L’idologia del “privato che fa tutto meglio del privato” ha qui il suo punto di verifica: il “privato” – ovvero Riva, colui che aveva ottenuto dallo Stato l’Italsider a prezzi stracciati in nomedella “necessità” delle privatizzazioni per “far correre di più l’economia” e per “eliminare le inefficienze e la corruzione che caratterizzano l’amministrazione pubblica” – aveva un capitolo di spesa e un ufficio “relazioni pubbliche” incaricato di ammorbidire qualunque funzionario o politico o amministratore che potesse esercitare il controllo sulla sua attività. Se nell’impresa pubblica la corruzione si sviluppa intorno agli snodi tra pubblico e privato (appalti, forniture, concessioni, ecc), nell’azienda privata si condensa invece intorno alla “privatizzazione dello Stato” e delle sue funzioni insopprimibili (controllodi legalità, legislazione, autorizzazioni ambientali, ecc).
Nessun passo avanti, anzi molti indietro. La risposta di Riva davanti agli arresti e ai sequestri è l’ultimo passo nella stessa direzione: qui comando io e vi comando tutti, o mi togliete dai piedi il controllo della magistratura o io non faccio più impresa da queste parti. Un Marchionne in sedicesimo, ma nemmeno troppo. Con la stessa filosofia da Marchese del Grillo: “io so’ io e voi non siete un cazzo”.
Una breve panoramica dai quotidiani di oggi ci aiuta a capire chi sono i protettori di Riva:
Ricostruisce la fitta rete di relazioni che avrebbe aiutato l’azienda ad affossare i controlli. Dalle oltre 600 pagine delle carte spuntano nomi eccellenti che l’Ilva avrebbe cercato di attirare nella rete. Dal presidente della commissione ambiente, Gaetano Pecorella, al capogruppo pd in commissione ambiente Della Seta, all’onorevole Ludovico Vico e al consigliere regionale Donato Pentassuglia, anch’essi pd, allo scomparso onorevole Pietro Franzoso (Pdl) via via fino all’ex ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. In arresto, insieme all’ex direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso e a Carmelo Delli Santi, rappresentante della Promed Engineering, anche l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva (che si era dimesso lo scorso settembre). C’è persino una lettera, forse mai spedita, destinata al leader pd Pier Luigi Bersani. Ma anche giornalisti e persino un ispettore della Digos. E a far da regista, secondo i pm, era Nichi Vendola. Mai fatto pressioni — replica il governatore della Puglia — ho solo chiesto di essere inflessibili per difendere l’ambiente».
dal Corriere della sera
Non dubitiamo, dunque, che Vendola, da aspirante Commissario Europeo, in quel di Bruxelles, si mostrerà fermissimo nel respingere l’assalto dei lobbysti (legali, peraltro, nella Ue). Nelle sbobinature, però, si capisce ancora meglio:
Il governatore ai Riva: «State tranquilli Non mi sono defilato»
I giudici: azioni per sconfessare l’Arpa
Giusi Fasano
Il governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, il presidente della Provincia Gianni Florido, il parlamentare pd Ludovico Vico e la famiglia Riva. E poi dirigenti regionali, giornalisti locali, un agente della Digos, un funzionario del ministero dell’Ambiente… Nella nuova ordinanza del giudice delle indagini preliminari Patrizia Todisco non c’è nessuno che possa dirsi al riparo. Le carte, soprattutto le intercettazioni, portano guai a tutti, anche ai non indagati.
