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Slitta la “finanziaria” e anche il discorso di Monti

Grandi manovre in corso per Monti e i suoi “centristi” di stampo Troika. In mattinata ha incontrato a Palazzo Chigi Luca Cordero di Montezemolo, che ha fondato il movimento “Verso la terza Repubblica”. Inveitabilmente hanno parlato di strategia elettorale, con voci insistenti che dànno ormai per certa la costituzione di una “federazione centrista” con quattro liste (Udc, Fli, i “montiani” del Pdl – Frattini e Pisanu – e il gruppo di Montezemolo, Riccardi, Passera ed “esponenti della società civile” dal conto in banca piuttosto consistente, altrimenti non ci si entra).

Monti ha comunque rinviato la conferenza stampa di fine anno, prevista inizialmente per venerdì prossimo, perché non è certo che la “legge di stabilità” sia approvata in quella data. I berlusconiani stanno infatti facendo di tutto per allungare i tempi, in modo da obbligare Monti a dare le dimissioni il più tardi possibile. Finché la ex “finanziaria” non viene approvata, infatti, Napolitano non può neanche sciogliere le Camere e indire nuove elezioni – come già previsto – per il 17 o il 24 febbraio. Il ddl, bloccato in commissione Bilancio al Senato, è atteso in aula nel primo pomeriggio, ma non è affatto detto che lì non si manifestino altri comportamenti dilatori.

Il Quirinale ha già risposto: è «interesse del Paese» che «non si prolunghi eccessivamente la campagna elettorale affinché possa ristabilirsi al più presto la piena funzionalità delle Assemblee parlamentari e del governo in una fase sempre critica e densa di incognite per l’Italia». Perciò «le ipotesi di data per lo scioglimento delle Camere all’esame del Presidente della Repubblica, che ne ha la prerogativa esclusiva sentiti i Presidenti delle due Assemblee, non sono dettate da alcuna forzatura o frettolosità».

L’obiettivo può sembrare davvero “minimo”, e lo è, ma il Cavalier Caimano sembra sperare che qualche settimana in più gli possa tornare utile per arrivare al voto in condizioni migliori di oggi (i sondaggi continuano a dargli intorno al 15%), magari ricostruendo un rapporto con la Lega a suon di antieuropeismo reazionario. Di “vincere” le elezioni, naturalmente, non se parla; ma puntare alla frammentazione totale del prossimo Parlamento è in qualche misura possibile. Finito l’effetto “primarie”, infatti, il Pd si trova a dover fare i conti sul lato destro con i “montiani” (molti dei quali renziamente dentro il partito stesso), e con gli “arancioni” (o come si chiameranno) sul lato sinistro. I “grillini” sono in discesa anche per questo (perdono appeal a favore di “giustizialisti” più attendibili, come Ingroia e De Magistris), oltre che per il fatto che ora finiscono sui media solo quando c’è qualche “espulsione” di dissidenti. A destra la mossa di La Russa, Crosetto e Meloni riflette l’implosione dell’ex Pdl, al pari della fuga di Pisanu e Frattini verso Monti.

Il rischio – e anche l’obiettivo berlusconiano – è che venga a mancare un “vincitore” vero, con la massa parlamentare sufficiente a fare da centro gravitazionale. Specie al Senato, dove il diverso sistema elettorale potrebbe ancora una volta anificare il “maggioritarismo” forzoso della Camera, inchiodando qualsiasi prossimo governo alla “sindrome del Prodi 2”. È l’unico scenario, al momento, che potrebbe permettere (non garantire) ancora un ruolo per l’ex pigliatutto di Arcore.

Il dilemma c’è anche per Monti, però. Il suo schieramento è ricco di soldi e di nomi famosi, ma piuttosto giù di consensi popolari. Anche lui ha la necessità di occupare le televisioni, a valle delle dimisioni formali e dello scioglimento delle Camere. E scontata sarà anche la sua campagna elettorale per interposta persona: “ho trovato il paese sull’orlo del baratro”, “ho ridato centralità al ruolo dell’Italia in Europa”, “dobbiamo proseguire il lavoro iniziato altrimenti saranno stati sacrifici inutili”.

Un rosario obiettivamente anti-berlusconiano, che lascia al Caimano un solo spazio: quello coperto in Francia da Le Pen. Ma Monti non può neppure esagerare la contrapposizione a destra, pena il perdere per strada una buona parte del “deposito voti” che ambisce a catturare, col rischio di apparire – suo malgrado – troppo simile al Pd. Ma – se non vi sembra troppo complesso – una simile eventualità finirebbe per svuotare di parecchio il serbatoio bersaniano, sempre tentato dalle sirene del “voto utile”. E sappiamo che “contro Berlusconi”, in certe cerchie di progressisti-tafazzisti, si è disposti a votare anche il palo a cui essere impiccati. Meglio insomma “morire democristiani” – o “centristi” – piuttosto che rivedere Jokerman a palazzo Chigi. Pur sapendo che no, non ci può più andare, e che – nella desolante eventualità – dall’Europa verrebbe ordinata stavolta un’invasione militare, non solo di funzionari contabili.

Scenario contorto, come si vede. E siamo solo alla vigilia della campagna elettorale più infame della storia repubblicana…

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