Menu

Privilegi con le stellette, pretoriani per i privilegiati

I militari possono andare in pensione a 50 anni, tenersi l’85% dello stipendio e continuare a lavorare senza pagare per il cumulo dei redditi. Il contenuto di questo inno al privilegio è negli atti del governo 32 e 33, decreti attuativi della legge 244 del 2012 voluta dal governo Montia e caldeggiata da Giampaolo Di Paola, allora ministro della Difesa ma soprattutto  ex ammiraglio e poi capo di Stato maggiore della Difesa, un “tecnico” molto particolare nel governo dei tecnici voluto da Napolitano e messo in piedi da Monti. Lo stesso governo che ha varato l’infame Legge Fornero sulle pensioni di tutti gli altri.

Il governo Letta ha recepito in pieno le decisioni dell’esecutivo precedente. Il mantra è la riorganizzazione complessiva delle forze armate che prevede trentacinquemila uomini (tra militari e personale civile) in meno in dodici anni e una diversa distribuzione delle spese militari.  Il bilancio ufficiale della macchina militare è di circa 14 miliardi per la “funzione difesa” (i carabinieri attingono fondi, oltre che a questa anche alla «funzione sicurezza”, facendo incazzare di brutto la Polizia di Stato che invece ha i soldi contati). I costi per il personale della Difesa oggi assorbono il 67 %, il 10%è destinato all’addestramento  e il 23% agli investimenti. La dottrina di Di Paola vuole riscrivere queste quote destinando 50, 25 e 25.  Dunque meno uomini, più armamenti.  Come? Scaricando i costi morti della Difesa sulle casse pubbliche e attingendo risorse ad altri ministeri come il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero per l’Istruzione, Università e Ricerca.
In primo luogo c’è il passaggio del personale dalla Difesa ad altro ministero, i prepensionamenti e, soprattutto,  “l’esenzione dal servizio”, comma sesto dell’articolo 2209, il punto più velenoso nel periodo transitorio. Questo infatti prevede che dai 50 anni in poi (dieci anni prima del congedo) i militari possono usufruire  dello “scivolo d’oro” , grazie al quale i militari conservano l’ottantacinque per cento dello stipendio senza lavorare più nemmeno un solo giorno, con tanto di pensione piena. Non viene esclusa neppure la facoltà di fare altri lavori ( ma in questo caso, diversamente dagli altri comuni mortali, il reddito non si cumula). Questo bonus decennale per le forze armate in uscita sarà inserito nel codice dell’ordinamento militare. L’unico ostacolo è che Camera e Senato (che possono però esprimere solo un parere) non si mettano di traverso costringendo  il governo a ripensarci.

Il Corriere della Sera  di oggi raccoglie alcune reazioni. “Quando ho visto quella norma, ho fatto tre salti sulla sedia! Così com’è non passerà. Non è un articolo di legge, è una provocazione”, tuona Gian Piero Scanu, capogruppo Pd in commissione Difesa. “È vero, fa effetto”, ammette Domenico Rossi, ex generale e adesso deputato di Scelta civica: «Però, ci pensi, è la via d’uscita della generazione delle missioni, i cinquantenni di adesso avevano 35 anni in Kosovo. Non è che si possono mandar via così”.

Il Cocer (la rappresentanza “sindacale” dei militari, ndr ), diversamente da Cgil Cisl Uil, ha ottenuto di aumentare dal settanta all’ottantacinque per cento la quota di stipendio mantenuta intatta per la pensione dei militari.

Lo “scivolo d’oro” per i militari nel quadro della riforma delle Forze Armate  non può che  far imbestialire tutti gli altri lavoratori, inclusi quelli pubblici, che – nonostante i luoghi comuni – alla fine fine sono “servitori dello Stato” anche loro.  Magari non sono sul fronte in Afghanistan ma neanche in una caserma nel centro di Torino. Magari combattono un Afghanistan sociale tutti i giorni dovendo metterci la faccia davanti alla gente per parare e gestire responsabilità dei loro dirigenti e governanti. Poi ci sono quelli che la guerra la combattono tutti i giorni nelle fabbriche o nei cantieri e che muoiono o si feriscono in numeri assai più consistenti dei militari sui fronti di crisi all’estero.

Ma la loro fedeltà alla classe dominante non è nelle regole d’ingaggio. I poliziotti che hanno difeso i ministri e i governatori delle regioni qualche giorno nelle strade del centro di Roma, vengono assunti, addestrati e retribuiti per assicurare ai responsabili di poter ignorare o agire velenosamente contro tutto il resto dei “subordinati”. I militari sono obbligati ad obbedire se un governo di pagliacci li spedisce a fare la guardia ad una pietraia in Afghanistan. Si ritiene che questa disponibilità ad obbedire e difendere chi rende la vita impossibile a tutti gli altri, vada retribuita e privilegiata pubblicamente, anche suscitando scandalo e rabbia nel resto della società. E’ un messaggio chiaro e forte, come quello della telefonata del Ministro Cancellieri per intercedere per la figlia di un potente finita in carcere e lì – come gran parte di quelli che vi finiscono – non regge la situazione di cattività forzata: “Noi siamo noi e voi non contate un cazzo!” e se non vi sta bene abbiamo dei pretoriani pagati e privilegiati  per farci rispettare.

 

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Sara

    Il governo tecnico doveva predisporre il golpe e l’avevamo capito , adesso è chiaro che nella distribuzione dei ruoli quello militare è il più privilegiato perchè conosce i segreti di stato della collusione stato-mafia , stati – mafia che corrisponde a stato + potere economico da gestire come privilegi per sudditanza acquisita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *