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Quer pasticciaccio brutto del decreto Genova

A 46 giorni dal crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto, entra in vigore il decreto per Genova, con la firma del presidente Sergio Mattarella e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il governo fa filtrare il nome del super commissario straordinario che sarà chiamato a guidare la ricostruzione, la cui nomina avverrà a stretto giro con un decreto del premier Giuseppe Conte: Claudio Andrea Gemme.

L’informazione mainstream fornisce una biografia del commissario straordinario che ricalca più lo stile agiografico con cui venivano narrate le vite dei santi che una descrizione “asettica” del suo operato, omettendo alcuni particolari rilevanti di questo uomo cardine della trama di poteri politico-economici della Seconda Repubblica.

Non stupisce che sia stato Edoardo Rixi, il sottosegretario leghista alle infrastrutture a definirlo: un professionista e capace e conosce bene Genova.

Gemme era uno dei “papabili” candidati sindaco per il centro-destra a Genova alle precedenti elezioni amministrative avvenute un anno e mezzo fa, per cui è stato selezionato un profilo “simile”, quello dell’attuale sindaco Bucci proveniente dalla imprenditoria e che è stato “imposto” dalla Lega a tutto il centro-destra.

Pochi mesi prima, nel gennaio del 2017, era stato candidato per essere presidente della Confindustria locale.

Gemma è un uomo della Lega Nord, che si è fatto notare pubblicamente già nella primavera del 2008 come vicino a questa formazione politica, e per la precisione “un uomo” di Roberto Castelli e quindi legato a tutto ciò che ha significato questa figura per il peso del Carroccio nell’economia nazionale e nei territori dove governava da tempo nell’Italia Settentrionale.

Nel luglio 2008 Tremonti, affida al manager di Ansaldo Sistemi Integrati, un ruolo ai vertici della società del Tesoro che gestisce l’anagrafe tributaria, la Sogei.

Ma è un anno dopo, che la carriera di Gemme fa “un salto di qualità”. Nell’agosto del 2009 viene infatti scelto dal Ministero dell’Economia, insieme a Pietro Cucci, Giuseppe Cerruti, Bortolo Mainardi e Giuseppe Spampinato per entrare nel Consiglio d’Amministrazione di ANAS per 3 anni.

È bene ricordare come le inchieste del 2016 sulla “Dama Nera” dell’ANAS Antonella Accroglianò, ex dirigente dell’Ente, abbiano portato alla luce, il sistema di spartizione politica delle poltrone di ANAS e il malaffare della concessione degli appalti che, se non hanno toccato direttamente Gemme, hanno di fatto aperto il “vaso di pandora” sulla gestione dell’Ente costruttore di strade.

A Gemme spetta un compito molto delicato, che è quello del lancio della Società sul piano internazionale per cui diviene coordinatore del ramo che gestiste le operazioni internazionali sul fronte della “costruzione” di infrastrutture viarie.

Le mire del gruppo si concentrano su Algeria, Iraq e Libia, e proprio il Paese che nel 2011 verrà l’escalation della guerra civile e dell’intervento internazionale “a guida” anglo-francese.

L’affare più importante per ANAS è la costruzione dell’autostrada Ras Adir-Emsaad che attraversa il Paese Libico dai confini con la Tunisia a ovest fino ai confini con l’Egitto a Est, un opera del valore stimato di circa 3 miliardi di Dollari, per una autostrada di quasi 2000 km da costruire in vent’anni con il primo dei 4 lotti, del valore di 815 milioni, affidato alla Maltauro, ditta famosa tra l’altro per l’edificazione della villa del Cavaliere in un paradiso turistico.

L’autostrada, che è figlia del trattato del 2008, in cui l’Italia riconosce le proprie responsabilità coloniali e si impegna ad “compensare” ciò che ha fatto nel Paese africano, è un gigantesco affare in cui entrano gradi player delle costruzioni italiani, tra cui Impregilo, uno dei fiori all’occhiello della strategia di penetrazione del Bel Paese in Africa.

ANAS diventa advisor con compiti complessi e avrebbe dovuto svolgere ruoli delicati dell’intera attività, essendo General Contractor, con funzione di pianificazione dei progetti, la loro convalidazione, la realizzazione di gare d’appalto e l’alta sorveglianza dei lavori.

Al centro dell’intera operazione c’è Gemme, che è un referente della Lega, ma i sogni del big business nostrano sfumano con l’inizio della “guerra civile” che è ancora in corso, e che vede proprio allora nel 2011 nel personale politico del Carroccio una delle voci più “critiche” nel corso che stava prendendo la piega degli eventi con l’escalation bellica non certo per fini umanitari.

