Galapagos
L’omertà del ministro
RegaliTra le misure potrebbe trovare spazio anche la «legge Fiat» per sterilizzare le cause della Fiom contro gli accordi separati siglati dal Lingotto con Cisl e Uil Tremonti racconta ai parlamentari quello che già sapevano. Non una cifra, né un particolare, ma la proposta di libertà di licenziamento e di abolizione della contrattazione nazionale
La prima conferma che è arrivata riguarda la modifica costituzionale dell’articolo 81: sarà introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio dello stato. Altra modifica costituzionale è quella dell’articolo 41 sulla libertà d’impresa. Ovvero, tutto è consentito, salvo quello espressamente vietato dalla legge. Gli imprenditori, autocertificandosi, sarannno garanti del rispetto delle leggi.
Tremonti ha esordito con una premessa: «la crisi ha preso un corso diverso, non ancora finito, del quale non è facile prevedere la dinamica». Fosse stato più sincero, avrebbe dovuto ammettere che il suo governo non aveva capito nulla di quanto stava accadendo nell’economia globale. O aveva fatto finta di non accorgersene per arrivare senza stangate alle elezioni politiche del 2013. Tremonti ha insistito sul fatto che, dopo l’approvazione parlamentare del decreto a metà luglio (fissava il pareggio di bilancio al 2014) c’è stata «una intensificazione verticale della crisi» che ha imposto il pareggio di bilancio nel 2013. Per questo «dobbiamo fare una manovra molto forte sul 2012 e 2013». Quanto forte, non l’ha detto. Genericamente, per favorire la crescita ha affermato che serve una «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali, dei servizi professionali e la privatizzazione su larga scala dei servizi locali». Poi ha tirato fuori dal cilindro la proposta di «accorpare sulle domeniche le festività infrasettimanali». Infine ha affrontato i temi cari alla sua professione di commercialista: la modifica della tassazione delle rendite finanziarie. Salvo il debito pubblico (tassato al 12,5%) tutte le altre rendite dovrebbero essere colpite da una imposta del 20%. Il tutto si risolve, però in pochi spiccioli.
Altra proposta estemporanea (ma cara alla Confindustria) è stata quella di accelerare «la contrattazione a livello aziendale, con il superamento del sistema centrale rigido» ma anche «il licenziamento del personale compensato con meccanismi di assicurazione più felici». Come l’ha giustificata? Affermando che «bisogna evitare l’abuso dei contratti a tempo determinato». Non solo: sembra che il decreto recepirà la cosiddetta «legge Fiat» richiesta dal Lingotto per rendere esigibili gli accordi separati siglati senza la Fiom (e contro cui le tute blu Cgil si stanno rivalendo in tribunale). A questo punto ha rotto il giuramento di non dire nulla della lettera della Bce, rivelando che tra i «suggerimenti» c’e anche la riduzione degli stipendi nel pubblico impiego. Ma, interpretando il poliziotto buono, ha giurato: «non lo faremo». Breve accenno anche ai costi della politica: «dobbiamo intervenire perché ci sono eccessi». Stop.
Si possono fare ipotesi sulla base delle mezze parole dette in questi giorni. È certo che non si riusciranno a recuperare abbastanza risorse soltanto con l’accelerazione di alcune norme previste dalla manovra varata a luglio. Anche perché alcuni provvedimenti richiedono tempi lunghi. Ieri si sussurrava della possibile introduzione di una euro-tassa straordinaria per i redditi di almeno 60-100 mila euro. Fumo negli occhi: viste le denunce dei redditi e l’elevata evasione fiscale il rischio è che non dia un gettito elevato. Nonostante l’opposizione (molto ammorbidita) di Bossi e dei sindacati il governo metterà mano al sistema previdenziale. Anche le donne in pensione a 65 anni in un breve lasso di tempo; eliminazione di fatto delle pensioni di anzianità e ulteriore anticipo dell’aumento d’età legato alla speranza di vita. Il governo vuole mettere le mani anche sulle pensioni di reversibilità e invalidità oltre che su tutto il sistema dell’assistenza. Ma non è semplice: richiede tempi lunghi.
Sul fronte fiscale c’è un provvedimento che troverebbe il consenso della sinistra: l’imposta patrimoniale, ma per Berlusconi è come fumo negli occhi visto che dovrebbe pagare parecchi soldini. Dalla sua questa volta c’è Bossi, ma anche Angeletti e la Uil. È praticamente certo, invece, che sarà aumentata la tassazione sulle seconde case con un’addizionale straordinaria per l’Ici e con l’aumento delle rendite e quindi con un incremento del gettito Irpef. Non è neppure escluso un aumento delle aliquote Iva: dell’1% per i generi di largo consumo; del 2% per tutti gli altri prodotti. L’aumento potrebbe fruttare almeno 9 miliardi. Sembra, però, che Berlusconi la voglia tenere nel cassetto e tirarla fuori prima delle elezioni riducendo al tempo stesso le aliquote Irpef. Oppure in alternativa (sembra per far contenta la Confindustria) l’aumento potrebbe essere destinato alle imprese per far diminuire il costo del lavoro, attraverso una riduzione dell’Irap. In ogni caso c’è il rischio che i commercianti prendano la palla al balzo e si scatenino con gli aumenti dei prezzi.
Sul collo degli italiani c’è poi la mannaia del taglio delle agevolazioni fiscali. Il provvedimento era stato pensato come sostitutivo della manovra varata nel caso non si fosse riusciti a varare altri tagli sgradevoli. Tagliare linearmente del 10% tutte le agevolazioni porterebbe un gettito di circa 16 miliardi.
Incontri a raffica, Napolitano commissaria tutti
Non Draghi né Trichet. In Italia, al momento, l’unico vero commissario è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che richiama all’ordine maggioranza e opposizioni dettando calendari e accelerando i tempi.
Era partito nottetempo per Stromboli con un traghetto discreto, Napolitano, ma dopo l’informartiva di Tremonti il Capo dello Stato ha deciso di interrempore le sue vacanze, inforcare l’elicottero e catapultarsi a Roma. Dove ha convocato tutti al Colle.
Fine delle manfrine, i tempi sono stretti e il consiglio dei ministri va anticipato. Forse oggi, al massimo martedì. Oltre non si può andare.
