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Stati Uniti. Comincia la discesa del petrolio prodotto con il fracking?

Nel leggere queste poche righe bisogna mettere subito le mani avanti: fare previsioni sulle prospettive di estrazione di idrocarburi è sempre un terno al lotto. Un po’ perché nuove tecnologie possono aprire nuove opportunità, un po’ perché la scoperta di nuovi giacimenti è sempre possibile.

Bisogna anche dire che ormai, per entrambi i lati della faccenda, ci sono così tanti studi che si ha un’idea verosimile di quel che ci aspetta. Dopo il 2060 la situazione comincerà a essere critica, considerato inoltre che la domanda, seppur in rallentamento, aumenterà tanto per il gas che per il petrolio (110 milioni di barili al giorno entro il 2045).

Cosa più importante, è su queste previsioni che si basa il mercato. E se l’uso su larga scala del fracking ha permesso grandi investimenti nell’estrazione di petrolio di scisto (prodotto dai frammenti di rocce bituminose), rendendo gli USA il primo produttore mondiale – 17% del totale globale nel 2020 –, una notizia di questi giorni potrebbe cambiare le carte in tavola.

Non ha senso fare previsioni sull’imminente esplosione dell’enorme bolla finanziaria che gli ingenti costi di questo metodo di estrazione ha prodotto. Ha senso, invece, dare attenzione a come le grandi compagnie dell’oro nero e Washington decideranno di prendere le misure sulla notizia che le attività del Bacino Permiano stanno per raggiungere il «picco di Hubbert».

Andiamo con ordine e spieghiamo ogni nodo della questione. La teoria di Hubbert è un modello che descrive l’andamento dello sfruttamento di una risorsa non rinnovabile: ovviamente, esso può variare, come è successo in relazione al petrolio statunitense con il ricorso allo scisto (ma anche questo era stato grosso modo previsto nella teoria).

Il Bacino Permiano è una zona sedimentaria grande circa tre quarti d’Italia, che si estende soprattutto nel Texas occidentale e in piccola parte nel Nuovo Messico. È una delle aree maggiormente interessate dall’opera di fracking, e ci sbaglieremmo a considerarlo un giacimento come un altro.

Oltre il 90% della crescita della produzione di greggio nell’ultimo decennio è dovuta agli Stati Uniti, e oggi sono sostanzialmente sei contee del Texas a trascinarla.

Il Permiano è il tassello fondamentale del previsto record a stelle e strisce di 12,76 milioni di barili al giorno, nel 2023: oltre 9 sono di olio di scisto, estratto per più della metà nel bacino in questione.

Ci sono valutazioni diverse su quanti barili rimangano nel sottosuolo, anche molto differenti, ma in ogni caso entro un range niente affatto illimitato. Se la società Enverus ne stima ancora 50 miliardi, un’altra sigla rinomata nel settore – G&R – parla di soli 20 miliardi, che al ritmo attuale di estrazione significano una decina d’anni o poco più di attività commerciale.

È questo il punto fondamentale su cui concentrarsi, non tanto se il Permiano sarà sfruttato ancora fino al 2035 o al 2050. Bisogna capire quanti di questi barili sono davvero commerciabili, dato che i terreni migliori sono stati già perforati e la produttività sta nettamente calando.

Usando dati di Novi Labs, altra società di analisi, sia il Wall Street Journal sia G&R hanno affermato che le aziende hanno semplicemente usato i siti migliori, e ora la produttività è scesa dell’8%. Scrivono da G&R che gli estrattori del bacino stanno “esaurendo in modo aggressivo il suo inventario di pozzi di alta qualità”.

Nulla di nuovo per chi è abituato alle storture prodotte dalla logica miope e a breve termine del capitale. È vero che grandi attori come Exxon e Chevron sembra stiano lavorando ad ulteriori innovazioni che aiutino nel mantenere i livelli produttivi attuali, ma la tecnologia non può fare miracoli (“creare” nuovo petrolio, insomma).

