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Altri segnali di crisi dell’automotive tedesco, la risposta sarà l’economia di guerra?

Negli ultimi mesi ci siamo occupati più volte dell’andamento dell’industria tedesca. Non per il vezzo di guardare agli altri piuttosto che all’Italia, ma proprio perché la nostra manifattura è largamente legata a quella della Germania, di cui siamo tra i principali contoterzisti.

Quella che è stata al centro dell’interesse è stata innanzitutto la filiera dell’automotive, spina dorsale dell’industria teutonica in difficoltà. E, dall’altro lato, la virata di tanti importanti attori verso le opportunità offerte dal riarmo tedesco, che procede spedito con i larghi fondi ad esso destinati.

Oggi torniamo sull’industria delle auto, perché questa estate si chiude con vari segnali di una crisi che non sembra fermarsi. E che deve fare i conti anche con la conquista del mercato da parte dell’elettrico cinese, contro cui sono stati varati dazi… Una risposta, però, che non soddisfa a pieno i produttori europei di veicoli su ruote.

A inizio luglio era già stata diffusa l’informazione che la produzione industriale tedesca di maggio era calata del 2,5% rispetto ad aprile. In quello stesso lasso di tempo, quella relativa al settore automobilistico era addirittura crollata di oltre 5 punti percentuali, e a cascata l’effetto era arrivato anche in Italia.

L’ultimo sondaggio della società di servizi S&P Global certifica che l’indice Hcob Pmi composito, ad agosto, ha registrato 48,5 punti, allontanandosi ulteriormente dalla soglia dei 50 che separa di solito crescita e recessione. Il settore manifatturiero ha segnato il quinto calo mensile consecutivo.

Ora arrivano altre notizie preoccupanti. La BBS, storica produttrice di cerchi per auto, ha presentato istanza di insolvenza e sarebbe già stato nominato un curatore fallimentare, mentre le poche centinaia di dipendenti rimasti da precedenti ridimensionamenti vedono compromesso il proprio lavoro.

Anche la Recaro, che produce sedili per auto (e panchine per gli stadi), e da poco si è affacciata al mercato dei seggiolini per bambini, è entrata in amministrazione controllata. Anche in questo caso, i suoi 215 dipendenti rischiano di perdere il posto di lavoro.

Non di poche centinaia, ma di ben 14 mila lavoratori si parla nel caso di ZF, tra le principali aziende nel settore della componentistica. Si prevede, infatti, che entro il 2028 il personale addetto alle catene di montaggio sarà ridotto di poco meno di un quarto: un taglio drastico e definitivo, non un aggiustamento momentaneo.

Anche dall’unico stabilimento Tesla in Europa, a Grunheide, hanno fatto sapere che hanno ridotto i posti di lavoro e le previsioni di investimento, considerati i dati di mercato. E anche altri colossi affermati in tutto il mondo, come BMW, devono fare i conti con diversi problemi, addirittura sulle auto già esportate.

Infatti, la compagnia farà tornare oltre un milione di autovetture dalla Cina, a causa di potenziali rischi legati a difetti degli airbag. La notizia è stata diffusa dall’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato (Samr) del Dragone, specificando che la misura interessa le vetture arrivate nel paese dal 2003 al 2017.

E qui non c’entra molto quella che dicono essere la ‘competizione sleale’ dei cinesi: l’azienda tedesca aveva dovuto fare lo stesso a luglio con circa 400 mila vetture esportate negli Stati Uniti. Insomma, non sembra passarsela bene la punta di diamante dell’industria della locomotiva d’Europa.

E forse, tutto il modello UE…

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