Il commissario non perdona e se da un lato sembra approvare le misure drastiche proposte da Tremonti per affrontare la crisi, dall’altro chiede altresì di «misurare» che quelle stesse misure perché allo scontro sociale non si può andare.
Prende in mano la situazione, Napolitano e avvia consultazioni a tutto campo. «Coesione e rapidità d’azione» chiede ai suoi interlocutori a cominciare dal premier Silvio Berlusconi – reduce da un colloquio con il governatore della Banca d’Italia e prossimo presidente della Bce, Mario Draghi -, il primo a salire ieri al Colle insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Ma Napolitano non si accontenta e il premier non gli basta. A breve giro di posta vengono convocati Bersani e Casini. Durante il colloquio, il Capo dello Stato avrebbe ribadito al segretario Pd il suo invito alla responsabilità in un passaggio cruciale per il Paese, ferma restando la necessità di un confronto aperto a tutte le forze politiche e alle parti sociali.
E Bersani avrebbe assicurato al presidente della Repubblica l’atteggiamento responsabile già dimostrato dal Pd pur sottolinendo che il primo passo tocca al governo. «Noi – avrebbe detto Bersani – siamo pronti a fare la nostra parte, ma il governo deve fare la sua, non possiamo farla noi».
E il cerimoniale è sempre quello. Coesione e rapidità d’azione e che le opposizioni comprendano che non è questo il momento di tentare l’affondo. E oggi toccherà al presidente della Camera Gianfranco fini – che le lame contro Tremonti le sta già affilando e che si è dichiarato allibito di fronte alle parole del ministro dell’economia – incontrare Napolitano. E atteso oggi al Colle è anche il neosegretario del Pdl Angelino Alfano.
Colloqui riservati, dei quali l’ufficio stampa del Quirinale non da notizia. Il che, in fondo, ha poca importanza. Napolitano commissaria tutti mentre la Bce si limita a commissariare Berlusconi. Un mastino d’altri tempi Napolitano che dalla crisi del capitalismo non si lascia ingannare. Ma che alle opposizioni continua a chiedere l’impegno maggiore.
Tremonti: sacrifici necessari. Gelo nella maggioranza
di Isabella Bufacchi
ROMA. «Dobbiamo fare una manovra molto forte quest’anno e il prossimo» per anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013 come indicato dalle sedi europee. Con questa premessa, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha tracciato ieri le linee guida delle misure che azzereranno il deficit in poco più di due anni, in un intervento scarno di numeri e dettagli davanti alle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Camera e Senato. «La scelta politica è ancora in corso», si è giustificato rispetto alle critiche arrivate, anche dalla Lega e dall’interno del Pdl (si veda articolo a fianco), non volendo rivelare i contenuti del decreto anticrisi «a mercati aperti» o prima di illustrarli al capo dello Stato.
Alle molte polemiche della giornata il ministro ha risposto in serata, gettando acqua sul fuoco: si è trattato di «un incontro positivo e costruttivo», «un contributo sicuramente importante in vista del difficile lavoro che ci aspetta per la discussione del prossimo provvedimento», con l’opposizione «non mancheranno occasioni di confronto».
Nel corso dell’audizione, Tremonti aveva passato in rassegna le principali misure che agiranno, come richiesto dalla lettera della Bce al Governo, sul bilancio pubblico e sulla crescita. Dalle liberalizzazioni al mercato del lavoro, dall’allineamento delle aliquote delle rendite finanziarie ai costi della politica, dalla stretta della lotta all’evasione fiscale alla riduzione della spesa pubblica, anche incidendo sul welfare per il quale l’Europa auspica «tagli orizzontali».
Il ministro ha motivato con vigore le modifiche all’articolo 81 della costituzione per «costituzionalizzare il rigore e l’equilibrio di bilancio» con «riferimento esplicito ai vincoli europei su debito e indebitamento» perché serve «un forte passaggio politico» in linea con i diktat europei. Ha insistito sulla necessità di cambiare l’articolo 41 della costituzione per liberalizzare «un moderno medioevo» difficile da riformare dall’interno. Ha detto che il Governo «non ha nulla in contrario» ad anticipare nel decreto la riforma delle rendite finanziarie con armonizzazione della tassazione al 20% per tutti gli strumenti d’investimento, a eccezione dei titoli di Stato che manterranno l’aliquota al 12,50%. Una puntualizzazione importante, quella sui BoT, BTp, CcT e CTz «fermi», in un momento in cui, come ha sottolineato lo stesso ministro, è finita l’epoca in cui si potevano piazzare ovunque e a qualsiasi prezzo i titoli di debito che invece ora hanno bisogno del vincolo del pareggio di bilancio altrimenti «nessuno li vuole prendere o li prende con riluttanza».
Il ministro ha confermato l’impegno dell’Esecutivo nel «rendere più flessibile il mercato del lavoro» evitando anche «forme di abuso dei contratti a tempo determinato che creano effetti di instabilità delle persone e sono negative per l’economia». Il Governo agirà «più incisivamente sui costi dei politici» e soprattutto sulla dimensione della politica che è «stratificata, una mano morta che crea costi eccessivi». Per aumentare la produttività, «all’europea», il ministro ha preannunciato festività che potranno essere accorpate la domenica, escludendo le ricorrenze religiose. Non mancherà un’ulteriore stretta alla lotta all’evasione fiscale. «Abbiamo cominciato a rispondere con la disponibilità alla tracciabilità ‐ ha precisato ‐ sui contribuiti di solidarietà, strumenti di allineamento e forme più efficaci di contrasto dell’evasione fiscale in caso di emissione della fattura o della ricevuta».
Tremonti ha informato, qui nel dettaglio, sui contenuti della lettera della Bce, parafrasandola. Per la crescita accolto il suggerimento sulle liberalizzazioni dei servizi locali e professionali «su linee europee». Altro suggerimento visto con favore è la spinta alla contrattazione a livello aziendale per superare un sistema centrale rigido ma Tremonti ha preso le distanze dal «diritto di licenziare» suggerito dalla Bce. «Non è detto che tutto sia condiviso dal Governo», ha puntualizzato anche in riferimento ai tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici. Vago sulle pensioni. Unica cifra del ministro quella scartata della «ipotesi drastica e recessiva di scendere di colpo all’1% da un livello del 3,8-3,9% di deficit del 2001».
Festività civili accorpate per la crisi, i “ponti” a rischio
A rischio le festività del 25 aprile, primo maggio e 2 giugno. Contro la crisi, il Governo sta ipotizzando di accorpare le festività non religiose alle domeniche. Calcolando così un netto risparmio per le casse dello Stato. L’annuncio è arrivato oggi dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, durante l’audizione in Parlamento. E anche se per ora la proposta rimane solo un suggerimento nel ventaglio delle possibili soluzioni per far fronte al periodo nero dell’economia, c’è il rischio che i prossimi 25 aprile (festa della liberazione), primo maggio (dei lavoratori) e 2 giugno (della Repubblica) – tutte festività non religiose – gli italiani vadano comunque a lavorare e i bambini a scuola. Niente paura, invece, per Natale, Pasqua e Ferragosto: essendo feste religiose non verrebbero intaccate dal provvedimento. Salve, quindi, anche Capodanno, Epifania, Lunedì dell’Angelo, Immacolata e Santo Patrono.
Ma se da una parte, evitando di fermare il Paese per un giorno, lo Stato ci guadagnerebbe, dall’altra l’industria del turismo verserebbe copiose lacrime. La presidente della Fiavet-Confcommercio ha dato un «giudizio chiaramente negativo» alla proposta, «soprattutto perchè si azzoppa un’abitudine sempre più in voga che vede molti turisti approfittare dei ponti festivi per fare vacanze brevi».
Nel 2012 il 25 aprile cadrà di mercoledì e, nel caso in cui la festività venisse soppressa, la giornata verrebbe considerata alla pari degli altri giorni feriali e la Festa della Liberazione potrebbe essere celebrata l’ultima domenica del mese (il 29 aprile; sempre per ipotesi), a ridosso del I maggio. Anche la Festa dei lavoratori ha un futuro incerto. Quest’anno era di domenica. Nel 2012, forzando la mano sul calendario, cadrebbe nuovamente di domenica, probabilmente il 6. Manifestazioni, celebrazioni e «concertone» potrebbero essere tutti rinviati di cinque giorni. E il ponte dei turisti primaverili andrebbe in fumo.
Stessa sorte per il 2 giugno. Ma in questo caso, oltre al danno ci sarebbe anche la beffa. La festività era stata ripristinata nel 2001, fino a quella data era accorpata alla prima domenica del mese. Il prossimo anno la Festa della Repubblica cadrà di sabato. Escludendo chi già per calendario non lavora o non va a scuola di sabato, per gli altri non sarebbe previsto nessuno stop. Le celebrazioni per la Festa della Repubblica slitterebbero così al giorno dopo, domenica 3 giugno.
Le tre nuove «festività soppresse», se così potrebbero essere definite, andrebbero ad aggiungersi alle altre quattro già segnate in calendario: 4 novembre (la vittoria nella prima guerra mondiale. Quest’anno non è prevista, perchè è sostituita dal 17 marzo, Festa dell’Unità nazionale), San Giuseppe, Ascensione e Corpus Domini. Giorni che i lavoratori hanno diritto a recuperare durante l’anno solare, con ferie o permesso. Sono tutte ipotesi, ci ha tenuto a sottolineare Tremonti, ma se dovessero andare in porto, le polemiche non si faranno attendere. Basti pensare al «polverone» sollevato dal caso 17 marzo, festività esclusiva di questo 2011.
Ma Bossi lo attacca: sulla previdenza non convince, no o crisi
Luca Ostellino
ROMA – Fino a tarda notte, a Palazzo Grazioli Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, accompagnato da Roberto Calderoli e Rosi Mauro, hanno tentato di raggiungere quella “sintesi politica” sulle misure anti-crisi che, come ha avvertito il capogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni senza nascondere tutta la sua irritazione nei confronti di Giulio Tremonti, «solo loro due possono trovare».
Nella residenza romana del premier sono arrivati poco più tardi i capigruppo del Pdl di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, raggiunti anche dal ministro dell’Economia, nei confronti del quale l’insofferenza nel Pdl sta salendo a livelli di guardia. Tre deputati e un senatore, Crosetto, Bertolini, Stracquadanio e Malan hanno avvertito che se Tremonti insisterà con il vecchio metodo di finanziare il deficit con entrate straordinarie, invece di ridurre la spesa pubblica, il loro voto «potrebbe non essere scontato». Anche Gianfranco Fini si è detto «sconcertato» dalle parole del ministro. E lo stesso Bossi, che pure ieri mattina si era avviato ad ascoltare Tremonti nell’audizione davanti alle commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Camera e Senato con spirito positivo («ieri – nel vertice notturno ndr – abbiamo parlato di rotture di c…, ma oggi sarà una bella giornata»), ha attaccato il ministro ad audizione in corso (e mercati aperti) definendo «troppo fumoso» il suo intervento. Il Senatur se l’è presa anche con Mario Draghi, considerato l’autore materiale della lettera della Bce, fino a ipotizzare un disegno per «fare saltare il Governo».
Il successivo chiarimento ricercato da Tremonti nella sede del gruppo della Lega non ha avuto miglior esito. «Tremonti non mi ha convinto», ha detto il leader del Carroccio, aggiungendo che «ci sono momenti in cui bisogna sapere dire dei no, altrimenti si rischia la crisi». Non solo sulle pensioni, in particolare quelle di anzianità, su cui Bossi ha fatto le barricate anche ieri notte, ma anche su eventuali patrimoniali. Ma sono anche i contenuti (o la loro assenza) con cui riempire il decreto che il governo dovrebbe varare al più presto per anticipare il pareggio di bilancio al 2013 a preoccupare la Lega. La “fumosità” di Tremonti potrebbe infatti nascondere misure sugli Enti locali, le Province in particolare, che il Carroccio non intende accettare in alcun modo. Sulle pensioni il Governo avrebbe comunque già fatto un deciso passo indietro e la patrimoniale dovrebbe limitarsi a un contributo di solidarietà per patrimoni al di sopra di una certa cifra.
Da qualche parte, però, i venti miliardi necessari per anticipare il pareggio di bilancio vanno trovati. Reguzzoni critica non solo le ancora incerte misure anti-crisi, ma anche la gestione “ferragostana” della situazione e la mancanza di «nervi saldi», che hanno portato ad annunciare il varo del decreto in tempi brevissimi, «alimentando le aspettative dei mercati, che a questo punto non possono essere deluse». Riscrivere una manovra «in pochi giorni e in condizioni di lavoro non facili anche dal punto di vista logistico – avverte – non è certo cosa da poco…».