A G&R prevedono che il «picco di Hubbert» – ovvero il culmine oltre il quale la produzione non potrà che diminuire – arriverà verso la fine del 2024. Ma se anche fosse da spostare di qualche anno, il nodo rimane, siamo terribilmente vicini a quel punto (alcuni sostengono sia stato in realtà giò sorpassato, nel complesso delle riserve petrolifere): come reagiranno, a Washington, al progressivo esaurimento della fonte di petrolio che li ha resi autonomi sul piano energetico?

L’unica soluzione sarebbe un investimento davvero massiccio nel passaggio alle rinnovabili, insieme ad un consistente cambiamento dei modelli di consumo. Ma nel paese del grande capitale per eccellenza è più probabile che prendano il sopravvento gli interessi di corto respiro delle compagnie petrolifere e dei giganti finanziari, e si sono già avuti segnali in questo senso.

Con grave danno per l’economia a stelle e strisce e un ulteriore esacerbarsi delle sue contraddizioni. Un’opportunità per chi vuole liberarsi dal suo giogo, ma anche un motivo ulteriore di tensione internazionale.

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6 Commenti


  • Lino

    si va bene, le previsioni che finisce il petrolio le sento da decenni, invece contiamo a trovarne, senza parlare che è stato scoperto che proviene da trasformazioni chimico minerarie e quindi i vecchi pozzi abbandonati si stanno riempiendo di nuovo.


    • Redazione Contropiano

      La disinformazione sul “petrolio che si rigenera” fa il paio con il terrapiattismo…


  • maria bonatti

    Il petrolio non doveva incominciare a finire nel 1970?


    • Redazione Contropiano

      La propaganda delle “sette sorelle” ha gestito così i dati forniti nel 1972 dai ricercatori che avevano pubblicato “I limiti dello sviluppo”.
      I quali NON avevano scritto né predetto che “il petrolio era già finito”, bensì, più seriamente, che a quei ritmi di sviluppo dei consumi sarebbe stato raggiunto il “picco” (la metà delle risorse conosciute e consumate) agli inizi del nuovo millennio.
      I dati sulle riserve strategiche, notoriamente, sono un “segreto di stato” per i paesi produttori.estrattori. E questo rende ogni calcolo un po’ meno preciso di quanto sarebbe giusto o sperabile. Il “limite” si è quindi spostato più volte, ma non di molto (un anno o due, a seconda delle nuove “stime” fornite dagli stati petroliferi).
      Però possiamo dire con assoluta certezza che il “petrolio convenzionale” – quello allo stato liquido nei giacimenti raggiungibili con una certa facilità – è andato già da qualche anno oltre il “picco di Hubbert”.
      L’estrazione aggiuntiva è arrivata dai “giacimenti difficili” (quelli in fondo al mare, a profondità sempre maggiore) e dal petrolio di scisto (estrazione da rocce e sabbie bituminose, a costi elevati, inquinamento infernale e rapido esaurimento dei giacimenti).
      E infatti il prezzo del petrolio resta stabilmente sopra i 70 dollari al barile (60dollari è il livello sotto il quale il petrolio di scisto è “anti-economico” da estrarre).
      Credere alle “sette sorelle”, naturalmente, si può, ma non è manifestazione di intelligenza né di “antagonismo”.


  • Paolo Bignami

    Non solo quanto sopra indicato è sostanzialmente esatto: la discesa dell’EROEI (Energy returned on energy invested) delle fonti fossili va di pari passo con la discesa del potere d’acquisto.
    Terra terra vuol dire che dobbiamo lavorare uguale o di più per avere sempre meno, non lo riuscite proprio a vedere ?


  • Guido Rizzi

    Il fracking è un disastro ambientale, tanto è vero che è vietato in prossimità di insediamenti umani. Ma c’è sempre l’Ucraina, ormai ridotta a terreno disastrato, da sfruttare senza darsi pensiero delle conseguenze, perché tutta l’Ucraina sarà privatizzata e le grandi compagnie americane del fracking hanno già prenotato grandi estensioni di terreno ucraino, fino a poco tempo fa destinato ad altri usi, per esempio all’agricoltura

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