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Scarcerato Cesare Battisti

Si è conclusa questa notte l’annosa di Cesare Battisti, che la Corte Suprema brasiliana ha deciso di scarcerare con 6 voti contro 3 al termine di una seduta fiume a Brasilia, ricca di colpi di scena e di lunghi soliloqui. Alla fine la maggioranza dei giudici ha approvato incondizionatamente la decisione proferita dall’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva di non concedere l’estradizione in Italia dell’ex terrorista rosso, con una scelta fatta il 31 dicembre, ultimo giorno del suo mandato.

La sessione plenaria del Supremo Tribunale Federale (Stf) si è trasformata in una maratona durata quasi sette ore. Grande sorpresa all’inizio ha destato la proposta del giudice Marco Aurelio Mello, suffragata dal nuovo giudice Luis Fux, per una mozione avulsa che proponeva la ricusa della richiesta fatta dall’Italia di concedere l’estradizione, dal momento che il presidente Lula non aveva rispettato il trattato di collaborazione giuridica firmato a Roma dal Brasile. Hanno votato per il rifiuto dell’istanza italiana, offensiva nelle parole di molti della sovranità brasiliana, sei giudici contro tre, quelli stessi che hanno votato alla fine per la scarcerazione di Battisti.

A questo punto i nove giudici si sono divisi in due fazioni: quelli che davano per già conclusa la seduta plenaria, dal momento che era stata annullata la ragione stessa della riunione del Stf, e quelli che volevano continuarla fino a che si decidesse col voto sulla questione dell’ estradizione e della liberazione di Battisti. Il giudice relatore Gilmar Mendes ha prolungato per quasi due ore la sua dichiarazione di voto favorevole a che l’ex membro dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo) venisse consegnato alle autorità italiane. Ma a nulla è valso il suo tentativo di convincere in extremis i giudici ancora titubanti della gravità delle accuse rivolte a Battisti in Italia, che gli hanno fruttato la condanna all’ergastolo per quattro omicidi compiuti negli anni 70. Guidati dal giudice Mello, la maggior parte dei giudici si è espressa per l’immediata scarcerazione di Battisti, da oltre quattro anni detenuto nel penitenziario della Papuda a Brasilia.

Il presidente del Stf, Cezar Peluso, nonostante avesse votato contro la scarcerazione assieme a Mendes e alla giudice Ellen Gracie, ha a questo punto proclamato la liberazione di Battisti. Il legale brasiliano Nabor Bulhoes, inoltre, conta di fare ricorso contro la decisione del Stf presso il Tribunale Internazionle dell’Aja. Nell’invitare la Corte ad andare oltre e affrontare la situazione di «una persona che è in carcere da quattro anni», uno dei componenti del Supremo Tribunale Federale, il giudice Barbosa ha sottolineato che il caso «è chiuso. Non c’è niente in cui lo Stato straniero possa immischiarsi». I giudici hanno infatti per adesso stabilito che l’Italia non ha legittimità per mettere in discussione la decisione di Lula il quale lo scorso 31 dicembre, nell’ultimo giorno della sua presidenza, aveva respinto l’estradizione. «Sono nel Supremo da vent’anni e non mi sono mai trovato davanti ad una situazione in cui l’esecutivo» si pronuncia su una questione riguardante la politica estera che viene poi «messa in discussione da un governo straniero», ha assicurato il giudice Marco Aurelio Mello.

La proposta di Mello di respingere, senza esaminarlo, il ricorso avanzato dall’Italia è stata poi votata dallo stesso giudice e dai colleghi Carmen Lucia Antunes, Joaquim Barbosa, Carlos Aires Britos, Ricardo Lewandovski, y Luiz Fux.

Lo stato italiano ha dunque perso una partita che non poteva esser vinta. Solo in questo paese, infatti, si può continuare a “trattare” le vicende degli anni ’70 come “non politiche”, “violenza” e basta, ecc. In tutto il resto del mondo, e tanto più in un paese come il Brasile, che ha pagato un prezzo altissimo alla dittatura militare filo-statunitense e ha visto decine di movimenti di ribellione o guerriglieri sollevarglii contro, la realtà non sopporta mascheramenti ipocriti.

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Mauro Palma
UN CASO SCOMODO
Una sentenza per elaborare la storia

 

Mentre scriviamo la Corte non si è ancora pronunciata, ma è atteso un no all’estradizione. Una decisione quella del Tribunale Supremo brasiliano sul caso Battisti che, se confermerà l’attesa, non stupisce. Quantomeno non stupisce coloro che hanno cercato di seguire le argomentazioni delle autorità giudiziarie e politiche brasiliani senza quell’eccesso di affermazioni apodittiche sul caso specifico e di connotazioni specifica sulla sua persona che hanno caratterizzato il dibattito italiano. Un eccesso di attribuzione di ruolo, responsabilità e rappresentatività simbolica che ha finito per rendere il suo caso non più una pur controversa applicazione di regole e trattati, ma quasi un regolamento di conti con un periodo della nostra storia, collettiva e individuale, nonché una muscolare rappresentazione della nostra pretesa superiorità giuridica.
Tutto ciò ha reso più deboli le argomentazioni di chi riteneva opportuna e regolare la sua estradizione, ma ha al contempo evidenziato la debolezza delle stesse poiché ha posto nuovamente in evidenza uno dei limiti teorici, culturali e concreti della legislazione dell’emergenza di trent’anni fa: quella piegatura soggettivista che determinava la centralità non già dell’astrattezza dell’accertare e sanzionare in sede processuale reati e relativi responsabili, bensì quella della valutazione della personalità di ogni imputato, per valutare il suo essere o meno ancora irriducibile antagonista o la sua disposizione a collaborare o a dissociarsi dal proprio passato. Le gabbie che distinguevano nella scena processuale gli imputati tra pentiti, dissociati e irriducibili erano l’immagine plastica di questo approdo culturale; e la collocazione in una o nell’altra gabbia era indicativa di un passaggio che mutava entità della pena e modalità della sua esecuzione.
In qualche modo il dibattito che si è sviluppato attorno alla vicenda Battisti è stato ancora figlio di quella cultura, anche nei modi e nei toni. Eppure il contesto naturale in cui considerare le motivazioni per cui il presidente Lula ha chiuso il suo mandato negando l’estradizione di Battisti e la decisione odierna del Tribunale Supremo che stabilisce che tale decisione non è in conflitto con il trattato di estradizione tra Brasile e Italia, dovesse essere del tutto diverso. Una schematica illustrazione può essere data in due punti. Il primo è che nessuno stato concede l’estradizione di un individuo verso un paese dove egli dovrebbe scontare una pena non prevista nel proprio ordinamento: e ciò nonostante l’assicurazione che possa essere data dallo stato richiedente, perché questa ha valore non vincolante, meramente intenzionale. L’Italia poteva commutare la pena dell’ergastolo, che non esiste in Brasile, in una pena temporanea prima di richiederne l’estradizione. Non solo, ma – e questo è il secondo punto – proprio l’eccesso di dichiarazioni e di vesti stracciate all’ipotesi della mancata estradizione, ha indotto le autorità brasiliane a ritenere che una volta estradato, Battisti non avrebbe goduto dei normali percorsi di esecuzione della pena previsti dal nostro ordinamento e dei relativi benefici e che, quindi, avrebbe avuto condizioni peggiori rispetto a quelle di un qualsiasi altro detenuto. E ciò è uno degli elementi per i quali il trattato non autorizza l’estradizione.
La chiusura odierna della vicenda deve comunque servire non già a riaprire sterili discussioni o indignate proteste, bensì a riflettere sulla necessità di elaborare le storie di quegli anni, in un modo tale da non avere alcuna compiacenza con vicende e scelte drammatiche che hanno prodotto lutti, ma neppure assecondare una ricostruzione auto-assolutoria della memoria che non rende giustizia a quanto anche di negativo sul piano istituzionale e ordinamentale essa ha lasciato.
da “il manifesto” del 9 giugno 2011

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