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Mini-rimpasto: Romano all’agricoltura, Galan alla cultura

Pochi minuti fa è salito al Quirinale e ha giurato nelle mani del Capo dello Stato. Il suo predecessore, il veneto Giancarlo Galan, si è spostato sulla poltrona abbandonata piangendo da Sandro Bondi. Non si è trattato di un percorso senza ostacoli. Un primo tentativo, un paio di settimane fa, era andato buca: Berluska voleva piazzare anche un numero sconfinato di neo-sottosegretari. E gli era stato fatto notare che esiste una legge – la Bassanini – che ne limita tassativamente la composizione. I «responsabili» non l’avevano presa bene. Conoscendolo, avevano pensato che si trattava di una presa in giro. E gli avevano subito fatto mancare i numeri alla Camera in un paio di passaggi tutto sommato minori. Ora sono stati “ripagati” con il ministero a Romano, anche se hanno dovuto ancora soprassedere per i sottosegretariati.

 

Palermitano, 47 anni, sposato, tre figli, Saverio Romano inizia la sua carriera politica da giovanissimo. Democristiano da sempre, «nel cuore e nella mente», come scrive nella biografia sul suo sito internet, nel 1987 viene eletto nel movimento giovanile della Dc come delegato regionale. Nel 1990 arriva al Consiglio della Provincia di Palermo, poi ne diventa anche assessore. Dal 1997 al 2001 è presidente dell’Ircac, il più importante ente creditizio siciliano. Viene poi eletto per la prima volta alla Camera in virtù di una candidatura con l’Udc nel collegio di Bagheria.

Nella legislatura successiva è confermato alla Camera per la circoscrizione Sicilia 1. Nel 2007 diventa segretario regionale dell’Udc in Sicilia. A settembre 2010, con la nascita del quarto governo siciliano della presidenza Lombardo, si spacca l’Udc. Romano si dimette in forte polemica con Casini, e prepara la sua uscita dal partito. Poco dopo, insieme ai deputati meridionali Calogero Mannino, Michele Pisacane, Giuseppe Drago e Giuseppe Ruvolo aderisce al gruppo Misto, fondando con loro la componente Popolari di Italia Domani (Pid). I 5 deputati abbandonano il ruolo di opposizione e si schierano a sostegno della maggioranza parlamentare di centrodestra di Silvio Berlusconi: come primo atto votano la fiducia al governo. Bella carriera. Limpida, no?

E in effetti qualche problemino, in tutto quel peregrinare sicilian-democristiano, se l’è trovato addosso. Un’accusa per “concorso in associazione mafiosa” (reato tipico degli amministratori locali che vengono ritenuti terminai istituzionali di interessi mafiosi). Che ha costretto ieri il Quirinale, al termine della cerimonia di giurameno del neo-ministro, a diramare una nota.”A seguito della odierna formalizzazione della proposta da parte del presidente del consiglio, il presidente della Repubblica ha proceduto alla nomina non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero un diniego. Egli ha in pari tempo auspicato che gli sviluppi del procedimento chiariscano al più presto l’effettiva posizione del ministro”. Della serie:c’è qualcosa da chiarire, e presto.

Nelle stesse ore, però, si è appreso che il giudice delle indagini preliminari di Palermo, Giuliano Castiglia, non ha archiviato – così come richiesto dalla Procura – l’indagine per mafia a carico del deputato e leader nazionale del Pid Saverio Romano. E’ stata invece fissata un’udienza, che si terrà il primo aprile, per ascoltare le parti. Bell’esordio!

Ultim’ora. la nomina ha sollevato ovviamente molte polemiche proprio per le accuse rivolte dalla magistratura a Romano. Non daremo conto delle innumerevoli – e stucchevoli – dichiarazioni pro e contro. Ci limitiamo a notare come anche questo ministro sia una fotografia perfetta del blocco di potere berlusconiano. Ma anche di come la “moralissima” Lega Nord non faccia, nemmeno questa volta, una piega. Pur di stare in poltrona, mandano giù pure i presunti “consorziati| con la mafia.

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