Le «pressioni» del governatore pugliese
Del presidente della Regione (non indagato) il giudice descrive le «pressioni» per «far fuori» il direttore generale dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato. Si tratta soprattutto di incontri, contatti e accordi con Girolamo Archinà (l’uomo delle relazioni istituzionali dell’Ilva) per «sconfessare» i lavori anti-Ilva di Assennato. Parlando di quelle pressioni il giudice scrive che «il tutto si è svolto sotto l’attenta regia del presidente Vendola e del suo capo di Gabinetto avvocato Francesco Manna». È quasi sempre Archinà a parlare del governatore e delle sue iniziative per «distruggere» Assennato. C’è una sola telefonata diretta fra Archinà e Vendola nella quale il presidente «afferma chiaramente di non voler rinunciare all’Ilva», come dice il gip. E tornato da un viaggio in Cina chiede ad Archinà che dica al patron dello stabilimento Emilio Riva: «Mettiamo subito in agenda un incontro». Vuole che lo rassicuri: «State tranquilli, non è che mi sono scordato(…). Non mi sono defilato». Anche Fabio Riva, figlio di Emilio e vicepresidente della «Riva Fire» è convinto che «Vendola ad Archinà gli vuole bene», stando a una conversazione fra lui e il suo avvocato, Francesco Perli.
I tumori e il «sistema» Archinà
Archinà, l’ex uomo istituzionale dell’Ilva da ieri in carcere, è il perno di tutto anche in quest’ordinanza, come in quella di fine luglio con la quale finirono agli arresti domiciliari Emilio Riva e suo figlio Nicola (lo sono ancora oggi). Lo è soprattutto perché negli anni ha messo in piedi contatti capillari con la politica (locale e non), i sindacati, la stampa (uno dei suoi interlocutori sulle vicissitudini Ilva è stato per esempio il presidente della provincia Gianni Florido). Dice il gip: «La sua rete di relazioni, che gli consentiva anche insabbiamenti, aveva un unico filo conduttore, quello di far sì che le iniziative istituzionali in materia ambientale non nuocessero all’Ilva». In una telefonata Emilio Riva gli dice «Archinà, lei è il maestro degli insabbiamenti». Mentre è suo figlio Fabio ad avere un colloquio che gli inquirenti definiscono «veramente illuminante su quelliche erano gli effettivi intendimenti della proprietà aziendale». Parlando con l’avvocato Perli Fabio Riva dice «due casi di tumore in più all’anno… una minch… ».La Commissione e i parlamentari
C’è un capitolo intero dell’ordinanza dedicato alla visita della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, quella presieduta da Gaetano Pecorella. Dopo la conclusione dei lavori Pecorella rilasciò interviste in cui si disse convinto che i costi delle bonifiche dovevano essere a carico di chi aveva inquinato. Dice il gip: «Archinà di buon mattino chiamò Luigi Capogrosso (ex direttore dell’Ilva ora in carcere) dicendogli che comunque per cercare di far cambiare opinione a Pecorella ci stava lavorando già quel parlamentare». Il riferimento è a un deputato pdl poi morto in un infortunio. C’è un altro parlamentare il cui nome compare più volte in questa ordinanza: Ludovico Vico, pd, contattato di frequente da Archinà. Agli atti c’è una email inviata da Archinà a Vico: è la proposta di modifica dell’articolo 674 del codice penale, getto pericoloso di cose, «reato — scrive il giudice— già ripetutamente contestato ai vertici Ilva in vari processi per le emissioni dello stabilimento».
La lettera per Bersani
Nella casella di posta elettronica di Archinà è stato intercettato il file di una lettera (1-10-2010) destinata a Pierluigi Bersani da parte di Emilio Riva (non è stato accertato che sia davvero stata spedita). Riva si lamenta della «pressione mediatica violentissima alimentata da associazioni ambientaliste locali» che «purtroppo trovano spesso sponda in alcuni politici». E cita il senatore pd Roberto Della Seta, una «sponda» secondo la sua interpretazione. Archinà spiega a Bersani il suo stupore e le difficoltà avute per via degli interventi non favorevoli all’Ilva del senatore Della Seta e alla fine dice «mi scusi lo sfogo ma confido che saprà comprenderlo».Nell’ordinanza di Patrizia Todisco si riportano anche intercettazioni che riguardano l’attuale sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, protagonista di un episodio relativo al referendum sulla chiusura dell’area a caldo proposto dall’Associazione Taranto Futura. «L’intercettazione del 29 luglio 2010» scrive il gip, «rivela come, anche conil sindaco della città Stefàno, Archinà intrattenesse utili rapporti confidenziali, al punto da chiedergli di fissare il referendum in una data lontana». Dice Archinà: «La data… la più lontana possibile». E Stefàno: «Va bene». Archinà: «Per farci stare un po’ tranquilli». Stefàno: «Tranquilli, va benissimo, ciao Girolamo».
dal Corriere della sera
Sugli stessi intrecci si può vedere anche Il Fatto.
