Immediata la valanga mediatica. Allora anche lui vuole la caduta del governo e le elezioni anticipate! Certi spettacoli vanno guardati da alontano, altrimenti non si capisce nulla. E’ quello che proviamo a fare scegliendo alcuni degli articoli comparsi oggi. Che sia un altro colpetto di piccone al basamento su cui è installato Berlusconi sembra evidente. Meno chiari tempistica della caduta e soprattutto soluzioni di ricambio (“troppe soggettività in campo”, piange anche il direttore de Il Sole 24 Ore).
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da Repubblica
Tremonti: “Spagna meglio di noi? Forse è per il voto anticipato”
Il responsabile dell’Economia spiega così lo spread più ridotto dei titoli di Madrid. Poi corregge il tiro. Il ministro sostiene la tenuta dell’Italia anche con una crescita pari a zero. L’epicentro della crisi ora è Atene”
LUSSEMBURGO – “I conti pubblici in Italia tengono anche a crescita zero”. E’ lapidario il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, alla fine del vertice Ecofin. Alla domanda dei giornalisti poi su perché la Spagna paghi meno interessi dell’Italia sul debito, risponde che “potrebbe dipendere dall’annuncio di elezioni anticipate”. E allora perché non fare lo stesso? “Ho detto così per dire”, ha risposto sorridendo il ministro. Più tardi, il portavoce del ministro ha precisato: “Non parlava dell’Italia, da sempre quando parla all’estero con la stampa evita temi nazionali. Cuius regio,eius religio”. Una retromarcia che, evidentemente, non basta al collega di governo Renato Brunetta, già in passato ai ferri corti con il superministro: “Tremonti ha detto una stupidaggine”.
Lo sforzo poi del numero dell’Economia è di convincere tutti che il debito italiano, pari a oltre 1.900 miliardi di euro, sia sotto controllo. La garanzia deriverebbe dall’avanzo primario. “L’Italia è uno, forse l’unico paese al mondo che ha l’avanzo primario”. Ovvero che presenta una differenza positiva fra le entrate e le spese pubbliche, senza considerare tra le spese gli interessi da pagare sul debito pubblico. E il suo sistema pensionistico è “stabile e credibile”.
“Noi siamo in controtendenza e questo contribuisce alla discesa del debito pubblico, siamo sulla strada giusta,
altri meno”. Per Tremonti il ragionamento sulla riduzione del debito pubblico va fatto in questo modo. “Abbiamo poi – aggiunge il ministro – la garanzia che ci viene dall’introduzione del vincolo del pareggio del bilancio. Noi siamo sulla strada giusta, non sono numeri nostri ma del fondo”.
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da Il SOle 24 Ore
Tra Madrid e Roma, il fascino discreto delle elezioni anticipate
Stefano Folli
Incrinatura nel sistema dal Pdl alla Lega ma i tempi dello strappo finale non sono maturi, Bisognerà credere a Giulio Tremonti, di ritorno da Lussemburgo, quando garantisce che non c’erano riferimenti all’Italia nella sua frase dedicata al caso iberico. La Spagna è fortunata, aveva detto il ministro dell’Economia parlando dei famosi “spread”, migliori a Madrid che a Roma, perché può far leva «sull’annuncio di nuove elezioni che di per sé costituisce una prospettiva di cambiamento, una finestra sul futuro».
Senza dubbio Tremonti «diceva tanto per dire», come egli stesso ha precisato. Ma per combinazione la sua analisi coincide con quella di non pochi osservatori e tecnici finanziari, non solo italiani. Costoro ritengono che un governo in affanno, privo di autorevolezza e di un autentico orizzonte strategico, sia più un danno che un vantaggio. Ingessare la crisi in un paese esposto alle tempeste finanziarie, qual è oggi l’Italia, può essere utile a breve termine, ma alla lunga presenta fin troppi rischi.
Viceversa le elezioni anticipate servono a scuotere l’albero. Creano un momento d’instabilità, ma possono innescare il meccanismo di un cambiamento salutare (purché naturalmente si profili un’alternativa di governo credibile). E’ un punto di vista con cui Tremonti descrive la Spagna, ma si attaglia benissimo all’Italia bloccata di questo autunno («Oggi in Spagna domani in Italia» era la celebre e non troppo fortunata parola d’ordine di Carlo Rosselli).
Le vie intermedie, come i governi di transizione o di «responsabilità nazionale», risultano seducenti quando sono percorribili. Ma non sempre lo sono. Nei palazzi romani, ad esempio, si parla spesso e volentieri di governi d’emergenza (lo ha fatto ieri sera Bonanni della Cisl), ma con ogni evidenza le forze politiche non sono pronte a collaborare fra loro. La verità è che la divaricazione bipolare è massima, resa più acuta dal fatto che ci avviciniamo comunque alla fine della legislatura, che sia nel 2012 o nel 2013.
