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Anche la logistica è “cosa loro”

Siamo nell’epoca in cui le questioni sociali diventano temi caldi, usati dall’informazione per alimentare click e vendite, mentre le difficoltà si fanno sempre più evidenti, e la guerra tra poveri non riesce a trovare tregua.

Nei giorni scorsi, tutta la stampa ha sfruttato la notizia della uccisione di Adil Belakhdim, sindacalista di SiCobas, travolto da un tir durante un presidio in uno stabilimento LIDL a Briandate, nel novarese. Altri due manifestanti sono in ospedale, feriti.

Il presidente del Consiglio ha chiesto timidamente di far luce, e intanto lo scempio delle società logistiche, non si attenua. Quel che emerge in modo evidente però, sono le contraddizioni di un settore che promuove sostenibilità e ecologia, ma continua a sfruttare i lavoratori al limite della schiavitù: dipendenti sottopagati, che lavorano in ambienti poco sicuri, privati dei loro diritti, persino quello di manifestare, e che subiscono qualsiasi tipo di sopruso.

Come siamo arrivati a questo punto?

Dagli anni Novanta, il settore logistico ha assunto una rilevanza sempre più crescente all’interno del tessuto economico capitalistico, complici la globalizzazione e lo sviluppo dell’e-commerce, che insieme al dinamismo concorrenziale, hanno spinto le società a ridurre illecitamente i costi di manodopera per proporsi sul mercato a prezzi competitivi.

L’apertura economica mal regolamentata, a cui ha condotto la globalizzazione, ha favorito la frammentazione delle fasi produttive, permettendo la dislocazione della filiera, secondo le esigenze di società e imprese, e influenzando in modo determinante il mercato del lavoro.

In sostanza, le multinazionali hanno sparso per il mondo i loro centri di produzione, mantenendo le sedi direzionali nel paese di origine, questo ha consentito una sostanziale riduzione dei costi e uno sviluppo di notevole portata del settore della distribuzione che ha approfittato di escamotage contrattuali per trarre profitto, ledendo i diritti dei lavoratori, fino a distruggerne la dignità.

Le fasi operative più costose, della nuova logistica industriale, sono l’immagazzinamento e il trasporto: è qui che la mano d’opera è numerosa e fondamentale, ed è qui, quindi, che il settore industriale può avere maggior margine competitivo.

Queste fasi possono essere svolte interamente dalle aziende, oppure affidate ad operatori esterni, come accade in Italia, in cui le società preferiscono, da sempre, delegare queste fasi operative, e concentrare l’attenzione sul loro business core.

Sono nate così, le imprese specializzate a gestire attività di trasporto ed immagazzinamento di merci di varia natura.

Queste imprese si servono di società intermediatrici che subappaltano, senza averne l’autorizzazione, a piccole cooperative che offrono manodopera (autisti e facchini) a basso costo, esonerandosi da qualsiasi responsabilità.

Le cooperative sono per gran parte spurie, e vengono gestite dalla criminalità organizzata, che può, attraverso queste: guadagnare, riciclare denaro proveniente da attività illecite, e gestire il traffico di droghe.

Ciò accade grazie a un “disturbo” contenuto nell’articolo 29 del d.lgs n. 276 del 2003, il quale afferma che è possibile, non solo affidare l’appalto di un servizio a una organizzazione esterna ma che questa può gestirne la organizzazione direzionale, ovvero può COMANDARE finché è conveniente, per poi dissolversi e rinascere sotto un altro nome, con nuovi soci e con un nuovo statuto.

La frammentazione dei processi di produzione insieme ai vuoti legislativi favoriscono, quindi, la illegalità e lo sfruttamento. Gli esempi sono innumerevoli, ne cito alcuni che hanno avuto rilevanza mediatica:

  • L’operazione ISOLA, del 2009, diretta dal pm Mario Venditti, che ha fatto emergere come il clan Piparo, col consorzio YTAKA (tra le cooperative associate la Service Time di Marcello Piparo, appunto, quello che nel 2006 fece spaccare testa, faccia e gamba destra a Mario Padulano, carrellista, perché ai dirigenti della Sma non piaceva la sua attività sindacale) stava tentando di aggiudicarsi l’appalto da 34 milioni del deposito Esselunga di Biandrate.
  • La inchiesta Redux-Caposaldo, del marzo 2011, condotta dai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto, in cui è emerso che tra i giri di affari del clan Falco c’era il controllo di alcune filiali lombarde del gruppo TNT-Traco.
  • E ancora, le numerose inchieste al “Re delle coop”, Natale Sartori, Presidente dell’Almagroup (intimo amico di Vincenzo Mangano, lo stalliere di Arcore, indagato insieme a Dell’Utri, negli anni ’90, e gestore di gran parte del traffico umano dei depositi di Esselunga, il Gigante e Coop, in territorio lombardo). Il caporale che nel 2010 dovette lasciare l’appalto della Conad di Montopoli Valdarno (Pisa), perché giustificò il negativo delle buste paga dei dipendenti stranieri sostenendo che i loro stipendi servivano a pagare gli alloggi forniti dalla cooperativa; lo stesso che fece arrivare 25 chili di cocaina dalla Colombia, in una cassa di banane, all’Esselunga di Pioltello, nell’ottobre 2011; quello a cui diedero i domiciliari, nel 2014, per aver emesso 91 milioni di euro di fatture false e averne evasi 31, e a cui hanno sequestrato, nel 2016, beni per 18 milioni.
  • Le indagini alla Gottardo spa di Padova (Tigotà e Acqua & Sapone) che, nel 2013, affidò il managment logistico del magazzino (movimentazione e gestione di merci destinate a circa 500 punti vendita, su tutto il territorio nazionale) a BB coop e Easy coop, dirette dal Consorzio Job Solution, i cui impiegati, anziché attuare le direttive del presidente, seguivano le indicazioni di Floriano Pomaro (boss della logistica legato a Comunione e Liberazione), obbligando – attraverso minacce, intimidazioni e vessazioni – i soci dipendenti (in maggioranza di origini extracomunitarie), a firmare contratti di lavoro part-time, a tempo determinato, per poi imporre loro di eseguire prestazioni lavorative di molto oltre l’orario per cui risultavano regolarizzati.
  • L’arresto, nel 2018, di Stefano Zani, direttore generale della Sogemi (società controllata dal comune di Milano, che gestisce i mercati all’ingrosso del capoluogo lombardo, con un giro d’affari di due miliardi e mezzo di euro) con l’accusa di corruzione nell’ambito delle commesse di facchinaggio assegnate alle cooperative attive all’interno dell’Ortomercato di Milano.
  • La recentissima operazione Ben Hur, nel pratese, coordinata dalla pm della Procura di Firenze Christine Von Borries, per cui sono stati arrestati tre imprenditori e quattro professionisti, con l’accusa di tentata truffa ai danni dello Stato, per aver richiesto rimborsi alla Agenzia delle Entrate per 15 milioni di crediti inesistenti, maturati da sette società cooperative di logistica non più operanti, intestate a prestanome (tossici, pregiudicati, nullatenenti).

Basta fare un giro tra la cronaca degli ultimi vent’anni, per rendersi conto di quante cooperative fittizie operino illegalmente, sfruttando soci-dipendenti – spesso di origini extracomunitarie, e quindi con bassissimo margine di negoziabilità contrattuale – privandoli di qualsiasi diritto per poter ottenere un permesso di soggiorno, e uno stipendio da fame.

Dal Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale del 2020 (https://www.ispettorato.gov.) emerge che “i settori maggiormente interessati da una presenza media di lavoratori coinvolti in illeciti fattispecie interpositori e per ciascuna azienda risultata irregolare sono quelli dei servizi di supporto alle imprese, del trasporto e magazzinaggio e delle attività professionali, scientifiche e tecniche.

La media delle irregolarità nel settore trasporto e Magazzinaggio (Ateco H) è del 71,46% (71,88% Nord Ovest; 77,14% Nord Est; 67,72% Centro; 68,72% Sud), ma questa è solo la punta di un iceberg gigantesco, che coinvolge parimenti interessi politici e interessi economici.

Potrebbe non stupire più l’assenza dello Stato, ma questo “governo tecnico” è nato appositamente dalla intenzione di gestire e di organizzare settore pubblico e settore privato nella legalità, per garantire efficienza e produttività, e dovrebbe quindi contrastare in modo deciso la criminalità organizzata e le infiltrazioni mafiose.

Un Governo con a capo l’ex governatore della Banca D’Italia, l’ex Presidente della BCE, che spesso ha dichiarato durante i suoi interventi, prima di diventare Presidente del Consiglio, che “La criminalità organizzata può sfibrare il tessuto di una società e può mettere a repentaglio la democrazia”, che è in grado di scoraggiare gli investimenti produttivi, e intaccare e limitare il diritto alla proprietà, alterando il funzionamento di imprese e la collocazione delle risorse umane.

Ecco, allora da questo Governo è necessario pretendere che ogni lavoratore abbia la dignità che merita, che possa esercitare i suoi diritti e che non debba vivere sotto alcuna minaccia: né quelle del precariato, né quelle delle mafie.

O no?

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