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Guido Gentili
Tra oggi e comunque prima di Ferragosto (in modo da presentare l’emittente-Italia nelle condizioni più accettabili possibili alla riapertura dei mercati) il Governo ‐ se riuscirà a superare le sue divisioni interne – metterà nero su bianco il decreto che ristruttura la manovra da 48 miliardi, insufficiente, approvata dal Parlamento a metà luglio.
Ieri l’attesa riunione in Parlamento delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Senato e Camera, formalmente convocata sul tema della riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, si è focalizzata non tanto sul punto all’ordine del giorno quanto sulle informazioni che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha reso sui contenuti del piano del Governo volto ad anticipare di un anno, dal 2014 al 2013, l’ormai famoso pareggio di bilancio.
Una mossa, quella del pareggio anticipato, suggerita a viva forza, per iscritto, dalla Banca centrale europea, resasi disponibile a sostenere gli acquisti dei nostri titoli di Stato ma decisa a non accontentarsi di una politica di soli annunci e ferma (come dimostra il suo Bollettino diffuso ieri) nel ricordarci ‘l’eccezione’ di un Paese che fatica più degli altri a crescere.
«Faremo tutto, presto e bene», aveva detto il premier Silvio Berlusconi al termine del vertice di mercoledì con le parti sociali. Siamo alla svolta? Ne sappiamo qualcosa di più, dopo il confronto tra Tremonti e tutti i leader dei partiti rappresentati in Parlamento? Sì e no, come vedremo, soprattutto per i no posti dalla Lega. E con un’avvertenza di metodo generale, che in parte spiega la grande confusione di questi giorni. La debole Italia, anche in termini di leadership politica, si specchia in una debole e confusa Europa, dove nel silenzio della Commissione (e i ritardi sul piano salva-Stati, con l’asse portante franco-tedesco a sua volta pesantemente attenzionato dai mercati), s’alza forte la voce del ‘braccio’ monetario, la Bce, la cui missione fondamentale è la stabilità dei prezzi. A conferma che all’unione monetaria corrisponde un’incompiuta unione politica, con tutto ciò che ne consegue in termini di governance (in Europa non si sa chi comanda, ha tagliato corto nei giorni scorsi l’ex presidente della Commissione Romano Prodi) e bilanciamento dei poteri.
«Tutto, presto e bene», aveva detto Berlusconi. Sul «presto», tenuto conto che i mercati non vanno in ferie e che siamo giunti a un tornante tra i più difficili della storia italiana, c’è ormai poco da dire. Prima il Governo si muove meglio è. A parlare deve essere un decreto che dovrà essere subito presentato in Parlamento e alle parti sociali. Camera e Senato devono a loro volta rivedere le loro agende e riaprire tutte le porte (non solo di qualche commissione) dopo Ferragosto. All’inizio di settembre almeno un ramo del Parlamento (si partirà dal Senato) deve approvare il decreto. È l’unica strada da battere, anche per recuperare almeno un po’ della credibilità perduta agli occhi dei cittadini-elettori che si troveranno presto di fronte a tagli e sacrifici.
Sul «tutto» è comprensibile che, a mercati aperti e prima del vertice al Quirinale con il presidente Giorgio Napolitano e il premier Berlusconi, Tremonti abbia misurato parole e annunci. Così come è intuibile che le difficoltà interne alla maggioranza (a partire dalla posizione della Lega e dai malumori nei suoi confronti di nuovo affiorati prepotenti nel Pdl) abbiano convinto il ministro a volare basso. A tal punto, però, da spingere l’alleato e collega ministro Umberto Bossi a parlare di un intervento «fumoso» e che non l’ha «convinto». Sulle pensioni «si rischia la crisi», ha spiegato in serata alzando la posta. Un veto pesante.
Lo spettacolo, nel complesso, non è stato esaltante, con la lettera del presidente della Bce Jean-Claude Trichet definita da Tremonti «confidenziale» ma tuttavia citata in parte e non senza malizia e un ministro (Bossi) che ha accusato il governatore Mario Draghi (presidente designato della Bce) di essere l’autore vero della missiva recapitata da Francoforte. Battute risentite e giudizi urticanti incrociati (tra Tremonti e Bocchino del Fli, tra Tremonti e il leader dell’Udc Casini) hanno fatto il resto.
Tremonti ha confermato i progetti di revisione costituzionale degli articoli 41 e 81 sulla libertà d’impresa e l’obbligo del pareggio di bilancio (direzione giusta, ma nulla di operativo subito). Ha parlato di «ristrutturazione» della manovra e non più di solo «anticipo» delle misure già in calendario, ma non ha precisato né l’entità definitiva dell’aggiustamento per il 2012 (che sulla carta resta attestato intorno ai 25 miliardi, dobbiamo portare il rapporto deficit/Pil dal 3,8% verso quell’1% chiesto dalla Bce, ipotesi definita «recessiva») né l’elenco dei provvedimenti più caldi, tipo la rimodulazione dell’Iva per favorire il taglio del carico fiscale e contributivo che grava sul lavoro. Sembrano esclusi due punti richiamati dalla Bce (sui licenziamenti e la riduzione dei salari dell’impiego pubblico), è scontata l’armonizzazione al 20% del trattamento fiscale sulle rendite finanziarie (titoli di Stato esclusi). Restano in piedi le ipotesi sul blocco delle pensioni di anzianità e l’aumento dell’età pensionabile per le donne del settore privato, le liberalizzazioni e le privatizzazioni per le professioni ed i servizi pubblici locali, si profila un «contributo di solidarietà» e l’accorpamento sulla domenica delle festività infrasettimanali (tranne le ricorrenze religiose), nuove misure sul fronte della lotta all’evasione e una tracciabilità più stretta per le spese in contanti. Si prospetta, per la riduzione dei costi della politica, qualche sforzo in più dopo i clamorosi rinvii delle scorse settimane.
