Menu

La Grecia, spremuta e lasciata andare?

Naturalmente, però, c’è chi sta guadagnando moltissimo dalle imposizioni cui la Grecia è stata sottomessa prima con Papandreou e ora con Samaras. Le privatizzazioni e i fallimenti a catena hanno messo “sul mercato” asset rilevanti a prezzi stracciati. Ma tutto prima o poi ha una fine.
E Perfino IlSole24Ore annuncia che quella strada ormai è chiusa.

Dopo 30 mesi di aiuti la Troika ha fatto flop sulla Grecia. Adesso si compra solo tempo (e c’è chi pensa di lasciare andare Atene alla sua dracma)

Vito Lops
Sono trascorsi più di due anni dal primo salvataggio (110 miliardi) della Grecia orchestrato dall’Eurozona. Da allora, complici previsioni ottimistiche e calcoli errati sul moltiplicatore fiscale (i danni sul Pil ipotizzati, derivanti dalle riforme di austerity, erano stimati con una leva dello 0,5 mentre in realtà il “moltiplilcatore dei danni” è risultato superiore a 1) da parte delle autorità europee hanno complicato le cose.

Così, a 30 mesi di distanza dall’inizio della crisi greca, c’è stata un’involuzione concettuale. Siamo passati dal tentativo di salvare un Paese dal default, all’acquisto di tempo a tassi elevatissimi senza la certezza di una via d’uscita (dopo aver già provveduto a una ristrutturazione del debito). Lo dimostra il fatto che a inizio settimana Atene ha emesso bond a 1 e 3 mesi per un controvalore da 4 miliardi di euro al tasso schizofrenico del 4 per cento. È chiaro – mentre ieri abbiamo assistito a uno sciopero europeo anti-austerity senza precedenti con proteste in contemporanee nelle piazze di Roma, Lisbona, Atene e Madrid – che la situazione non è sotto controllo. Tanto più che adesso – a giudicare dalle preoccupazioni dei gestori che seguono ogni giorno da vicino l’andamento dei mercati finanziari – anche la preoccupazione sulla Francia, e di un suo possibile contagio, è diventato un tema che preoccupa gli ambienti finanziari.

Ed è per questo motivo che, seppur al momento siano solo voci e/o sensazioni, cresce il partito di chi crede che l’Unione europea stia semplicemente attendendo che la situazione economica e finanziaria si stabilizzi in Italia e Spagna (gli unici Paesi “too big to fail” di quelli sinora contagiati dalla Grecia) per poi invitare i più piccoli (come la Grecia) gentilmente a lasciare l’euro.

È un’ipotesi – peraltro rilanciata anche dall’economista americano Martin Feldstein in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore – di cui probabilmente si sentirà parlare più spesso nei mesi a venire. Vediamo cosa ne pensano gli operatori dei mercati.

Le autorità (Ue-Bce-Fmi) comprano tempo senza una strategia
«Il circolo vizioso del debito greco è ormai troppo grande per risolversi positivamente e autonomamente, la Troika sta comprando ulteriore tempo per permettere a chi deve stabilizzarsi di farlo, dopodiché si potranno valutare casi di ritorno alle valute nazionali – spiega Matteo Paganini, a capo del team di ricerca di Fxcm -. C’è ormai la consapevolezza che i rischi di continuare imperterriti secondo la linea percorsa finora sono molto più grandi rispetto ai benefici che ne potrebbero derivare da un’uscita dei Paesi in difficoltà. La situazione sta sfuggendo di mano».

Secondo Alberto Furno, ceo di Nemesis am «Grecia e Troika arriveranno a concludere una ristrutturazione del debito greco e un’uscita della Grecia dall’ Eurozona nella prima metà del 2013, che dovrebbe avere come principale fattore catalizzatore il crollo dell’attuale coalizione politica, con il nuovo governo che si opporrà alle misure di austerità. L’uscita della Grecia sarà, ovviamente, facilitata dalla Troika e sarà nel modo più controllato possibile. Mentre il Portogallo avrà probabilmente bisogno di un secondo bailout da parte della Bce prima della fine del 2013, restando ingolfato nella spirale austerità/recessione come la Grecia. Potrebbe, dunque, seguire lo stesso cammino di Atene e uscire dall’Eurozona nel 2014. Questo scenario che ritengo possibile al 50% presuppone che si riesca a stabilizzare Spagna, Italia e Francia, fatto che non deve essere dato per scontato».

Una situazione fuori controllo: lo dicono i numeri
In questi giorni la Grecia sembra aver fatto dei grandi passi avanti per assicurarsi un futuro nel breve periodo nell’Eurozona. La scorsa settimana il Parlamento ha approvato un controverso pacchetto di austerity e misure di riforma strutturale. Ma che la situazione sulla gestione della crisi ellenica sia fuori controllo, al di là di tamponi temporanei, lo dicono i numeri. «Il nuovo programma – spiega Darren Williams, Economista di AllianceBernstein – rappresenta il proseguimento di un approccio che si è dimostrato spettacolarmente fallimentare da applicare. Basti confrontare le ultime proiezioni dell’economia greca e delle finanza del settore pubblico con quelle fatte all’inizio del programma. Quando a marzo 2010 venne accordata la facilitazione al prestito, ci si aspettava una contrazione dell’economia cumulativa del 6,6% per il 2010 e il 2011 con un accenno di ripresa a partire da quest’anno».

