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Chi ha paura delle periferie? Una piattaforma comune contro le disuguaglianze

Quattordici milioni di persone vivono nelle periferie delle aree metropolitane, 600mila famiglie sono in emergenza abitativa, 11 milioni vivono in condizione di povertà relativa a causa di retribuzioni troppo basse. Eppure i tagli ai servizi sociali, la negazione di reddito e abitazioni, la destrutturazione del welfare, vanno avanti come un bulldozer, lasciando per strada sul piano sociale macerie, morti e feriti. Dove e come si può attestare una prima linea di resistenza comune a tutto questo?

Domenica 29 a aprile a Napoli (10,30 ex asilo Filangeri), è stato convocato un incontro nazionale per confrontarsi e organizzarsi.

Qui di seguito il testo del documento di convocazione:

Riparte dalle periferie la lotta alle disuguaglianze

Disporre di un alloggio dignitoso e vivere in un quartiere dotato di servizi essenziali per i trasporti, la salute e l’educazione costituiva fino a qualche tempo fa la condizione minima da garantire alla cittadinanza a cui tendevano le politiche pubbliche. Il diritto alla casa, al lavoro e a una dotazione di servizi di base anche se non erano garantiti a tutti costituivano un riferimento sulla base dei principi sanciti dalla Costituzione.
Un prodotto della strategia di finanziarizzazione e gentrificazione delle città degli ultimi governi, soprattutto a guida PD, è stato l’emergere di una sterminata periferia geografica e sociale. In queste aree si concentra più della metà della popolazione del paese, e vi si riscontra la dimostrazione di una disuguaglianza cresciuta a tal punto che diritti che fino a qualche anno fa venivano garantiti alla gran parte della popolazione ora sono diventati un privilegio per una fetta minoritaria di cittadini.
E’ nelle periferie che si registrano tassi doppi di disoccupazione rispetto al resto del paese, dove si produce un forte isolamento a causa della scarsità dei trasporti e dove i servizi sono quasi completamente assenti. Ed è soprattutto nelle periferie che si vive il dramma degli alloggi.
Il numero degli sfratti è estremamente alto (61.718 sentenze nel 2016), con un aumento costante dei casi di morosità; sono oltre 700.000 le domande di casa popolare ancora in attesa, da parte di famiglie che avrebbero i requisiti. Lo Stato non investe più nell’Edilizia Residenziale Pubblica e ciò che resta del patrimonio pubblico è in via di privatizzazione (in Italia solo il 3% del patrimonio abitativo è ancora pubblico, mentre in altri paesi europei si aggira tra il 20% e il 30%), con una vera e propria opera di svendita da parte dei Comuni che va a beneficio di grandi proprietari e speculatori, accelerata dal Piano Casa di Lupi-Renzi. Alla mancanza di alloggi popolari si vorrebbe sopperire con il social housing, una delle tante forme per speculare sulle difficoltà sociali, provando a far soldi sulle povertà attraverso un mondo di agevolazioni pubbliche a privati proprietari e costruttori, somministrate e utilizzate in maniera clientelare (eclatante la truffa dei Piani di Zona a Roma), il cui risultato sono alloggi a prezzi non lontani da quelli del mercato privato.
La precarietà del lavoro, la diffusione dei bassi salari e la sottoccupazione hanno aggravato la crisi degli alloggi. L’area della sofferenza abitativa si è fortemente allargata a vasti settori di ceto medio e chi ieri poteva accedere a un mutuo oggi non riesce a star dietro ai pagamenti (solo nel 2017 sono state messe all’asta 290.000 case).
Il ritrarsi delle politiche pubbliche dalla questione abitativa si traduce anche nell’aumento del patrimonio lasciato in disuso e in cattive condizioni, senza manutenzione e abbandonato al degrado. La rinuncia a garantire il diritto alla casa per le fasce di popolazione a basso reddito si aggiunge alla rinuncia delle amministrazioni pubbliche a salvaguardare il territorio e a metterlo in sicurezza. L’aumento dei disastri ambientali, spesso aggravati dall’incuria e dal malaffare con cui sono state (o non sono state) realizzate le infrastrutture, e l’incapacità dello Stato di affrontare la ricostruzione (dal terremoto de L’Aquila all’alluvione di Livorno) stanno aumentando il senso di insicurezza generale.