In fondo Tremonti è stato in anni non troppo lontani un fautore degli esecutivi di unità nazionale sul modello tedesco, forse perché si sentiva destinato a svolgervi un ruolo primario. Oggi si rende conto che le elezioni sono una strada più realistica. Casini, a sua volta, ha auspicato più volte una convergenza parlamentare sulle cose da fare e adesso anch’egli parla di elezioni.
Questo non basta a cambiare il corso delle cose, ma indica una linea di frattura che comincia ad attraversare le forze politiche. Forse il sottinteso è che un governo di coesione nazionale per l’emergenza economica ha un senso se collocato dopo e non prima delle elezioni. Potrà essere all’occorrenza il nuovo Parlamento a esprimerlo, con lo slancio che questa legislatura ha perso da tempo. In ogni caso il momento dello «strappo» non è ancora maturo. Non lo è nel Pdl, dove i dissidenti che mordono il freno rappresentano una pattuglia invisibile, ma forse meno esigua di quanto si creda. E non lo è nella Lega percorsa da profonde contraddizioni.
Il leader del possibile nuovo corso, Roberto Maroni, non è pronto a una resa dei conti che dovrà investire non solo e non tanto il capo storico Bossi, quanto gli assetti irrigiditi dell’attuale equilibrio di governo. In politica è sempre pericoloso avere ragione prima del tempo o nei tempi sbagliati. Ne sa qualcosa Gianfranco Fini.
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da Corriere della Sera
Premier in allarme: tira una brutta aria, mi ricorda il ’94
Marco Galluzzo
Secondo una prassi informale le agenzie di rating comunicano ai governi degli Stati, con qualche ora di anticipo, il cambiamento del giudizio che emettono periodicamente sul debito pubblico e la situazione finanziaria del Paese stesso. Ieri mattina a Roma almeno una decina di persone erano informate sul downgrading di Moody’s.
Appena arrivata in Italia la notizia, anche se ufficiosa, si è diffusa in poche ore negli uffici delle principali istituzioni del Paese, da queste è trapelata in Parlamento, dove anche nelle file dell’opposizione nel pomeriggio si sussurrava di una decisione che sarebbe arrivata in serata, a Borse chiuse, da New York.
«Tira una brutta aria, sembra di essere tornati al ’94», diceva proprio nel pomeriggio il Cavaliere ad alcuni interlocutori che erano in visita a Palazzo Grazioli. Una brutta aria che nei ragionamenti del capo del governo non era immune dalle notizie che in serata sarebbero arrivate dagli Stati Uniti.
Legare il giudizio sul nostro debito pubblico ai movimenti in corso a Montecitorio può apparire un’opera di fantasia, ma per il premier i due argomenti erano accostati, vuoi per notizie riservate di cui è a conoscenza, vuoi per una sensazione permanente di assedio, più o meno giustificata. Di certo nell’attesa del declassamento di Moody’s il Cavaliere vedeva formarsi davanti a sé ombre di complotto inedite e imminenti come non mai, legate a possibili gruppi di deputati pronti a tradirlo. E di nuovo sul banco degli imputati c’era Giulio Tremonti, accusato di non voler concedere nulla per il decreto sviluppo, di volerlo fare a costo zero, in modo inaccettabile per una parte cospicua della maggioranza.
Chiaro che la notizia a Palazzo Chigi ieri sera fosse commentata cercando di sminuirla: «Era attesa, era messa nel conto, non cambia nulla, per l’Italia parlano i numeri dell’avanzo primario di bilancio e quelli della manovra appena approvata», era il commento a caldo, pochi minuti prima che la notizia venisse resa pubblica dagli uffici dell’agenzia statunitense.
Poi, dopo la diffusione della nota di reazione da parte del governo, si rimarcavano in modo ufficioso almeno tre cose. Primo: il giudizio, come nel caso di Standard and Poor’s, è ostentatamente anche politico, cosa che nel caso delle agenzie di rating non dovrebbe accadere. Secondo: esiste un’evidente distonia con i giudizi e le valutazioni delle principali autorità dell’Unione europea, che certamente non fanno analisi, anche tecniche, in modo superficiale. Terzo: non siamo comunque al livello dei Pigs, ovvero quel gruppo di Paesi, dal Portogallo all’Irlanda, che hanno valutazioni del debito inferiori alle nostre, che abbiamo comunque conservato la A, ovvero la prima classe di valutazione, nonostante il declassamento corposo ricevuto ieri sera.
Per articolare questa risposta, espressa in un comunicato molto sobrio e di poche righe, ieri sera Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, si è recato a Palazzo Grazioli, residenza romana del premier, dalla quale ieri lo stesso capo del governo non è mai uscito.
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da Il Sole 24 Ore
«Conti ok anche senza crescita»
Dino Pesole
LUSSEMBURGO. Dal nostro inviato
La notizia del declassamento del nostro rating da parte di Moody’s era nell’aria, certamente attesa tanto che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti aveva deciso in qualche modo di giocare d’anticipo, ponendo l’accento, al termine della riunione dell’Ecofin, sugli elementi di forza del nostro bilancio pubblico: il pareggio di bilancio previsto per il 2013, un consistente avanzo primario. Nessun commento in serata alla decisione di Moody’s, al termine di una giornata segnata dalle polemiche politiche su quanto lo stesso Tremonti aveva sostenuto a proposito della Spagna. Lo spread tra i titoli spagnoli e i bund tedeschi è sceso perchè in quel Paese «c’è stato un annuncio di elezioni. Evidentemente è un elemento che i mercati vivono come una promessa di cambiamento». E in Italia c’è da attendersi che accada la stessa cosa, e dunque questa è l’aspettativa del ministro? Le dichiarazioni innescano una nuova polemica politica, che in molti leggono come l’ennesimo capitolo della contrapposizione con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. In serata la precisazione del ministro: nessun riferimento alla situazione politica interna. Il Governo «ha dato la risposta giusta e nei tempi giusti alla crisi».
Per Tremonti la chiave di volta per stabilizzare il risanamento dei conti pubblici è nella combinazione tra pareggio di bilancio e un sostenuto avanzo primario. Certo – spiega – se ci sostenesse anche la crescita il quadro sarebbe decisamente più favorevole. Al momento, con il pareggio di bilancio «siamo in grado di garantire la tenuta dei conti anche in assenza di crescita». Il focus della nuova governance europea, approvata anche dall’Ecofin, è sul debito, in una situazione che vede ben 24 Paesi su 27 in procedura per deficit eccessivo. La priorità per tutti – spiega il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli – è la credibilità dei conti pubblici. «La Commissione ha confermato il suo giudizio positivo sulla capacità dell’Italia di centrare gli obiettivi di deficit e debito». Dal prossimo gennaio il «six-pack» entrerà in vigore, con annesso l’obbligo di ridurre il debito di un ventesimo l’anno della differenza tra l’attuale livello e il 60% del Pil. Tremonti torna a ribadire che l’avanzo primario è la via maestra per ridurre il debito. «Facciamo di necessità virtù, poi ci sarà il vincolo costituzionale al pareggio di bilancio per rafforzare l’intero impianto».
Il tema della crescita è al centro delle riflessioni in sede di Ecofin. Si è preso atto che non esistono ricette precostituite e tanto meno valide per tutti. «Per quel che ci riguarda – osserva Tremonti – non vi sono alternative, perchè spendere di più equivarrebbe a dissestare i conti e dunque a precludere qualsiasi prospettiva di crescita».
Resta alta la tensione sul rischio effettivo che, nonostante le reiterate manovre di rientro, alla fine la Grecia sia costretta a un default sia pure pilotato e che a quel punto l’effetto contagio sia inevitabile. Lo scenario – chiarisce in proposito il ministro dell’Economia – non prevede al momento ipotesi di default. Certo – ammette – la forza e la composizione stessa del fondo salva-Stati, quale si era immaginato nel maggio del 2010 (oltre 700 miliardi) avrebbe creato una rete protettiva molto più solida a sostegno dei debiti sovrani. Poi – aggiunge – ci fu quella «tragica passeggiata a Deauville» tra Nicolas Sarkozy ed Angela Merkel, e si è arrivati all’attuale formulazione, «uno strumento più rigido e più piccolo di quello del 2010». Occorre prenderne atto. «La crisi gira attorno ai rischi sovrani e da ultimo anche nel settore bancario».
Gli attacchi speculativi si concentrano sul nostro Paese a causa «dell’enorme debito pubblico». Eppure – osserva – in Europa la sostenibilità del nostro sistema previdenziale è un dato acquisito. «Poi vi sono varie ipotesi politiche nazionali che si fanno a Roma». Quanto alla disoccupazione «siamo al di sotto della media Ue». Nessun problema allora, chiedono i giornalisti? Abbiamo debolezze e punti di forza – replica Tremonti – e tra le prime occorre segnalare alcune caratteristiche di fondo del nostro Paese: «Siamo un giardino con il 70% del territorio nazionale vincolato, che mal si presta allo sviluppo industriale». Non c’è il nucleare. «Un bene, un male, non lo so?», e poi «un alto tasso di idelogia, un sistema giuridico che non è il massimo dell’efficienza». Lo strumento per creare sviluppo attraverso il sostegno della domanda restano gli eurobond. «Sopra una governance più forte, che significa più controlli, più sanzioni; sotto gli eurobond».
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