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Il fascino discreto della crisi economica. Intervista a Richard Walker (Prima parte)

Il ciclo di interviste a teorici eterodossi a cura degli attivisti della Campagna Noi Restiamo continua. Siamo ormai arrivati all’ottava intervista e la parola va a Richard Walker. Walker è professore emerito presso il Dipartimento di Geografia della University of Berkeley (California).

La sua ricerca si concentra sulla geografia economica, lo sviluppo regionale, il capitalismo e la politica, le città e l’urbanizzazione, le risorse e l’ambiente, la California e infine su tematiche legate a classe e etnia. Il suo lavoro più conosciuto per quanto riguarda la geografia economica è il libro The Capitalist Imperative: Territory, Technology and Industrial Growth (Blackwell, 1989), scritto con Micheal Storper. Fa parte del Board of Directors del progetto “Living New Deal”, che punta a raccogliere e mostrare i risultati raggiunti dal piano di riforme economiche e sociali promosso da Franklin Roosevelt. 

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Noi Restiamo:  L’emergere della crisi ha confermato la visione di alcuni economisti eterodossi secondo la quale il capitalismo tende strutturalmente ad entrare in crisi. Tuttavia, le visioni sulle cause del disastro attuale divergono. Una posizione piuttosto diffusa (appoggiata ad esempio dai teorici della rivista “Monthly Review”) è quella che attribuisce la crisi al seguente meccanismo: la controrivoluzione neoliberista ha portato ad un abbassamento della quota salari; per sostenere la domanda privata è stata quindi necessaria un’enorme estensione del credito e lo scoppio della bolla nel 2007 ha interrotto il meccanismo. Altri pensatori, come il marxista americano Andrew Kliman, ritengono che le cause della crisi non si possano trovare nella distribuzione dei redditi e che la depressione sia spiegabile tramite l’andamento del saggio tendenziale di profitto. Una visione tutta improntata sulla produzione. Lei cosa ne pensa?

Richard Walker: Sì, il capitalismo tende a creare da solo le condizioni per la crisi, per via della sua tendenza a “esagerare” nel processo di accumulazione (quella che qualcuno di noi chiama “sovra-accumulazione”). Questo può avere varie dimensioni, ma si tratta sostanzialmente di una corsa al rialzo, divenire più ricchi e sopravanzare altre imprese, altre città o altre nazioni, il che genera troppo investimento, troppe fabbriche e troppe imprese, e troppi prodotti sul mercato (sovrapproduzione). L’esposizione più chiara di questo fenomeno è probabilmente quella di Robert Brenner sulla crisi globale dei primi anni 2000.
Questo sarebbe vero in ogni caso, sia se i salari rimanessero uguali o cadessero, o se si sviluppassero bolle creditizie.
Comunque, reprimere i salari rispetto all’andamento dei prezzi e dei profitti fa parte di questa corsa al rialzo, specialmente dopo un periodo di bassi profitti e i capitalisti sono stati in grado di farlo con successo a partire dagli anni ’70 del ‘900. Si può descrivere anche questo fatto come una normale tendenza del capitalismo, a meno che la classe lavoratrice non sia in grado di dare una risposta per mantenere la crescita dei salari (cosa che ogni tanto ha fatto).
Sì, minori salari riducono il consumo della popolazione lavoratrice, e siccome le persone ricche tendono a risparmiare di più, non possono mantenere gli stessi livelli di consumo (per quanto amino consumare!). Questo è un problema anche per l’industria, cioè il dover cambiare velocemente o all’improvviso la produzione, re-indirizzandola verso beni di lusso. Comunque sia, le imprese ci sono riuscite abbastanza bene negli ultimi 2-3 decenni.
Infine, c’è un problema di sovra-accumulazione finanziaria e bolle. Anche questa è una tendenza naturale del capitalismo, a causa del ruolo chiave del credito/debito per l’investimento capitalistico e per il consumo.
Le imprese, i governi e le famiglie sono facilmente sedotte dall’indebitamento eccessivo e le banche   e le imprese finanziarie sono obbligate a spingere i loro “clienti” ad indebitarsi per via della competizione fra loro.
Se i salari sono stagnanti, come lo sono stati negli USA nell’ultimo secolo, c’è la tentazione di compensare le perdite con i prestiti, come hanno fatto molti lavoratori statunitensi negli anni ’90 e 2000, per comprare case, macchine, vacanze e pagare l’iscrizione al college dei figli. Si aggiunga a questo il ruolo essenziale dell’investimento da parte dei capitalisti , dei finanzieri e di coloro che hanno un patrimonio in “asset finanziari”, che il cui rendimento è dato dagli interessi  ma soprattutto dalll’inflazione del loro valore; come ha sottolineato Hyman Minsky, le bolle azionarie sono una parte fondamentale di ciascuna grossa bolla finanziaria e di ciascuna crisi (il real estate è un altro asset finanziario, insieme alle azioni, ai bond e a tutti gli altri strumenti che i finanzieri hanno inventato per tentare gli investitori/speculatori, ed è anche l’asset principale su cui le persone comuni spendono i propri soldi). 

