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“Saluti dalla Spagna”

“Saluti dalla Spagna”. E’ ciò che qualche poliziotto ha scritto a penna su una delle palle di gomma che poi ha sparato ieri contro i lavoratori che manifestavano a Pamplona nel giorno dello sciopero generale convocato nei Paesi baschi. Una scritta che ci ha ricordato – con tutti i distinguo del caso, ovviamente – i messaggi che le bambine israeliane tracciavano con i pennarelli sulle bombe che nel 2006 i caccia di Tel Aviv avrebbero poi sganciato sui civili libanesi e palestinesi.

Un involontario ma quanto mai significativo riconoscimento, da parte dei cani da guardia dello status quo di Madrid, della loro funzione di truppe di occupazione in una terra che non li vuole e che li considera invasori. Quelle terre, da quando Francisco Franco ebbe la meglio sull’esercito basco repubblicano nel 1937, sono terre conquistate. E come tali vengono trattate ancora oggi. A maggior ragione, per meglio dire, oggi.

Quelle stesse palle di gomma il cui uso nei Paesi baschi le forze di sicurezza non hanno mai risparmiato, e che ora anche i cittadini spagnoli indignati – che si sono spesso disinteressati della sorte dei loro “concittadini” della costa cantabrica – sono costretti ad assaggiare sempre più spesso. Paradossalmente, proprio nel momento in cui l’Eta ha sottratto a Madrid la sempiterna giustificazione della ‘lotta al terrorismo’, terroristi potenziali e comunque nemici dello Stato sono diventati tutti coloro che – trascinati in basso dalla crisi – scendono in strada a rivendicare i propri diritti e a gridare ‘que se vayan todos’.

Nelle cronache di questi giorni i media frettolosi e voyeuristici hanno spesso dimenticato di citare i motivi che portano ormai da mesi migliaia di cittadini che finora erano stati lontani dalle piazze a manifestare, a discutere, a denunciare. E a prendersi le manganellate della polizia se non quelle pallottole di gomma – che fanno male, e lo diciamo per esperienza – di cui sopra.

L’opposizione ai tagli sempre più indiscriminati del governo spagnolo e dei governi regionali è certamente il motore principale di ogni manifestazione, di ogni sciopero, di ogni protesta. Le cure da cavallo imposte dall’UE e dal FMI hanno riportato paesi come la Spagna o la Grecia, il Portogallo o l’Irlanda a condizioni sociali drammatiche, ad una situazione che studi e analisi trasversali associano a quella di una guerra.

Ma a Madrid in questi giorni si manifesta anche per altro. Per sostenere rivendicazioni politiche articolate e radicali, frutto di una presa di coscienza non scontata a cui sono giunti alcuni spezzoni dei movimenti sociali europei ma non tutti (in Italia solo le forze che compongono il Comitato No Debito e poco altro): che il sistema nato dalla fine della seconda guerra mondiale – democrazia parlamentare più welfare – è finito.

E’ finito sotto i colpi della costruzione di un superstato europeo a caccia di risorse da destinare alle banche e all’economia finanziarizzata, demolitore di diritti sociali e promotore di uno tsunami politico-economico che se da una parte distrugge diritti e garanzie dall’altra svuota di contenuti e poteri i governi e i partiti delle singole nazioni, ridotti a esecutori subalterni di decisioni prese a Bruxelles e a Francoforte. Pensare di contrastare questo terremoto politico di portata storica con ricette riformiste o aggiustamenti parziali è folle, oltre che utopistico. Inceppare questo meccanismo micidiale forse rappresenta la sfida più alta e difficile che la sinistra abbia mai dovuto intraprendere negli ultimi decenni.
Sarebbe paradossale che proprio nel momento in cui sono le stesse classi dirigenti a mettere in discussione un intero sistema le forze anticapitaliste rinunciassero a fare altrettanto.
Sono pochi i casi in cui ci si sta provando, nella maggior parte dei casi non se ne vede neanche la necessità attenti come si è a cercarsi una nicchia, un posticino all’interno di un sistema istituzionale che è diventato ormai un simulacro vuoto. Un limbo e una debolezza concettuali di cui si nutre l’estrema destra, sempre più egemonica e aggressiva.

A Madrid – come a Piazza Syntagma qualche mese fa – i movimenti e alcune frange della sinistra radicale chiedono una frattura, una rottura netta col passato. A partire dall’assetto istituzionale del paese: immediate dimissioni del governo (che paradossalmente è quello che può contare sulla maggioranza più ampia da quando Franco morì nel suo letto), lo scioglimento di un Parlamento che non rappresenta più i cittadini, l’elezione attraverso un sistema elettorale proporzionale di una Assemblea Costituente che riscriva una nuova Carta in grado di restituire ai cittadini e ai lavoratori la loro sovranità e di invertire la rotta rispetto a una politica di massacro sociale applicata indistintamente dai partiti di governo di ogni colore.

Che l’importanza di queste rivendicazioni sia sfuggito alla maggior parte dei reporter e dei commentatori è un vero peccato, visto che la semplice enunciazione di tali rivendicazioni spiegherebbe ai “consumatori” dell’informazione molte cose.
 A partire dalla virulenza della repressione scatenata dal governo di Rajoy contro i manifestanti che non contestano una o l’altra misura, ma la legittimità stessa del potere e delle istituzioni che Rajoy – ma potrebbe essere il socialista Rubalcaba – incarna. Alla delegittimazione politica di massa il governo di Madrid risponde con un aumento repentino della violenza legalizzata. Se le tue ricette non convincono le devi imporre con la forza. Così hanno sempre fatto i governi spagnoli con i baschi, che alla fine degli anni ’70 non hanno creduto ad una “transizione democratica” pilotata dallo stesso Francisco Franco ed hanno mantenuto vivo e potente un conflitto sociale e politico che negando la legittimità delle nuove istituzioni hanno rispondeva alla violenza con la violenza. Ed ora il trattamento prima differenziale e differenziante va esteso a tutto lo Stato.

Ma il problema dell’incancrenimento, dell’arroccamento delle classi dirigenti che si percepiscono delegittimate dall’alto – la nuova borghesia europea e i suoi strumenti coercitivi – e dal basso – i movimenti sociali e le proteste popolari – non è un problema che riguardi solo la Spagna o la Grecia. Riguarda anche noi. Popolo di santi, poeti e navigatori… Navigatori soprattutto sui social network, dove non manca il tifo sperticato per gli indignados spagnoli o per i manifestanti greci, in un paese in cui una coerente soggettività politica e di massa radicalmente altra è da tempo desaparecido, insieme alla partecipazione sociale ai conflitti che non siano territoriali o settoriali.

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