Politici, giornalisti e sindacalisti: tutti i tentacoli del “sistema gelatinoso dell’Ilva”
I rappresentanti delle istituzioni locali, la stampa e le televisioni, le parti sociali e anche qualche agente di polizia ‘infiltrato’: è un sistema onnicomprensivo e bipartisan quello creato dall’Ilva per ricevere un trattamento di favore da parte di chi dovrebbe vigilare, ognuno secondo il proprio ruolo, sull’inquinamento che ammorba Taranto. Un “sistema gelatinoso”, basato sul “do ut des”: così lo descrive nella sua ordinanza il gip Patrizia Todisco, secondo cui a curare questo ‘ramo’ degli interessi aziendali c’era un solo uomo al comando: Girolamo Archinà, l’ex responsabile per i rapporti istituzionali.
Rapporti che coinvolgevano tutta la politica locale, nessuno escluso: si va dal sindaco di Taranto, Ippazio Stefano (Sel), al presidente della Provincia, Gianni Florido (Pd), per proseguire con parlamentari e consiglieri regionali di ogni colore. Ci sono l’onorevole Ludovico Vico e il consigliere regionale Donato Pentassuglia (entrambi Pd) e il defunto onorevole Pietro Franzoso (Pdl). Nelle informative degli investigatori, c’è anche un riferimento all’ex deputato e attuale consigliere regionale Pdl Pietro Lospinuso e spunta persino l’ex sindaco ed ex deputato Giancarlo Cito, che avrebbe tentato – secondo l’Ilva – una pressione indiretta per non parlare male dell’azienda in un convegno sulla diossina. E quando qualcuno, come l’onorevole Della Seta (Pd), cerca di far inserire norme più restrittive sulle emissioni di benzo(a)pirene, c’è il patron Emilio Riva che scrive al segretario dello stesso partito, Pier Luigi Bersani (lettera che non si sa se sia mai partita e trovata nella casella di posta elettronica di Archinà), spiegando le sue ragioni per far tornare indietro Della Seta. Non mancano i funzionari regionali, come Alessandro Antonicelli e Piefrancesco Palmisano (assessorato Ambiente), che l’Ilva avrebbe usato come riferimento per ‘raggiungere’ il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Anche il leader di Sel è ampiamente citato nell’ordinanza della Todisco, secondo cui il governatore è stato il “regista” delle pressioni sull’Arpa e in particolare contro il direttore Giorgio Assennato.
I legami creati da Archinà per il gip sono “abilmente e utilmente intessuti al fine di condizionare pesantemente, orientandone l’azione a proprio favore, le agenzie e gli organismi chiamati ad esercitare, a vario titolo e per il proprio ruolo, funzioni di controllo critico nei confronti di una realtà industriale dal fortissimo e notorio impatto inquinante sul territorio”. Centrale anche il coinvolgimento delle testate giornalistiche locali, di carta stampata e televisive, che sarebbero stati utilizzati per far passare messaggi fuorvianti o aprire fronti di guerra nei confronti di chi, come il direttore dell’Arpa Puglia, non risultava gradito all’azienda. Neppure le forze di polizia vengono risparmiate in questa ragnatela. C’è un ispettore della Digos di Taranto che avrebbe fornito informazioni a catena ad Archinà su manifestazioni sindacali o ambientaliste contro l’Ilva, riferendo al dirigente persino del contenuto di un incontro in questura che il procuratore Franco Sebastio aveva avuto proprio con Assennato per disporre una relazione sulle emissioni di benzo(a)pirene perché la Procura ipotizzava il reato di disastro ambientale e voleva individuarne i responsabili.
da Il Fatto Quotidiano
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