Le parole sono state dette, quasi tutte quelle a nostra disposizione, in ogni lingua della Babele di questo mondo, sempre più prossimo alla catastrofe generale. Abbiamo pianto, ci siamo sdegnati, abbiamo denunciato il silenzio, o peggio, le menzogne, le acquiescenze, le complicità attive e passive. Il muro di gomma ha accolto la nostra protesta e il nostro furore.
Fra il silenzio di chi avrebbe dovuto parlare e le menzogne di chi parla troppo, siamo rimasti schiacciati, emarginati: oltre a qualche sito e alcuni fogli on line, come questo, a ridurre il senso di solitudine di quanti condividono la mia collera impotente davanti all’osceno massacro. L’ennesima “Operazione Terrore e Orrore” (così deve essere chiamata, altro che “Margine protettivo”) messa in campo dagli israeliani ai danni del popolo palestinese mentre non suscita grandi manifestazioni di protesta, non risveglia l’Unione Europea dal suo letargo colpevole; infine, non anima la milizia degli intellettuali (l’ho denunciato il 22 luglio scorso sul Manifesto).
Invece, sul fronte opposto, c’è un attivismo frenetico: il sionismo ha i suoi guardiani interni, i suoi pasdaran esterni (esempi eccelsi Magdi “Cristiano” Allam a Giuliano Ferrara), i suoi siti di riferimento, e una schiera nutrita di “controllori del traffico”. Alludo al traffico internautico, con particolare riferimento alle testate on line e ai social network: seguono tutto, leggono e mandano lettere, “postano” commenti. Sempre all’insegna di un’aggressività che appare, sul piano della comunicazione politica, il corrispondente del bellicismo forsennato delle forze armate di Tel Aviv. Certo, stiamo leggendo anche parole in libertà di schietto tono antisemita, ma la furia degli oltranzisti filoisraeliani è scatenata a largo raggio, e colpisce non tanto gli antisemiti dichiarati (ovviamente), ma i pretesi “antisemiti nascosti”, e in particolare si avventa contro gli “antisemiti di sinistra” (anche se ebrei: categoria tra le più usate è appunto “l’ebreo antisemita”), o gli “oggettivamente antisemiti”, liquidati come “amici di Hamas”, a sua volta liquidato come gruppo non solo fondamentalista ma addirittura “fascista”. Il dato più interessante è che tali formule sono state imposte da una vera e propria egemonia, talmente efficace da diventare senso comune: a nessuno viene in mente, per esempio, di studiare le trasformazioni che, anche a livello di statuti e documenti interni, Hamas ha avuto nel corso degli anni; nessun commentatore(a parte pochissime eccezioni) spiega che i famosi “tunnel” sono stati un mezzo fondamentale di sopravvivenza per i gazawi, prigionieri nella Striscia. Distruggete il terrorismo, e finirà la “guerra”. Ecco la menzogna che ci viene propinata, anche dagli “equidistanti”; per tutti, la nostra ministra degli Esteri, che nell’unico intervento parlamentare su Gaza ha invitato a “non parteggiare”: ma sì, stiamo alla finestra a guardare il gioco al massacro. E quando il sottoscritto, con altri, ha provato a dar voce, con un Appello, alla rabbia, e incontra il favore di alcuni rispettabili intellettuali e di qualche centinaio di cittadini e cittadine dalle più diverse collocazioni geografiche e professionali (questa è una interessante novità: impiegati, pensionati, disoccupati, lavoratori precari, studenti, insegnanti, medici, infermieri…), non solo italiane, ecco che si scatena la canea. L’Appello circola in rete (lo si trova oltre che su Contropiano, su www.historiamagistra.it, sul Manifesto on line, ma è stato ripreso da molti siti), e piovono le ingiurie.
La pubblicazione di un articolo su Haaretz, foglio della sinistra moderata israeliana (che sia pur senza eccessi di beceraggine, ne parla come di una espressione di “antisemitismo strisciante”) ha avuto l’effetto di rilanciare a livello internazionale l’Appello, che sta veleggiando verso le 1000 firme tra le quali crescono quelle straniere.
Ovviamente la grande cassa di risonanza di Facebook, contribuisce al successo del documento; ma questo grande mezzo di connessione, rivela subito la sua doppia faccia, appunto, trasformandosi in una cloaca maxima, nella quale gli utenti sono “tutti uguali”, e ogni detentore di “profilo” si sente un analista politico, uno storico, un filosofo, un giurista…. In particolare si scatena la lobby sionista, con i suoi sergenti e caporali pronti ad azzannare la vittima, colui o colei che hanno osato aprir bocca, ma non per unirsi al santissimo coro che deplora il lancio di razzi dalla Striscia, mettendo sullo stesso piano i resistenti palestinesi e gli aggressori israeliani…
L’Appello insomma manda in bestia schiere di “osservatori” che, come se fossero in una dimora privata, perdono i freni inibitori e aggrediscono, ingiuriano, mettono alla gogna estensori e semplici firmatari. Un solo esempio: qualcuno nascosto ovviamente sotto un nickname spara: “Il documento è semplicemente disgustoso e spero che qualcuno paghi il prezzo per l’operazione pericolosissima e bieca che si sta conducendo”. Invece firmano i loro post, studiosi (non citerò i loro nomi, perché preferisco lasciarli nel meritato oblio) che arrivano a sentenze di questo genere: “Vien da interrogarsi sulla serietà professionale di storici che si esprimono come degli ubriachi e fanno paragoni privi di fondamento”, e aggiungono parole quali ”bestialità”, “sonore stupidaggini” e “deliranti inviti a buttar nel cesso tutta la civiltà giuridica occidentale per fare processi collettivi”. Nota in margine: se la civiltà giuridica occidentale è “bussare” alla porta prima di sparare, due minuti dopo, un missile che distruggerà la casa, come fanno le forze armate israeliane, possiamo davvero “buttarla nel cesso”, come con alto eloquio si esprime il tizio. Un altro rivolgendosi a un firmatario dell’Appello, ricercatore precario, arriva al punto forse più alto: “Lascio quindi a chi avrà l’arduo compito, in futuro, di valutare la sua professionalità, maturità e deontologia di storico, in qualche concorso nazionale, il compito di prendere in esame […] anche il suo impegno per questo manifesto, e giudicare […] se lei sia o meno maturo e responsabile a sufficienza per insegnare[…], pagato dallo stato e dai cittadini. Personalmente non lo credo [….]. Vorrei solo che le fosse chiaro che esattamente questo è il prezzo del suo appello e che la cosa la riguarda personalmente, così come personalmente lei ha firmato con nome e cognome. Altrimenti che eroismo sarebbe, se non avesse conseguenze?”.
Parole a dir poco sconcertanti . Siamo all’anticamera del plotone di esecuzione. Un altro contesta l’espressione “lento genocidio di un popolo”, con lo strabiliante argomento che a Gaza la popolazione cresce ogni anno (ma sì, un bel salasso di sangue ci sta!). Eppure, il malcapitato firmatario, con toni pacatissimi, pur avendo subito oltraggi e ingiurie (innumerevoli), replica punto per punto, e infine chiude con queste parole: “…perché tutto questo astio? Perché non si può proporre un punto di vista alternativo a quello dominante? Perché non si può discutere senza essere ricoperti di insulti?”. La risposta è nell’oggetto: come la Shoa rappresenta in certo senso l’indicibile, i paladini del suo sfruttamento politico (per riprendere il tema caro a Norman Finkelstein, che, ricordo, è stato qualche giorno fa arrestato a New York, “colpevole” di aver partecipato a una manifestazione contro Israele, dove peraltro, lui ebreo figlio di genitori morti nel lager, è stato dichiarato “persona non grata”), hanno rinchiuso lo Stato di Israele, “erede” della Shoa, in una sorta di sfera magica, che rappresenta lo stesso concetto, l’ineffabilità, inteso alla lettera: non si può parlare, non si può discutere, laicamente. Sicché mentre l’antisionismo viene equiparato all’antisemitismo, con l’aiuto di una legislazione liberticida a livello europeo, siamo sotto ricatto: un collega che ha letto l’Appello, pur affermando che lo condivideva, mi scrive: “io non riesco a sottrarmi a quel ricatto”. Ebbene, davanti all’orrore di Gaza, davanti a quei corpi di uomini bimbi e donne maciullati, a quel deserto di macerie, davanti all’arroganza di chi non pago di aver chiuso 1.800 esseri umani in una scatola di cartone, la schiaccia, con il suo enorme peso, abbiamo non solo il diritto ma il dovere (anche per i tanti ebrei contrari all’occupazione e al massacro), di rompere il tabù dell’Olocausto, e soprattutto smettere di tacere. “Una Norimberga per Israele”, richiesta dall’Appello, è una metafora forte, per qualcuno irritante, contestabile sul piano storico e giuridico, ma adeguata su quello etico-politico, ad esprimere lo sdegno di chi ha deciso di gridare, davanti al silenzio degli uni e alla mezza voce degli altri.
“Gaza: Noi accusiamo”. Un appello
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rita chiavoni
Ho firmato l’appello con convinzione, direi di più, corrisponde perfettamente al mio pensiero in ogni sua parte. Molti, i vili, si dicono le stesse cose tra gli amici più stretti. In questa babele d’ipocrisie di ogni sorta è sempre più urgente porre le questioni in modo chiaro e senza equivoci. E’ necessario anche per non sentirci rabbiosamente soli. Grazie.
Mario Antomelli
Nell’intervento di Gideon Levy ‘Mio dio, l’antisemitismo’ –apparso il successivo16 agosto- si indica in Israele, per gli ebrei che vi abitano e per gli ebrei che abitano in altri paesi, il maggior pericolo per gli ebrei, fino a concludere Mio dio, l’antisemitismo è tornato. Forse è vero. Ma è Israele che ha accesso la miccia. L’intervento contiene cose vere e cose opinabili, ma basta aver letto, anche solo nel titolo l’intervento, a firma Angelo D’Orsi ‘Una Norimberga per Israele?’, del 14 agosto, per rendersi conto che un antisemitismo di cui Israele non ha, nonostante gli orrori che compie il suo governo, responsabilità alcuna, è presente senza alcun rapporto con tali orrori. Perché altrimenti, evocare il nazismo, con un processo auspicato come un secondo processo di Norimberga? Perché un processo che rinviasse a Norimberga non è mai stato chiesto per gli Stati Uniti, per la Francia, o altri paesi? Un vostro sostenitore non ebreo.