Dopo «tutto e presto» il «bene». Dipende dalla qualità del compromesso con la Lega e da come il Governo calibrerà i pesi della manovra, tra rigore (manovra sulle pensioni in prima battuta) ed equità. E dipende da come verrà o no spianata la strada per la crescita, un’altra incompiuta italiana. Infine l’opposizione: come giocherà la sua partita nell’interesse del Paese? Ieri, come detto, lo spettacolo non è stato esaltante. Tremonti ha detto che il decreto sarà «discutibile» ma non ha certo dato la sensazione di uscire dal bunker delle sue convinzioni. Poteva aprire di più la porta. Casini ha snocciolato una serie di proposte con al centro l’idea del quoziente familiare. Lo stesso leader del Pd Pier Luigi Bersani si è detto pronto al confronto e ha invitato a decidere subito. Al Governo «non tremi il polso», ha scandito. Forse l’unico momento di pathos per un decreto in pieno agosto destinato, in un modo o nell’altro, a fare storia.
Triangolo stretto per decidere
Stefano Folli
Quel che resta della coesione nazionale è più che mai nelle mani di Giorgio Napolitano rientrato a Roma. Ed è bene che sia così, perché ci sono ancora troppi dubbi e incertezze intorno a questa manovra da «ristrutturare» (cioè da riscrivere) rispetto a quella di un mese fa. Sembra di capire che il ministro dell’Economia abbia in mente dove intervenire, ma che esistano ancora non pochi problemi all’interno della maggioranza.
Di sicuro ce n’erano ieri mattina, quando si sono riunite le commissioni parlamentari. Di qui il profilo generico del discorso tremontiano. Se il decreto fosse pronto, annunciarlo nei dettagli prima del varo vorrebbe dire esporlo al logoramento politico. Siccome non è pronto, o almeno non lo era ieri mattina, è giocoforza restare nell’empireo dei grandi principi.
Questo spiega perché Tremonti sia piaciuto poco sia al suo amico Bossi, che lo ha giudicato «fumoso» (ed è singolare), sia ad alcuni falchi berlusconiani come Stracquadanio e Crosetto. È la prova che la miscela di interventi (pensioni, rendite, prelievo di solidarietà, eurotassa o patrimoniale e altro) non è ancor ben calibrata. Prima di misurarsi con l’opposizione, la maggioranza deve quindi fare i conti con se stessa. Un compito che spetta in prima persona al presidente del Consiglio.
Ecco perché l’incontro di ieri pomeriggio al Quirinale non è stato un momento protocollare, bensì un passaggio importante e forse decisivo nella gestione politico-istituzionale della crisi. Se c’è un momento in cui i richiami costanti alla coesione devono avere una ricaduta concreta, è quello che stiamo vivendo in questo agosto. Napolitano si rende conto che stavolta il Parlamento deve esprimere il proprio senso di responsabilità in modo convincente. Convincente e visibile agli occhi dei mercati e dell’Europa.
A sua volta, Berlusconi sa di avere in Napolitano un prezioso alleato. Non solo per definire la cornice della manovra, con i suoi delicati pesi e contrappesi, ma anche per evitare, se possibile, uno scontro distruttivo con l’opposizione politica e sociale. Si potrebbe dire, anzi, che Berlusconi si trova al vertice di un triangolo in cui gli altri due vertici sono occupati dal Quirinale e dal governatore della Banca d’Italia. Non è un caso che Draghi sia stato molto attivo in questi giorni e che i suoi consigli siano stati recepiti nella sostanza da Palazzo Chigi: ancora ieri pomeriggio, mezz’ora prima che Berlusconi, Tremonti e Letta si recassero da Napolitano.
Ciò rende ancora più oscuro (o al contrario, fin troppo chiaro) l’attacco di Bossi: la lettera della Bce che sarebbe stata scritta a Roma, dove c’è Draghi «che dovrebbe essere in Europa e invece è ancora qui». Il tutto sullo sfondo di complotti imprecisati, volti a rovesciare il Governo. È strano questo linguaggio del capo leghista che fino al giorno prima giudicava «positivo» che l’Italia fosse finita sotto la tutela della Banca centrale europea. In condizioni normali, queste dichiarazioni del leader del secondo partito di governo avrebbero potuto provocare uno sconquasso. Per fortuna così non è stato: forse i mercati hanno imparato a non farsi impressionare dalle infinite contraddizioni italiane. Resta il fatto che la Lega si conferma un partito nervoso e ondivago, timoroso di dover pagare un alto prezzo politico al rigore imposto dalla crisi.
E in ogni caso Berlusconi sembra aver imboccato la via del realismo. Lo potremo affermare meglio solo dopo che il famoso decreto sarà nero su bianco, pronto alla firma. Fin d’ora però si può dire che il triangolo Quirinale-Palazzo Chigi-Via Nazionale sta operando come mai era successo nel recente passato. Non abbiamo ancora la certezza che tutti i tasselli della manovra andranno al loro posto e soprattutto che si troverà il punto d’equilibrio in grado di evitare qualche iniquità sociale. Né sappiamo se gli interventi riusciranno a restituire un po’ d’impulso all’economia stagnante.
È vero però che l’opposizione dimostra nel complesso una certa prudenza. Bersani non ha certo fatto un intervento incendiario ieri mattina in commissione. E Casini da tempo parla il linguaggio dell’equilibrio e della ragionevolezza. Su queste basi si può supporre, con un filo d’ottimismo, che alla fine l’Italia politica riuscirà a offrire una buona immagine di sé in un momento drammatico. Accadrà in particolare se il centrodestra terrà conto degli argomenti della minoranza; e se eviterà di porre l’enfasi su aspetti che oggi metterebbero la sinistra in estrema difficoltà: ad esempio la questione dello Statuto dei lavori, che può essere posta all’ordine del giorno in un secondo momento, così da disinnescare ulteriori irrigidimenti della Cgil e del Pd.
Comunque sia, siamo alla stretta finale. E si capisce che l’Italia dopo questa avventura non sarà più quella di prima. Forse sarà migliore.
Berlusconi vede Draghi e Napolitano. Verso due decreti e il Ddl sugli articoli 41 e 81 della Costituzione
ROMA. Prima l’incontro con Regioni, province e comuni. Poi un Consiglio dei ministri, convocato con ogni probabilità a mercati chiusi, per varare uno o due decreti legge e il disegno di legge per la modifica dell’articolo 81 della Costituzione.