NR: Analizzando l’andamento dell’economia mondiale, si può notare che l’economia americana, seppur in maniera ancora debole, appaia in ripresa, mentre la maggior parte delle economie europee arranca. É quindi sensato pensare che vi siano elementi peculiari dell’Unione Europea e dell’Eurozona che hanno contribuito ad aggravare la crisi. Quali sono questi elementi e qual è stato il ruolo da essi giocato? Più in generale, per alcuni l’UE è una struttura neutra, con anzi un potenziale di maggiore democratizzazione, per altri è un’istituzione di classe e uno strumento di imposizione di politiche conservatrici. Qual è il ruolo di classe giocato dall’Unione Europea?  

RW: No, l’economia globale si sta a malapena muovendo: non granchè come ripresa. Gli USA stanno crescendo un po’, il Giappone è tornato a crescita zero come l’UE, la Cina sta crescendo ma ad un tasso che è la metà di quello di prima e tutte le nazioni trainate dalla Cina o dall’Europa ora sono nei guai (la domanda del petrolio è in discesa, da qui il crollo dei prezzi) – sto parlando di Brasile, Russia, Iran, Australia, ecc. 
La crisi del 2007-2012 (o più), che è stata peggiorata enormemente dall’implosione finanziaria, non è stata del tutto superata, siamo ben lontani dal suo superamento. L’eccesso di debito bancario è ancora lì, specialmente in Cina e in Europa, e gli stati hanno assunto su di se enormi debiti per salvare le loro banche e coprire i deficit fiscali. Con una crescita così bassa, è stato impossibile coprire i deficit o ripagare i debiti, che pendono come una spada di damocle sul collo dell’economia globale.
Questi debiti, comunque, stanno venendo ridotti per via del basso costo del denaro (ossia bassi tassi di interesse) e di refinanziamento.
Sfortunatemente l’ortodossia neoliberale è come è sempre stata l’ortodossia liberale: i debiti vanno pagati, i governi non dovrebbero spendere in deficit- come se gli stati fossero semplicemente grandi famiglie, cosa che non sono, perché hanno il potere di tassare, creare moneta, svalutarla e, occasionalmente, possono rifiutarsi di pagare i debiti.
Keynes è stato dimenticato, così come sono state dimenticate le lezioni di Roosevelt e della Grande Depressione. Perciò l’austerità è diventata l’ideologia dominante.
Fortunatamente per gli Stati Uniti, la FED ha ignorato l’ideologia dominante nel paese e ha immesso 3-5 mila miliardi di dollari nell’economia sin dal 2009. Perfino la Gran Bretagna ha fatto lo stesso, nonostante i tagli al bilancio effettuati da David Cameron e dal suo partito. La Cina ha grosse riserve finanziarie e perciò ha potuto puntellare le banche troppo esposte mentre contemporaneamente si è impegnata in spese per infrastrutture. L’Unione Europea, invece, ha stupidamente insistito sui tagli alla spesa uniti ad una riduzione del debito. Non si sarebbe potuto fare nulla di peggio, e i greci lo sanno.
Le politiche di austerità europee sono politiche “di classe”? Sì e no. Vi sono 5 effetti al lavoro: 1) un’ortodossia ideologica con poche voci critiche fra economisti e banchieri; 2) l’attuale egemonia del capitale finanziario, che crede nella moneta forte e nel pagamento dei debiti, e a cui piace l’euro forte nonostante questo danneggi l’industria europea e le esportazioni; 3) la soddisfazione delle classi dominanti per come stanno andando le cose poiché, dopo tutto, stanno diventando sempre più ricchi giorno dopo giorno – nessuno sta veramente soffrendo fra gli appartenenti alle upper class, non vi pare? ; 4)  un nazionalismo (razzismo?) nord-sud in Europa, in cui i tedeschi, i danesi, ecc pensano dei greci, degli spagnoli e altra marmaglia latina ciò che la borghesia ha sempre pensato dei  poveri, ossia che sono pigri, spendaccioni, scioperati che non vogliono pagare i propri debiti (e poco importa se sono stati i banchieri del nord che hanno stupidamente prestato tutto quel denaro per niente!); 5) una certa ideologia tedesca riguardo all’inflazione e il loro fantastico carattere laborioso (nonostante il fatto evidente che l’economia tedesca stia anch’essa andando male ora e abbia bisogno che l’intera Europa prosperi per le sue esportazioni!). 

1 parte / continua

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