La risposta che i governi e le maggiori forze politiche del paese, guidate dalle indicazioni della Commissione UE e dalla Banca Europea, hanno dato di fronte a questo crescente senso di insicurezza si fonda su tre caratteristiche: a) l’aumento del controllo e delle misure di repressione dei cosiddetti “reati urbani” (decreti Minniti) che sta alimentando il razzismo e la guerra tra poveri ; b) la politica di “rigenerazione urbana” fondata su forme di governance mista pubblico-privato, in cui la trasformazione del territorio è subordinata alle opportunità di profitto degli investitori; c) la trasformazione del terzo settore in agenzia di controllo sulla popolazione in difficoltà e l’ingresso del profit nei servizi sociali.
L’accanimento contro le occupazioni, i rastrellamenti di carattere etnico e le azioni repressive contro l’economia informale costituiscono l’aspetto più odioso di questa crociata contro i poveri in nome del ripristino del decoro e della sicurezza. A questo si aggiunge la ghettizzazione dei migranti di “ultima generazione” in un sistema di accoglienza che somiglia a una prigionia, dove la trappola burocratica dei documenti è solo il primo ostacolo al raggiungimento di diritti basilari come la casa; e la tendenza di molti imprenditori a impiegarli a salari infimi, spesso con contratti in nero e nessun tipo di tutela, in ambiti lavorativi particolarmente pesanti o degradanti.
Ma anche la gentrificazione dei centri storici e dei quartieri appetibili per la speculazione è parte della stessa filosofia di governo, che invece di affrontare i problemi sociali, esercita un’azione di controllo e mette al primo posto la tutela della proprietà privata, prima e al di sopra di qualsiasi altro diritto sociale, anche quando essa di fatto si trasforma in rendita parassitaria.
E’ ora di ribaltare questa lettura e di contrastare tutte quelle politiche che stanno aumentando la disuguaglianza sociale a partire dall’affermazione di un diritto universale come il diritto all’abitare, un diritto fondamentale e complessivo poiché la casa non è solo “un tetto sulla testa”, ma la garanzia di un luogo in cui costruire la propria vita in un contesto di uguaglianza, di accessibilità ai servizi, di coesione sociale. Vogliamo confrontarci con le realtà associative, i movimenti urbani, il mondo dei comitati che animano le mille resistenze delle periferie, chi lotta per la casa, le realtà in difesa dei beni comuni, i movimenti di migranti, per condividere la costruzione di una piattaforma generale centrata sul diritto alla casa e al reddito e contro le disuguaglianze sociali. L’obiettivo che proponiamo è la costruzione di una grande mobilitazione nazionale e l’avvio di una vertenza generale sui temi della casa, delle periferie, del reddito e della salvaguardia del territorio.
La questione del reddito, soprattutto dopo la tornata elettorale, è improvvisamente ritornata alla ribalta dell’attenzione generale. Non c’è dubbio che la crescente disuguaglianza sociale così come l’assenza di credibili opportunità lavorative e la forte precarizzazione del lavoro abbiano fatto crescere l’aspettativa di una misura di sostegno al reddito che garantisca almeno il minimo vitale. L’approvazione del REI da parte del governo Gentiloni oltre a rispondere ad una logica di workfare, che mira ad introdurre forme di obbligo al lavoro a qualsiasi condizione, resta molto lontana dalla possibilità di soddisfare le necessità. Un reddito incondizionato contro la precarietà costituirebbe una misura di redistribuzione della ricchezza utile a combattere i bassi salari, la ricattabilità che subiscono i lavoratori poveri e lo stesso lavoro decontrattualizzato.
Mettiamo in evidenza alcuni punti che riteniamo centrali nel dibattito intorno a una nuova politica di contrasto delle disuguaglianze che metta al centro diritti e dignità:

1.Realizzazione di un milione di alloggi ERP in 10 anni sul territorio nazionale, mediante l’utilizzo del 2% delle entrate annue nazionali. Questo piano non deve prevedere consumo di suolo o nuovo cemento, gli alloggi sono da reperire nelle aree urbane abbandonate e nei grandi numeri dello sfitto pubblico e anche privato, mediante acquisizione o requisizione, se necessario, da parte dei Comuni.

2.Riqualificazione delle periferie e risanamento del patrimonio abitativo pubblico, da realizzare tramite lavoro pubblico, non appaltato a privati, e dunque dando possibilità d’impiego a tanti di coloro che negli ultimi anni hanno perso il lavoro o che tutt’ora vivono nella precarietà. Gli interventi devono riguardare il tema degli alloggi, quello dei servizi e dell’ambiente, riconoscendo priorità alle necessità degli abitanti e non agli interessi degli investitori.

3.Abolizione del Piano Casa Renzi-Lupi, con particolare attenzione all’articolo 5 che prevede l’inammissibilità della residenza (e conseguente perdita dei diritti da essa dipendenti come l’accesso al servizio sanitario e scolastico nazionale e alla possibilità di votare o presentarsi alle elezioni) per chiunque non sia in possesso di un regolare contratto abitativo.

4.Blocco della privatizzazione e della vendita del patrimonio abitativo pubblico, ed abolizione delle riforme regionali in materia ERP di Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia, che costituiscono un grave passo in avanti nel percorso di privatizzazione.

5.Fermare gli sfratti, gli sgomberi, i pignoramenti per chi è insolvente con i mutui, l’aumento degli affitti, il processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare degli Enti previdenziali, le dismissioni speculative; garantire il passaggio da casa a casa.

6.Abolizione legge 431 per alloggi non di lusso, in modo da rideterminare in maniera equa i canoni d’affitto anche sul mercato privato, utilizzando come parametro di riferimento la proporzionalità del canone rispetto al reddito dei locatari.

7.Un Reddito di base che assicuri a tutti una condizione di non ricattabilità e che superi le nuove misure di obbligo al lavoro in cambio di elemosine molto al di sotto della dignità. Un reddito quindi incondizionato e che garantisca a tutti di stare al di sopra della soglia minima vitale, composto da una parte di salario diretto e da una quota di servizi (salario indiretto).

8.Abolizione dei decreti Minniti sulla sicurezza nelle città e delle azioni repressive contro i problemi sociali. Va invertita la priorità: prima i diritti fondamentali, poi la tutela della proprietà privata, da subordinare agli interessi sociali.

9.Piano di prevenzione e tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e dalle calamità naturali, che investa le città ma anche le tante zone periferiche del paese in condizioni di grande rischio e di forte isolamento sociale. Questo Piano deve prevedere un rilancio dell’occupazione pubblica in settori strategici per il benessere della collettività anche se poco appetibili per l’investimento privato.

Proponiamo un primo incontro nazionale a Napoli domenica 29 aprile, ore 10,30 c/o ex-Asilo Filangieri in vico Giuseppe Maffei 4 per discutere ed arricchire la piattaforma e costruire un percorso condiviso di mobilitazione nazionale.

Hanno assicurato la loro partecipazione finora:
Benevento: Lap Asilo 31, Movimento di lotta per la casa, Atletico Brigante; Napoli: Movimento per il diritto all’abitare Magnammece o pesone, Ex O.p.g.-Je so pazz, Movimento Lavoratori e Disoccupati di Giugliano; Milano: c.s. Cantiere, Comitato abitanti di San Siro, Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo; Caserta: c.s. Ex Canapificio; Roma c.s. Sans Papiers.
Delegazioni da Livorno, Torino, Firenze, Chieti, Trieste, L’Aquila, Reggio Calabria, Catania, Massa, Grosseto, Cassino, Viterbo, Campobasso, Roma, Milano e Bologna

Per adesioni: asia@usb.it     USB – Federazione del Sociale

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