Se la lunga notte di trattativa politica e di affinamento tecnico dei provvedimenti è andata a buon fine è questo il canovaccio della giornata che attende il governo. Un doppio passaggio per varare, a una settimana dalla conferenza stampa di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, una correzione della manovra capace di garantire il pareggio di bilancio nel 2013. L’operazione sui saldi è di 24 miliardi, concentrati nel 2012, anno in cui l’indebitamento netto dovrebbe essere portato da un programmatico del 2,7% del Pil all’1,5-1,7%, per poi arrivare al close to balance l’anno successivo. Ieri pomeriggio, dopo l’informativa di Giulio Tremonti in Parlamento, il presidente del Consiglio ha prima ricevuto il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, a palazzo Chigi, e poi è salito al Colle per illustrare al Capo dello Stato lo schema della correzione. Le misure partirebbero da un decreto che sposta i termini degli interventi per garantire gli effetti sui saldi di bilancio. In sostanza ciò che si doveva fare nel 2013 si dovrà realizzare nel 2012, con l’aggiunta di misura aggiuntive necessarie a centrae la correzzione indicata.
Tra queste misure ‘extra’ spicca il contributo di solidarietà per i redditi dei privati sopra i 90mila euro. Una sorta di maxi-addizionale Irpef (non un eurotassa o una patrimoniale) del 5% per la parte di reddito che eccede i 90mila euro e tocca i 150mila. Sopra questa soglia l’aliquota sale al 10%. Il prelievo riguarderà dipendenti e autonomi con esclusione di manager pubblci già soggetti al taglio delle buste paghe che eccedono i 90mila euro e i pensionati d’oro cui si applica già da agosto, con la stessa formula indicata per i redditi dei privati, il contributo di solidarietà.
Sul fronte della lotta all’evasione lo spesometro in vigore da luglio vedrà scendere la soglia da 3.000 euro a 2.500 per i pagamenti effettuati in contante, mentre per i professionisti che ometteranno più di una fattura potrebbe arrivare anche la sanzione accessoria della chiusura temporanea dello studio. Misura identica che verrebbe reintrodotta anche per i commercianti che omettono gli scontrini.
Salirà sul terno del decreto legge l’armonizzazione delle rendite finanziarie al 20%, mentre l’anticipo dei tagli ai Comuni riattiverà la leva fiscale per i sindaci che potranno sbloccare le addizionali Irpef con due anni di anticipo.
Ma sulle misure per gli enti locali la trattiva è ancora tutta aperta e il confronto con il Governo è fissato per la tarda mattinata di oggi. Intanto sui costi della politica verrebbe previsto l’accorpamento delle piccole province così come la sospensione dei processi di istituzione di quelle nuove. Tagli anche alle giunte e i consigli comunali dei municipi minori.
Il «no» della Lega agli interventi ipotizzati sulle pensioni di anzianità avrebbe invece quasi annullato il contributo di questo capitolo ai tagli di spesa. Resta in piedi solo l’anticipo al 2015 (e non al 2012 come previsto) dell’adeguamento in dieci anni del requisito di età per il pensionamento di vecchiaia a 65 anni per le dipendenti del settore privato. In forse fino a tarda sera, invece, l’altro anticipo che i lumbard avrebbero potuto concedere: «quota 97» dal prossimo gennaio invece che dal 2013.
Il secondo decreto legge, quello con le misure per lo sviluppo, partirebbe dalle liberalizzazioni con il recupero dell’articolo 23-bis del vecchio decreto Ronchi per consentire agli enti locali la possibilità di ricorrere al mercato per tutti i servizi pubblici locali ad esclusione dell’acqua.
Infine, come detto, il disegno di legge costituzionale che «blinda» l’articolo 81 fissando il vincolo del pareggio di bilancio.
2 Previdenza
Pensioni, sale l’età per le donne Reversibilità legata al reddito
«Poco o nulla» assicura chi sta seguendo la trattativa. E se le cose resteranno così, i pensionati italiani e soprattutto chi è vicino alla sospirata uscita dal lavoro potranno tirare un bel respiro di sollievo. I sindacati e la Lega Nord hanno alzato barricate finora invalicabili e il cataclisma atteso fino a solo poche ore fa, sembra sfumato. Qualcosa si farà, ma allo stato del negoziato che proseguirà nella nottata e nelle prime ore della giornata odierna, si tratta di ben poco.
L’unico punto su cui finora si è trovato il consenso è l’anticipo dell’innalzamento progressivo dell’età per le pensioni di vecchiaia delle donne dagli attuali 60 a 65 anni. Invece che partire dal 2020, l’adeguamento scatterebbe dal 2015 e sarà in ogni caso molto, molto graduale. Si partirebbe con un mese in più nel 2015, due mesi nel 2016, tre mesi nel 2017, 4 nel 2018, cinque nel 2019 e sei nel 2020 e in ogni anno successivo, fino al 2026. Nel 2027 il percorso di avvicinamento ai 65 anni, per le donne nel settore privato, si completerà con un ulteriore scalino di tre mesi.
Sul tavolo, formalmente, resta ancora l’ipotesi di un intervento sulle pensioni di anzianità, anche se la possibilità di realizzarlo sembrano ridotte al minimo. I tecnici avevano individuato due possibili meccanismi per arrivare all’innalzamento dell’età media effettiva per i pensionamenti anticipati, che è di 58 anni e 3 mesi. La prima era l’accelerazione del meccanismo delle “quote”, date dalla somma dell’età anagrafica con gli anni di versamento dei contributi previdenziali. Oggi i lavoratori dipendenti possono andare in pensione a “quota 96”, cioè con un minimo di 35 anni di contributi e 61 anni di età. L’ultima tappa, “quota 97” (che vale già per i lavoratori autonomi) scatterebbe nel 2013. Il progetto in discussione prevedeva di anticipare “quota 97” al prossimo anno, ma di andare anche oltre, fino ad arrivare alla fatidica quota 100.
Un progetto che ora sembra accantonato. Resta in piedi, invece, il piano per la revisione delle pensioni di reversibilità, che rientra nel campo della delega per la riforma dell’assistenza, così come l’intervento sulle pensioni di invalidità. Per queste ultime si ipotizza una revisione generale dei criteri per l’ottenimento della pensione, ma anche un tetto di reddito per poter usufruire dei cosiddetti assegni di accompagnamento.
