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Giappone in recessione, esempio per l’Europa

Il Giappone mostra all’Europa la via che porta al declino economico. Da oltre due decenni, infatti, Tokyo è in stagnazione economica, nonostante la politica monetaria “accomodante” – tradotto: tassi di interesse decisi dalla banca centrale a zero – e una capacità di innovazione tecnologica ai massimi livelli (subito dopo gli Usa, alla pari con Germania e Cina).

Poi l’arrivo di Shinzo Abe, liberale ultraconservatore e decisamente guerrafondaio, che ha usato tutte le armi a sua disposizione: politica monetaria espansiva, stimoli fiscali e riforme strutturali. Proprio quello che l’Unione Europea e la Troika “consigliano” a ogni paese del vecchio continente (con forti riserve tedesche sulla politica monetaria espansiva, per di più). Il primo anno di governo Abe era sembrato benedetto da queste innovazioni: crescita di nuovo apprezzabile, ancorché moderatissima (poco più dell’1%), consensi in salita, applausi della comunità finanziaria.

Stamattina la pubblicazione dei dati sull’andamento del Pil nipponico hanno bruciato quasi due anni di ottimismo: nel terzo trimestre c’è stata una caduta dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, che già di suo era andato molto male (-1,9). Su base annuale la previsione diventa per un crollo dell’1,6%, visto che due trimestri consecutivi negativi sono considerati ufficialmente “recessione tecnica”. Immediato il tracollo della borsa di Tokyo, che ha lasciato sul campo il 2,9%, portando scompiglio anche nelle piazze europee, tutte in negativo all’apertura.

Le “attese degli analisti” erano decisamente diverse, almeno moderatamente positive. E su un rialzo del Pil faceva conto lo stesso Abe per poter procedere allo scioglimento della Camera Bassa e quindi rafforzare il suo potere interno.

Cos’è accaduto al “magnifico piano” dei liberisti giapponesi? Si è incagliato sui suoi stessi presupposti. Le “riforme strutturali” hanno tolto ai cittadini diversi benefici del welfare, costringendoli a spendere per beni e servizi che prima erano semigratuiti; le iniezioni di liquidità nel circuito finanziario hanno vanificato ogni tentativo di riduzione del debito pubblico (che viaggia intorno al 200% del Pil, il dato più alto dellOcse); l’aumento dell’Iva dal 5 all’8% (scattato in aprile) ha impattato pesantemente sia i consumi privati (-0,9%) che gli investimenti (-6,7); e senza miglioramenti del deficit il prossimo ottobre l’Iva salirà ancora, al 10%. Insomma: come la manovra del governo Renzi (la “clausola di salvaguardia” fissa già il passaggio al 25,5%). Gli investimenti pubblici, in omaggio alla teoria liberista, sono stati modestissimi, anche se in lieve aumento (+0,3%).

Risultato: la borsa è stata drogata per un paio d’anni, le imprese hanno smesso di investire nella priduzione casalinga preferendo la finanza o le delocalizzazioni; la popolazione ha congelato i consumi i attesa del peggio. Quando l’effetto magico della magiore liquidità è finito il panorama si è mostrato più desoalto di prima.

I margini di manovra a disposizione della banca centrale e del governo (lì non c’è alcuna “indipendenza” rispetto all’esecutivo) sembrano ora decisamente ridotti al minimo. Resta la via dei drastici tagli al welfare e alla spesa pubblica, che è aumentata negli ultimi due anni a causa dei programmi di riarmo in funzione anticinese. Buon divertimento, Abe…

 

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