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Ilva. Via libera dal consiglio dei ministri

Il decreto approvato dal governo prevede che l’autorizzazione integrata ambientale concessa all’Ilva di Taranto assuma la forza di legge. Il governo “si è assunto la grave responsabilità di vanificare le finalità preventive dei provvedimenti di sequestro” emessi per “salvaguardare la salute di una intera collettività dal pericolo attuale e concreto di gravi danni” ha denunciato in serata il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), Maurizio Carbone che è anche procuratore a Taranto.

Per la valutazioni sul decreto, rimandiamo a quanto detto stamattina in sede di analisi del testo.

Naturalmente Monti ha cercato di stendere la consueta melassa gesuitico-verbale sulla sostanza della violazione istituzionale decisa oggi: “Non chiamatelo decreto ‘salva-Ilva’”, ha spiegato ai giornalisti dettando persino le parole che andranno usate d’ora in poi, , perchè il decreto “semmai è ‘salva ambiente, salute e lavoro presso l’Ilva di Taranto”. Balle.

“Non possiamo ammettere che ci siano contrapposizioni drammatiche tra salute e lavoro, tra ambiente e lavoro e non è neppure ammissibile che l’Italia possa dare di sè un’immagine in un sito produttivo così importante un’immagine di incoerenza”. Quindi nessuna espropriazione di un proprietà in mano a dei criminali che definivano tra loro “minchiate” l’aumento dei tumori nella zona della fabbrica. “L’intervento del governo è stato necessario – ha aggiunto – perché Taranto è un asset strategico regionale e nazionale”. Come il termovalorizzatore di Acerra e la Val Susa: luoghi dove tutti gli altri poteri dello Stato sono stati sfrattati e il controllo democratico sistematicamente aggirato.

“I provvedimenti di sequestro e confisca dell’autorità giudiziaria non impediscono all’azienda di procedere agli adempimenti ambientali e alla produzione e vendita secondo i termini dell’autorizzazione”, ha stabilito il governo sfidando le leggi della logica (non quelle della logica gesuitica, secondo cui la “doppia verità” non è menzogna).

Non è stata comunque una decisione semplice. Il cdm è durato sei ore, segno che i problemi istituzionali erano molti e hanno verosimilmente un continuo colloquio con il Quirinale (tra i ministri “tecnici” non abbondano gli esperti, o almeno gli attenti, alla Costituzione)- E in ogni caso l’inaffidabilità della proprietà – rappresentata dall’inquietante tandem tra “la pregiudicata” famiglia Riva e il presidente ex prefetto Ferrante – è così conclamata che persino il ministro di IntesaSanPaolo )pardon, dello sviluppo economico) Corrado PAssera, si è sentito in dovere di ricordare che se Riva “non si adegua” rischia di “perdere la proprietà”. Per darla a chi?, è la nostra domanda. Noi vorremmo una proprietà pubblica, così almeno i soldi spesi dallo Stato per la bonifica (Riva non ci metterà un soldo, visto che sono già scappati all’estero con la cassa) tornerebbero in cassa con la produzione e la vendita dell’acciaio.

Nel frattempo, dice il gip dei tribunale di Taranto, restano i sigilli allo stabilimento; ma non comprometteranno la messa in sicurezza degli impianti. Il no alla piena disponibilità dei reparti da parte del gip arriva nonostante le parole dell’ex prefetto che aveva motivato l’istanza dicendo che “se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio, l’ovvia insostenibilità economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo”.
I legali del siderurgico intanto procedono con il ricorso al Riesame in cui chiedono il dissequestro dell’acciaio prodotto nei 4 mesi in cui l’azienda non ha avuto facoltà d’uso degli impianti. L’udienza dinanzi alla prima sezione penale è fissata per il 6 dicembre. La Procura, invece, chiamata ad esprimersi, ha dato – sempre oggi – parere negativo alla richiesta di revoca degli arresti per Girolamo Archinà, l’ex responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva (il “corruttore capo”, secondo l’ordinanza d’arresto) arrestato lunedì.

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