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La Libia e gli scheletri nell’armadio dell’Italia di oggi

Ancora una volta è la lucidità di Alberto Negri sul Sole 24 Ore a sbaraccare i penosi tentativi di occultare le responsabilità delle autorità italiane nella disgregazione della Libia e nelle conseguenze che ne sono derivate – una fra tutti il flusso di profughi sulle coste italiane. Napolitano, primo responsabile, cerca di negare le proprie responsabilità. Salvini che nel 2011 era insieme alla Lega nella maggioranza del governo Berlusconi che tradì il Trattato con Gheddafi e scelse di partecipare ai bombardamenti, oggi fa l’odioso gioco del finto tonto. I risultati delle scelte fatte sei anni fa sotto gli  occhi di tutti e ipotecano non solo la vergognosa partita sul blocco dei profughi in mezzo al Mediterraneo ma anche il ruolo dell’Italia verso i paesi della sponda sud. Una Caporetto politica, diplomatica e morale dalla quale ci si potrà liberare solo con scelte di totale rottura rispetto al passato, al presente e al futuro. Qui di seguito l’articolo di Alberto Negri:

Libia, gli «amici», gli alleati e la Storia

Sulla Libia, dopo le bombe, piovono bugie, quasi ogni giorno. Non stiamo sbarcando sulla ex quarta sponda, già persa sei anni fa. L’Italia non si oppose nel 2011 all’intervento di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ma si unì ai bombardamenti perché i nostri alleati minacciavano di colpire i terminali Eni, come ha detto anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini.
L’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rimise al presidente della repubblica Giorgio Napolitano la decisione dell’intervento. La Germania si rifiutò di partecipare ai raid, l’Italia lo fece per difendere i suoi interessi.
Il 30 agosto 2010, sei mesi prima dei bombardamenti, Muammar Gheddafi era stato ricevuto in pompa magna a Roma per firmare contratti miliardari: erano tutti contenti, maggioranza e opposizione, tutti egualmente responsabili, perché gli accordi con Gheddafi sono stati sostenuti sia dai governi di destra che da quelli di centro-sinistra. Un certo consenso, anche se assai inferiore rispetto al 2010, accompagna oggi l’invio delle navi a Tripoli deciso sotto la pressione dell’opinione pubblica, irritata per l’arrivo di ondate di migranti, e delle mosse incalzanti della Francia di Emmanuel Macron.
L’Italia segnala che intende difendere le sue frontiere a partire dalle acque territoriali libiche. Quali saranno gli effetti sui migranti? Quello di respingerli dentro al territorio libico privando milizie e trafficanti di introiti consistenti: c’è da aspettarsi una loro reazione. In parte hanno ragione le Ong a dire che ci saranno danni seri per i migranti in balìa dei libici. Affermano che si dovrebbero espandere i canali sicuri per i rifugiati e altri migranti. Parole giuste ma chi se li prende in casa, adesso, se non l’Italia? Troppa retorica sulla pelle degli altri, da una parte e dall’altra.
Le navi italiane, appena salpate, sembrano già ostaggio del caos libico. La missione non è, per ora, un intervento militare mascherato come vorrebbero le opposizioni, ma neppure un puro supporto tecnico alla guardia costiera come vuole far credere il governo. Nessuna azione di questo tipo è neutrale, tanto meno in Libia.
È soprattutto un segnale politico che l’Italia non rinuncia a sostenere Fayez al-Sarraj, nonostante la Francia, la Russia e l’Egitto stiano con il generale Khalifa Haftar. Da questa posizione potrebbero derivare conseguenze contrastanti, come il rafforzamento di Sarraj o il suo indebolimento per l’opposizione di milizie ostili che agiteranno la bandiera del nazionalismo. Il generale Haftar minaccia rappresaglie, il figlio di Gheddafi, Seif Islam, ci bolla come «eredi del fascismo».
Inutile dire quanto siano opportunistiche queste affermazioni ma dovremmo anche riflettere sugli errori di calcolo commessi e su quelli che potremmo fare. Qualche giorno fa Abdel Rahman Shalgam, l’ex ambasciatore libico all’Onu, diceva che, pur non avendo simpatie per Haftar, il generale è il padrone della Cirenaica mentre la Tripolitania è divisa in cento milizie e l’unica piazzaforte sicura è Misurata. Andare in Libia senza un’intesa con Haftar è sbagliato perché, come altri, è in grado comunque di sabotare la missione.
È sui nostri errori che puntano i francesi per farci pagare un conto – la disgregazione della Libia – che non è nostro ma loro, degli americani e dei britannici.
Paradossale: l’Italia che aveva in Gheddafi il maggiore partner nel Mediterraneo, ora potrebbe passare alle cronache come il Paese con velleità neo-colonialiste, accusata da miliziani alleati dei nostri alleati che in Libia hanno condotto i raid e tentato di ridimensionare la presenza italiana. Operazione mal riuscita perché l’Eni continua a estrarre gas, petrolio e fornisce la corrente tutto il Paese. Certo che se l’Italia si fosse opposta ai bombardamenti oggi avrebbe ben altra legittimità.
I nostri concorrenti sono guidati da una regola cinica quanto si vuole, ma tipica di potenze con ambizioni militari e un antico riflesso coloniale. In Libia oggi o tu fai il lavoro sporco – ovvero difendere gli interessi strategici – oppure trovi qualcuno che lo faccia al posto tuo. La Francia, la Russia, l’Egitto, gli Emirati, hanno puntato su Haftar. Gli Stati Uniti stanno a guardare: il loro obiettivo è impedire che Mosca diventi troppo influente. Interverranno solo in questo caso.
L’Italia non ha trovato di meglio che il debole Serraj e ora partecipa direttamente al lavoro sporco, cioè fermare i migranti. Forse potevamo evitarlo, forse non c’erano alternative, ma soprattutto dovevamo arrivarci non perché costretti dalle mosse nostri “amici”. Ancora una volta non abbiamo colto le lezioni della storia. E adesso magari ci toccherà ascoltare quelle impartite da altri con il grilletto facile e la mentalità predatoria.

 

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3 Commenti


  • Manlio Padovan

    Per tutto quello che ha fatto contro l’Italia, per essersi rifiiutato di rispondere alla magistratura, per avere tradito la Costituzione, andrebbe processato.


  • Daniele

    No! Andrebbe sottoposto ad un Tribunale del Popolo, poi giustiziato!


  • De Marco

    Nel frattempo per raggiungere risultati concreti adottando un profilo basso l’Italia dovrebbe costruire un gasdotto direttamente dall’Algeria alla Sicilia in joint-venure con lo Stato algerino. Il quale appresserà sicuramente la diversificazione e la stabilità indotta da questo progetto.
    Paolo De Marco

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