.18 che si vorrebbe abolire, anche se, occorre ricordare, che la giusta causa è tutelata ancora più dall’art. 2119 del Codice Civile che dallo stesso art.18. Vogliono abolire anche quello? La vediamo difficile.
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Sergio Martella
Il vero problema che impensierisce il post-liberismo dei pescecani della finanza mondiale è la necessità di eliminare ogni residuo riferimento alla sovranità dei lavoratori nei confronti dell’economia. In altre parole la dittatura delle multinazionali si sostituisce agli stati nazionali senza alcuna legittimità e legalità che non sia il puro arbitrio. Senza mediatori istituzionali, senza reciprocità democratica tra lavoro e impresa, senza la terziarietà di un interesse sociale comune. E’ dittatura del capitale. Puro fascismo distillato.