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La lotta di classe e i cani di guardia del capitale

Ho telefonato a Guido Salerno Aletta e ho chiesto alcune delucidazioni sul suo pezzo L’inflazione morde, ma famiglie e imprese investono“, che potrebbe essere considerato come troppo magnanimo nei confronti delle imprese.

Lui specifica: “Pasquale, ho detto tutto, l’importante è che i profitti vadano ad investimenti e non se li imboschino. Ognuno fa il suo mestiere. Le imprese fanno bene a fare profitti ed investimenti. Gli altri stanno zitti. I sindacati non fanno niente, tanti anni fa si illusero di essere ‘nuova classe dirigente’ con i fondi previdenziali. Campano di pratiche ai Caf, come dice Stalin si sono ‘burocratizzati’. Sono i sindacati, i lavoratori, mediante una sana lotta di classe, che devono recuperare il salario reale.”

Ognuno faccia il proprio mestiere.

Come ho scritto nel libro Piano contro mercato, il nemico è il neocorporativismo, inaugurato da Ciampi, Amato, Draghi e Prodi nei primi anni Novanta, e da allora in vigore.

Esso prevedeva la “concertazione“, tavoli a triade Governo-Sindacati confederali-Associazioni di Categoria che escludevano i sindacati di base. I confederali in 30 anni non hanno mai avuto come controparte il fronte datoriale, bensì lo Stato. In questo hanno seguito la moda di interi partiti di attaccare le strutture statuali, la funzione pubblica, i settori pubblici, in nome della “concertazione”.

In cambio ebbero fondi previdenziali, porte aperte nei canali dell’amministrazione pubblica e nel privato o in quel che rimaneva delle partecipazioni statali.

La loro funzione da allora fu, era ed è di essere cani da guardia del capitale, come tutti i partiti della Seconda Repubblica, anche quelli, una volta entrati al Parlamento, che si acquietarono.

La lotta di classe scomparve, era rimasta solo nel sindacalismo di base, boicottato, oggetto di attenzione da parte della giustizia borghese; i lavoratori divennero individualisti, poco propensi ad essere solidali, homo homini lupus, sentirono come nemici prima i meridionali poi i migranti, facendo la fortuna del capitale.

I media, la tv, rincoglionirono la classe lavoratrice, che si affidò a “pifferai magici”.

I cani da guardia del capitale contribuirono a che i salari, che negli anni settanta costituivano il 62%, scendessero al 48% del pil. La guerra di classe condotta in nome dell’Ue, del fronte occidentale, dell’asset inflation, del mercantilismo e della deflazione salariale, resa possibile dalla caduta del Muro di Berlino, che ci trasformò in una sorta di DDR mediterranea, contribuì alla ripresa dei profitti industriali, commerciali e della rendita finanziaria erosi dal conflitto di classe degli anni Settanta.

Siamo fantasmi. Ieri leggevo che i confederali se la prendono con lo Stato. Ma quello Stato non c’è più, quel che rimane è un condominio di Confindustria, che loro servono sempre. Fino a quando tutte le strutture pubbliche rimaste scompariranno, e vedremo gli zombie nelle città come in Usa.

Ricevo poi all’alba di oggi, dall’Asia, una critica al mio post di ieri. Non si tratterebbe di “neocorporativismo” – per colpa di un errore concettuale della rivista dove, entrambi, io e lui, scrivevamo – ma di “meccanismi di cooptazione di un ceto sindacale e politico“.

Il corpora, soprattutto degli anni del dopoguerra, anche grazie alla lotta di classe, prima dei braccianti, poi del ceto operaio, portò riforme sociali che innescarono meccanismi di benessere.

Quanto al corpora attuale, presente in Asia, esso porta alla reflazione salariale, contrariamente che da noi.

Ieri sera ho letto su Lantidiplomatico un pezzo di un componente del direttivo di Cumpanis e di un delegato milanese della Fiom di Milano in merito alle risultanze del Congresso della Cgil. Particolarmente, mi ha colpito il loro indirizzare l’attacco sulle posizioni di Landini in merito ai fondi previdenziali e soprattutto alla “sanità integrativa”.

Ebbene, tutto si tiene. I confederali si dimostrano sempre più “soggetti finanziari”, autori di raccolta di parte di salario, diretto, indiretto e differito, sull’altare del capitale finanziario.

La critica allo Stato è come se fosse un modo per dire che – nel futuro assetto del welfare privatizzato – loro, al pari di quanto successo con la concertazione inaugurata nel 1992, debbano avere un ruolo, in cambio di “pace sociale” essendo sempre più cani da guardia del capitale.

L’attacco concentrico, statuale, privatistico (da parte delle categorie economiche e dei confederali) alle strutture pubbliche porterà al loro dissolvimento.

Giustamente, tre settimane fa, Guido Salerno Aletta, nel delineare il futuro assetto privatistico del welfare privatizzato mediante fondi e sanità integrativa, rimarcava che, in un contesto trentennale di deflazione salariale, ben pochi denari della busta paga rimarrebbero per il finanziamento di tali fondi.

In questo sovviene la contrattazione aziendale che, da un po’ di anni, ha inaugurato il welfare aziendale, nelle grandi imprese e nelle reti di imprese.

Rimane il fatto che, anche in assenza di costruzione di alloggi pubblici, di deflazione salariale, di welfare privatizzato, il tasso di natalità crollerà sempre più.

Da questo punto di vista, il principio di politica economica che Meloni dice di voler seguire, basato tutto su crescita di natalità e pil, è smentito dalle sue azioni e da quelle dei soggetti economici e sindacali (confederali).

Musk ieri ha scritto: “l’Italia sta scomparendo“. Perciò, chi vive di salari e stipendi, si guardi intorno e possibilmente scelga sindacati di base, gli unici contro il welfare privatizzato.

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