Risparmio
Rendite e conti, tassa al 20%. Resta al 12,5% sui titoli di Stato
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ieri ha confermato «una grande disponibilità del governo» a intervenire sulla tassazione delle rendite finanziarie. Se ne parlava da settimane ma ora il piano, già previsto nella delega per la riforma delle tasse, potrebbe rientrare nel decreto anticrisi e dunque essere immediato.
L’ipotesi prevede di non toccare i titoli di Stato lasciandoli al 12,5%, di aumentare invece dal 12,5% al 20% la tassazione degli altri titoli (azioni, obbligazioni e fondi) e di ridurre dal 27% al 20% i depositi bancari e postali. Insomma, si arriverà alla tassazione unica al 20% di tutti i redditi di capitale. «Ma in caso di cessione di titoli di Stato – precisa Valentino Amendola, responsabile dell’Ufficio fiscale di Deutsche Bank – la tassazione sarà al 20% come in generale per il capital gain ».
Tradotto: Bot e Btp avranno l’imposta al 12,5% se li si tiene fino alla scadenza, ma se li si vuole liquidare prima del tempo sarà applicata la nuova aliquota al 20%. Cosa accadrà invece ai pronti contro termine che hanno titoli di Stato sottostanti e che finora sono stati tassati al 12,5%? «Stando così le cose dovrebbero avere la tassazione al 20% – spiega Amendola – perché è un’operazione più complessa rispetto al semplice titolo di Stato sottostante». Resta da chiarire su quali titoli verranno applicate le nuove norme, se solo sui nuovi acquisti oppure anche sui portafogli attuali. «I regimi transitori – riflette Amendola – sono sempre un’incognita.
Diventa problematica l’applicazione alle cedole in corso. L’annuncio può anche creare un problema di grave distorsione sul mercato: chi ha plusvalenze che potrebbe realizzare potrebbe decidere di vendere adesso, oppure c’è chi potrebbe decidere di sottoscrivere titoli». Un aspetto positivo però c’è: «Il sistema di tassazione delle rendite finanziarie italiano è tra i più complessi del mondo. Ora invece si va verso una semplificazione con l’aliquota unica. Ma ogni volta che si cambia una normativa sorgono delle complessità di avvio e di comprensione. Dovremo aspettarci per alcuni mesi confusione e complicazione. Tuttavia il punto d’arrivo sarà un miglioramento. E per depositi e titoli atipici ora ci saranno prodotti più trasparenti».
RIGORE, CRESCITA ED EQUITA’
Una emergenza, tre condizioni
I l miglior commento al discorso di Tremonti è stato quello di Bossi. Se lo statista di Gemonio è scontento dell’intervento del ministro dell’Economia vuol dire, paradossalmente, che qualche passo avanti nella comprensione della gravità della situazione è stato fatto.
Il Consiglio dei ministri, in programma forse oggi, è chiamato a prendere decisioni dolorose che ci auguriamo vadano nella direzione del rigore, della crescita e dell’equità. Le prime due condizioni sono necessarie per recuperare la fiducia dei mercati e abbassare l’onere del rifinanziamento del debito pubblico. La terza, l’equità, è indispensabile per convincere famiglie e imprese dell’utilità dei sacrifici. Siamo in emergenza, bisogna fare in fretta e tentare di spegnere l’incendio che minaccia un intero Paese, gran parte del quale, per lavoro e intelligenza, la tripla A, il massimo di giudizio dei mercati, la merita da sempre.
Cominciamo dal rigore. Gli interventi prospettati dal titolare dell’Economia (ma lo è ancora di fatto?) appaiono inevitabili, sia sul lato delle pensioni d’anzianità sia su quello della tassazione delle rendite finanziarie, ma vanno accompagnati, meglio preceduti, da un drastico taglio del personale e dei costi della politica. Io, piccolo lavoratore, imprenditore, risparmiatore, posso rimboccarmi le maniche (e rinunciare a qualche festività) se serve al mio Paese, ma pretendo che burocrati, parassiti della politica, ed evasori siano seriamente contrastati e non premiati, come a volte questo governo ha fatto.
Promuovere la crescita è questione di vitale importanza, tanto quanto l’anticipo, come chiede la Bce, del pareggio di bilancio al 2013. Bene la privatizzazione dei servizi locali (chi lo dice alla Lega che l’ha sempre avversata?), così come il risveglio di una a lungo sopita volontà liberalizzatrice.
L’equità è la terza condizione ma non l’ultima. Se sarà necessario un contributo straordinario oltre una certa soglia di reddito (la patrimoniale appare esclusa e non è la migliore delle soluzioni) sarebbe auspicabile che avesse un vincolo di destinazione del gettito, per esempio a favore del lavoro dei giovani. Misure una tantum , però, non avendo effetti strutturali, rischiano di essere alla fine inutili. La necessaria riforma del mercato del lavoro è importante che rispetti la libera determinazione delle parti sociali, dando maggior peso alla contrattazione aziendale. Provvedimenti che contrastino quello che Tremonti ha definito «l’abuso dei contratti a tempo determinato» sono auspicabili.
Rigore, crescita, equità. Manca un quarto elemento: uno spirito nazionale che consenta un dialogo costruttivo fra governo, opposizione e sindacati. Non possiamo permetterci scioperi e distinguo di comodo. Non c’è tempo per governi tecnici e altre maggioranze. Occorre dare un segnale forte, il più possibile condiviso. Con un supplemento di responsabilità nazionale. A cominciare dal governo che per troppo tempo, anche nelle analisi millenariste del suo immaginifico ministro dell’Economia o nella pervicace e colpevole sottovalutazione dei problemi da parte del premier, ha dato prova di averne assai poca. Il mondo non è cambiato cinque giorni fa, come ha detto ieri Tremonti. È cambiato molto prima. Avessero ascoltato di più le voci critiche e fossero stati meno intolleranti…
Sotto pubblico una sintesi (grazie all’Agi) di quello che Tremonti ha detto stamattina.
Diventa quindi ancora più interessante quello che NON ha detto. Su pensioni (Bossi dice “vedremo se toccarle”) e patrimoniale, (o eurotassa o contributo di solidarietà, che dir si voglia). Insomma il cetriolo globale di guzzantian-tremontian memoria.
Ecco i punti toccati dal ministro.