«Il tasso di disoccupazione sarebbe dovuto salire al 15,2% quest’anno e il debito del settore pubblico al 149,7% del Pil nel 2013. I fatti si sono dimostrati ben diversi. Secondo gli ultimi dati, l’economia greca si è contratta dell’11,7% nel 2010 e 2011, e le proiezioni ufficiali suggeriscono che calerà al 9,9% nel 2012 e 2013. Nonostante questo calo, le prime proiezioni per il mercato del lavoro si sono dimostrate troppo ottimistiche: il tasso di disoccupazione ha raggiunto oggi il 25,4% e continua a salire. Naturalmente questo programma ha avuto un forte impatto sia sull’economia che sulla popolazione. Ma ci sono stati dei risultati in termini di miglioramento della sostenibilità del debito? La risposta è negativa. Anziché raggiungere il 149,7% del Pil nel 2013, le ultime proiezioni vedono il debito governativo salire al 191,6% del Pil nel 2014.
La natura autodistruttiva del programma greco porta importanti lezioni per gli altri Paesi in difficoltà dell’Eurozona».

Chi è pesato sul debito greco
«Dopo aver accettato sostanziali perdite a seguito della ristrutturazione del debito governativo in marzo, gli investitori privati ora possiedono più di 70 miliardi di obbligazioni governative greche – prosegue Williams -. Gran parte del debito governativo di 300 miliardi di euro della Grecia appartiene ai creditori ufficiali (inclusi circa 45 miliardi di obbligazioni detenute dalla Bce). Di conseguenza una seconda ristrutturazione avrebbe un impatto piuttosto significativo sulle proiezioni del debito se solo venisse coinvolto il settore ufficiale. E vista la reazione negativa pubblica che si creerebbe nelle nazioni creditrici, non è una soluzione che la maggior parte dei governi desiderano abbracciare. Nonostante i recenti progressi di Atene, i commenti ufficiali dall’Eurozona suggeriscono che i ministeri delle finanze non approveranno la prossima tranche del prestito alla Grecia».

Come sarebbe Atene senza euro?
A questo punto, quali sarebbero le ricadute economiche se davvero nel prossimo futuro le autorità europee la abbandonassero al suo destino?
«Provocherebbe nel breve e medio periodo un immenso deflusso di capitali verso l’estero, un crollo totale del sistema bancario (corsa al ritiro dei depositi), un forte aumento delle tensioni sociali, una caduta del Pil e un forte incremento del tasso di disoccupazione. Tali conseguenze sarebbero ancora più gravi se l’uscita fosse disordinata, ovvero non controllata», spiega Filippo Diodovich di Ig.

«È uno scenario che potrebbe oscillare tra l’assenza di risorse per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici al ritorno a una valuta locale e alla capacità della banca centrale di stampare moneta. I rischi di inflazione sono legati sia al valore in valuta locale dell’import sia all’impatto della “monetizzazione” della spesa pubblica», spiega Paolo Balice, presidente di Aiaf, Associazione italiana degli analisti finanziari.

Per Nicolò Nunziata, strategist di Jc&Associati «l’uscita di un Paese va pianificata e preparata. Altrimenti si rischierebbe il caos. Se Atene dovesse rispettare il budget appena approvato, dal prossimo anno sarà in surplus primario, con le entrate in grado di superare le uscite. A quel punto, soprattutto se l’Europa permettesse una riduzione del debito e degli oneri finanziari, il Paese dopo avere svalutato potrebbe ricominciare a crescere. Si tratterebbe perciò di una uscita ordinata».

A parer di Paganini «nel caso in cui dovessimo assistere a un’uscita della Grecia dall’euro dovremmo considerare l’enorme ammontare di debito che la popolazione si troverebbe a dover ripagare. Questo è il punto da cui partire, un debito che verrebbe riconvertito in valuta nazionale che vedrebbe una consistente svalutazione non appena introdotta (stimabile tra il 55% ed il 65%). La svalutazione della dracma farebbe scendere anche il Pil (che attualmente gira intorno ai 200 miliardi l’anno) andando a compromettere ulteriormente le capacità di ripagare i debiti esteri. Nel breve periodo è dunque possibile assistere a forti vendite di dracma che avrebbero un effetto depressivo (inizialmente), una possibilità che dev’essere prontamente combattuta tramite la stampa di moneta liquida da iniettare nel sistema. Stampando moneta si potranno stipendiare i dipendenti pubblici e statali, permettendo alla macchina burocratica di rimanere in piedi e un’ipotesi da non sottovalutare sarebbe quella che prevede il riacquisto di debito estero e l’offerta di tassi remunerativi per il mercato, ai quali rifinanziarsi – continua Paganini -. Nel medio periodo l’aumento delle esportazioni permetterebbero di rimettere in moto il volano economico, permettendo di tornare nel giro di una decina d’anni a livelli di crescita sostenibili che potranno vedere, poco a poco, un ridimensionamento degli alti tassi che inizialmente si dovranno scontare sul mercato, tassi che se comparati agli attuali risultano essere anche accomodanti».

Le conseguenze – secondo Alexandre Hezez, direttore investimenti di Convictions Am – «nessuno le sa esattamente, ma sicuramente sarebbero catastrofiche e non è un caso che la maggioranza della pubblica opinione greca voglia restare nell’euro. Svalutazione di una nuova eventuale “neo-drachma” del 60% almeno, fallimenti a catena, iperinflazione, crollo del potere d’acquisto della popolazione, dissoluzione di uno stato già altamente disfunzionale, rischio di ritorno di regimi più o meno autoritari e di espulsione dall’Unione Europea».

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *