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Scuola e formazione nel tritacarne dell’Unione Europea

La riorganizzazione dell’Unione Europea è un fatto ormai compiuto ma che ha un carattere storico e processuale in continua evoluzione: possiamo pure astrarre da questo processo – dall’intero svolgimento del film – il fotogramma del suo presente ma il movimento continua. Questo vuol dire che ciò che sembra definitivamente acquisito o, in altre parole, irrimediabilmente concluso, in realtà è parte di un movimento in atto e, dunque, suscettibile anche dell’inversione della tendenza storica.

Nessuna gabbia d’acciaio dunque. È una premessa necessaria che ci consente sia di aggirare l’immobilismo che deriva dalla convinzione del non poter fare più nulla, sia di affinare gli strumenti d’analisi già presenti nella nostra cassetta.

L’attuale fase di sviluppo dell’Unione europea conferma, in buona sostanza, l’analisi marxiana e marxista sulla caduta tendenziale del saggio medio di profitto ma anche quella sull’ideologia come falsa coscienza e sulla funzione egemonica, soprattutto laddove gli elementi di crisi economica vengono letti esclusivamente sulla base di paradigmi monetaristi e i conflitti militari sulla base dei cosiddetti diritti umani. Che questa lettura sia propria delle classi dirigenti borghesi va da sé, la novità (relativa) sta nell’essere sostanzialmente introiettata anche nel dibattito a sinistra, accettando quegli stessi parametri e auto-relegandosi alla subalternità.

Sul processo che tende a costituire l’Unione Europea in un polo imperialista abbiamo già scritto parecchio; si tratta, adesso, di puntare l’attenzione su quell’insieme di politiche che hanno nei processi di formazione dei giovani un punto cruciale d’insistenza. Giovani intesi come forza lavoro e come portatori di complessive ‘visioni del mondo’ assoggettabili a questo ruolo nuovo dell’Unione Europea e funzionale alla contemporanea divisione internazionale del lavoro. Da questo punto di vista, infatti, la mancanza di specifici progetti nazionali sulla formazione è la spia dell’adeguamento a un paradigma unico europeo sulla formazione in subalternità perché tarato sulle necessità dei paesi dominanti e della costituenda borghesia europea.

È partendo da questa consapevolezza, della centralità che i processi di formazione e le direttive europee sulla ricerca hanno sia rispetto alla costituzione dell’Unione Europea in polo imperialista sia nella selezione della futura classe dirigente, che abbiamo organizzato per sabato 30 aprile a Bologna un convegno dal titolo “FORMAZIONE, RICERCA E CONTRORIFORME”. Il convegno sarà l’occasione per fare il punto su come gli aspetti strutturali delle attuali dinamiche del modo di produzione capitalistico europeo determinano – a livello sovrastrutturale e dunque ideologico – il dibattito interno alla scuola e le pesanti controriforme che negli ultimi venti anni hanno riguardato la scuola superiore e l’università.

Ma il tema della formazione è anche direttamente connesso alle due principali emergenze del momento: la guerra e l’immigrazione. Non sfugge a nessuno come il controllo dello sviluppo scientifico – teoria, ricerca e tecnologia – siano la vera posto in gioco nella competizione internazionale e interimperialista. Le diverse attenzioni rispetto agli arrivi dei migranti in Europa lo testimoniano.

Il sapere, com’è noto, può essere strumento critico d’emancipazione individuale e collettiva ma anche apparato repressivo che irreggimenta.

In questo senso pensiamo che anche nel mondo dell’istruzione che, è bene ricordare, è un settore di massa che riguarda infatti lavoratori, studenti e genitori, l’indicazione da dare sia quella di attrezzarsi per rompere la gabbia dell’Unione. Proprio questo versante della formazione ci pone inoltre un’altra sfida: quella di sfuggire definitivamente da una visione eurocentrica del mondo che vede nel vecchio continente il modello politico-culturale di riferimento e il motore del cambiamento.

In Italia – a livello di massa – abbiamo cominciato a prendere coscienza di questa subalternità all’Unione Europea nel momento in cui la Troika ha obbligato Berlusconi ad abbandonare Palazzo Chigi, sostituendolo nel giro di 24 ore – tramite Napolitano – con Mario Monti.

Così, non c’è più stato argine al prevalere delle disposizioni europee sulle scelte di politica economica, fiscale, di bilancio, che un governo nazionale avrebbe potuto prendere. Il segno più pesante è stato l’inserimento dell’obbligo al pareggio di bilancio all’interno della Costituzione. In questo modo, per quanto ogni stato nazionale sia formalmente sovrano, nessuna autonomia di politica economica è più possibile. Il ritornello è il solito: riduzione della spesa pubblica con tagli lineari alle diverse voci del bilancio nazionale e privatizzazioni. Non è, però, la ratifica dell’estinzione degli stati nazionali come corollario dell’analisi sulla globalizzazione ma la conferma di una tesi generale, l’asservimento sovrastrutturale della politica e del diritto agli interessi del capitale e delle classi dominanti e di una congiuntura attuale riguardante la costituzione dell’Unione Europea in polo imperialista.

Ecco che allora l’Unione Europea è entrata nella vita concreta degli uomini e delle donne in carne ed ossa; e oggi ancora di più, sul piano della formazione e della ricerca. Gli ultimi venticinque anni di politiche sull’istruzione in Italia lo dimostrano. Infatti, per noi parlare di Scuola o formazione vuol dire anche parlare della lettera del 5 agosto 2011 firmata da Jean Claude Trichet e Mario Draghi.

Si tratta allora di capire come questo avviene concretamente dentro i luoghi della formazione e della ricerca, quali dibattiti innesca (anche con funzione ideologica di distrazione rispetto all’effettiva posta in gioco) e quali pratiche concrete ha determinato.

Se – cioè – ormai da qualche tempo l’Ue sta svolgendo una crescente gerarchizzazione e uniformazione dei principali strumenti capaci di incidere sulla realtà sociale ed economica, allora anche il tema della formazione va inserito in questo quadro più generale.

Un convegno sulla formazione e sulla ricerca ha, però, anche un ruolo educativo diretto per tutti i militanti; perché invita a una concezione scientifica dell’analisi e dell’azione politica.

È un problema di scienza rivoluzionaria che torna a ripresentarsi con forza dopo Marx e i marxisti più attenti ma per trent’anni accuratamente rimosso dall’orizzonte, dalla pratica, dalla riflessione della sinistra europea.

I temi della formazione e la riflessione critica su di essi sono stati un patrimonio riconosciuto della storia dei comunisti in Italia e non solo. Riprendere questo filo interrotto non significa, ovviamente, riproporre analisi o soluzioni datate perché il mondo è inevitabilmente cambiato nei suoi assi materiali ma anche nella capacità egemonica del movimento operaio e comunista, quanto piuttosto riprendere l’attitudine ad esercitare sul piano della formazione un’analisi teorica rivoluzionaria che sia sorretta da un approccio scientifico al problema.

La sostanziale liquefazione delle organizzazioni di sinistra più o meno radicali che non hanno retto alla mancanza del riferimento istituzionale, ha quindi ulteriormente rafforzato – dal punto di vista dell’oggettività – la funzione di orientamento generale che la RdC può e deve esercitare.

Ecco perché, allora, abbiamo invitato a discuterne compagni che su questi temi spendono quotidianamente la loro formazione scientifica e la loro passione e militanza politica, con la speranza e la convinzione che il 30 di aprile possa essere l’inizio di una nuova consapevolezza, di un percorso capace di rafforzare l’elemento soggettivo e organizzato dei comunisti e dei lavoratori in Europa per contrastare l’egemonia borghese sulla cultura e sulla scienza e dare il verso giusto alla crisi oggettiva del modo di produzione capitalistico.

Rete dei Comunisti

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