– Articolo 81:
«Non costituisce un caso di successo» per questo è necessaria la modifica della Costituzione per inserire il pareggio di bilancio nella Carta. «Ci sono le basi per fare in fretta un lavoro importante. C’è spazio per un lavoro che presuppone un disarmo plurilaterale e uno spirito costituente».
– Costi politica
«Dobbiamo intervenire con maggiore incisività. Non solo sui costi dei politici ma sulle complessità del sistema». Non solo «su quanto prendono» i politici, ma «anche su quanti sono».
– Manovra
«Dobbiamo fare una manovra molto forte su questo anno e il prossimo. Le scelte di dettaglio sono ancora in corso». «È difficile essere più precisi con i mercati aperti e prima di andare dal Capo dello Stato».
– Lettera Bce, pensioni
Ci sono «suggerimenti» che chiamano in causa licenziamenti nel settore privato e tagli agli stipendi nel settore pubblico e interventi sulle pensioni. Ma «non è detto che tutto questo sia parte della condivisa attività del governo». Nella missiva si ‘indica la vià della «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», per i servizi professionali e «la privatizzazione su larga scala dei servizi locali». «Per la materia del lavoro, c’è la spinta a una contrattazione a livello aziendale». Poi si passa al comparto bilancio pubblico, dove «è naturale il riferimento alla manovra più dal lato della riduzione di spesa che degli incrementi delle entrate e, comunque, i suggerimenti riguardano le pensioni di anzianità, le donne nel settore privato, e si formula anche l’ipotesi di tagliare gli stipendi dei dipendenti
pubblici».
– Festività
Per «aumentare la produttività» il governo ipotizza di accorpare le festività alle domeniche, escludendo le ricorrenze religiose.
– Fisco:
Si deve pensare a «forme più forti di contrasto all’evasione fiscale, soprattutto nei casi di omessa fattura o scontrino».
– Lavoro
Rendere «più flessibile il mercato del lavoro», ed evitare «l’abuso di contratti a tempo determinato, perchè si creano effetti di instabilità della persona che possono essere negativi per l’economia».
– Rendite finanziarie
C’è «una grande disponibilità del governo» per intervenire sulla tassazione. Le ipotesi sono quelle di non toccare i titoli di Stato, di ridurre dal 27 al 20% i depositi bancari e postali e di aumentare al 20% dal 12,5% l’attuale la tassazione sui titoli, esclusi quelli di Stato.
– Liberalizzazioni
«Dobbiamo e possiamo intervenire con forza su liberalizzazioni, servizi pubblici e professioni».
– Pubblico impiego
«Non abbiamo intenzione di ridurre gli stipendi pubblici».
Marco Castelnuovo
La rivoluzione che serve
STEFANO LEPRI
Il guaio degli ottimisti ad ogni costo è che, quando ci consigliano medicine amare, non gli si dà retta nemmeno se hanno ragione. Pare strano che abbiano cambiato idea da un giorno all’altro; si comincia a dubitare di ogni loro parola.
I sacrifici la gente li fa se ne vede il perché. Non basta una sommatoria confusa di misure, anche ciascuna in sé giustificabile e sensata: il rischio è che ad essa risponda una somma di feroci rivolte di ciascuna categoria contro ciò che la colpisce.
All’incertezza sul futuro che da anni corrode il nostro Paese si era risposto addossando la colpa ad altri, via via ai governi precedenti, alla Cina, alla globalizzazione troppo veloce, alla crisi mondiale generatasi altrove; infine ai mercati che non ci capiscono. Ora, la manovra aggiuntiva di 20 miliardi che ci attende per il 2012 è superiore per importo a quella del governo Prodi 2 che demolì i consensi al centro-sinistra; raggiunge quasi la manovra del Prodi 1 per entrare nell’euro, obiettivo che però era condiviso dai due schieramenti.
I provvedimenti abbozzati finora sono ben lontani dall’arrivare a 20 miliardi. Innanzitutto occorre spiegarsi meglio. Dovranno intrecciarsi tre tipi di misure: sacrifici immediati, per cui è d’obbligo convincere che sono distribuiti con equità; aggiustamenti pluriennali, dei quali occorre mostrare la razionalità; le misure per la crescita, dove occorre chiamare a raccolta l’interesse comune contro i privilegi di pochi.
Portare al 20% la tassazione delle rendite finanziarie, in linea con la media europea, è una misura equa, non dannosa per la crescita, poco controversa. Ma, a parte chiarire perché la si rifiutò nel 2004 quando l’allora ministro dell’Economia Domenico Siniscalco la propose, offre solo una piccola parte del gettito necessario. E’ importante e utile – risparmi certi per il futuro, poco danno a redditi e consumi nell’immediato – proseguire il riordino della previdenza restringendo ancora i requisiti per le pensioni di anzianità e portando a 65 l’età di vecchiaia per le donne. Però va tolta l’impressione che si infierisca sui poveracci per risparmiare i privilegiati. Se si chiamano a contribuire i redditi alti, occorre ricordare che molti sfuggono al fisco, e che intervenire sui patrimoni può essere più equo.
La chiave sta nel raccogliere la spinta che il Paese esprime. La rabbia contro la «casta» dei politici va incanalata andando oltre alla pur opportuna riduzione di indennità e di poltrone. Privatizzare aziende pubbliche piccole e grandi, a cominciare dalle municipalizzate, non è una vittoria dell’ormai malconcio neoliberismo o dell’inesistente «mercatismo»; è una opera concreta per circoscrivere il potere dei politici e la diffusione del malaffare. Abolire le Province può andare ben oltre il modesto risparmio sulle prebende; se fatto bene, potrebbe semplificare i rapporti tra cittadini e burocrazia.
Né è solo la «casta» dei politici che intralcia le forze vitali dell’economia. Sono molte le caste che prosperano esercitando potere affidatogli da leggi sbagliate; e il potere dei politici è moltiplicato dall’alleanza con esse. Liberalizzare gli ordini professionali è un aiuto alle ambizioni di molti giovani. Aprire alla concorrenza settori protetti stimola l’iniziativa e riduce i prezzi. Mettere all’asta concessioni e privative trasferisce allo Stato rendite di pochi, ripulisce la politica da rapporti ambigui. Insomma, occorre una specie di rivoluzione liberale (che c’entra poco o nulla con la libertà di licenziamento). Chi governa oggi l’aveva promessa 17 anni fa, però poi ha fatto soprattutto il contrario.
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