Su quanti e quali fossero gli affari italiani in Libia e a che cordate politiche fossero legati esiste una vasta letteratura, come sui legami che si andavano “infittendo” tra il governo italiano e il sistema di potere libico che ora è un bene rimuovere dal dibattito pubblico, specie se figure centrali di quella configurazione di rapporti si apprestano ad avere ruoli chiavi nella politica attuale: immaginarsi poi andare ad indagare su come siano state ottenute tali commesse per chi ANAS ha vinto il ruolo di Advisor.

Da allora naturalmente, Gemme, uomo del blocco di potere politico-economico, ha assunto altri ruoli di primo piano, che ne fanno un figura chiave dell’establishment e che ora vengono sbandierati come ottimi requisiti per gestire questo “business”.

Come riporta il Sole 24 ORE di sabato 29 settembre, parlando del decreto: “Secondo il provvedimento – 46 articoli che valgono in tutto 645 milioni, di cui 360 fino al 2029 come garanzie pubblica per il rifacimento del viadotto – il commissario avrà un ruolo cruciale: opererà in deroga a ogni disposizione di legge extrapenale, fatti salvi i vingoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’UE, e affiderà i lavori con una procedura negoziata senza previa pubblicazione”.

Un potere immenso e preoccupante, come avevamo avuto modo di sottolineare in un intervento precedente ad un mese dal crollo del ponte.

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Il business della “ricostruzione” e la salvaguardia degli interessi imprenditoriali sono le vere priorità del disegno politico che sta dietro al decreto, che è stato teatro di uno scontro duro tra i vari interessi economici e i propri referenti politici consumato sulla pelle dei genovesi, partorendo un sistema di lottizzazione teso ad una spartizione della torta in grado di creare meno malumori possibili.

La creazioni di una Zona Logistica Semplificata che arriva fino alla Lombardia (Melzo) e all’Emilia (Piacenza) e della Zona Economica Speciale, sul modello di quelle approvate per il porto di Napoli e Gioia Tauro andranno indagate con cura, sebbene indiscrezioni che abbiamo riportato in una analisi precedente sovra-citata indicassero quale scenario aprissero.

Certamente Genova cambierà volto, ma non nel senso auspicato dai suoi cittadini, ed occorrerà vigliare non poco sulle conseguenze che il decreto porterà…

Autostrade per l’Italia, anche se è ritenuta “responsabile dell’evento”, e quindi esclusa dalla ricostruzione dello stesso, non pagherà per questo: se entro 30 giorni dalla richiesta del Commissario del versamento della somma per la ricostruzione del viadotto non sarà effettuata, scatterà un fondo di garanzia pubblico e/o privato (con relativi interessi) che ne garantirà il finanziamento e cui il decreto ha dato copertura.

Chi ricostruirà il Ponte ancora nessuno lo sa. Fincantieri non ha i requisiti necessari per la qualificazione OG3, ma potrebbe essere a capo di una cordata di imprese, in cui potrebbe essere coinvolto solo nella fornitura dell’infrastruttura in acciaio e nel project management, senza essere coinvolta in altre attività. La Pizzarotti si è detta interessata anche nel caso di un Pivot pubblico…

La concessione, che sta seguendo un iter standard della revoca già avviato dal governo ad agosto, teoricamente durerà fino al 2038.

Nell’aprile di quest’anno Delrio aveva concordato con la UE una proroga 2038-2042 per finanziare la Gronda ma l’atto integrativo è fermo.

Stiamo parlando di una società di cui vogliamo mettere in evidenza due dati.

Ha macinato profitti extra, dal 10% a più del 18% a seconda degli anni, perché le stime del traffico sono state sempre inferiori a quelle reali e appellandosi ad una clausola del contratto di concessione che gli permette di “recuperare” le perdite nell’unico anno che ha visto un decremento del traffico a causa dell’impatto della crisi mondiale sull’Italia non ha mai restituito l’extra-gettito che teoricamente doveva alimentare un fondo attraverso il quale lo stato ogni cinque anni doveva recuperare il gap.

Particolare non irrilevante, non ha mai alzato le stime del traffico dal 2013 nonostante questo crescesse costantemente ogni anno.

Solo nel 2017 i ricavi da pedaggio “reali” erano pari a 3.321 milioni di euro, contro i 2.856 “stimati” con un più 16,3% – si noti che la stima era pressoché identica alla realtà del 2013!

Ma alla fine, la libera impresa dov’è?”, si chiede, Laura Serafini, giornalista del Sole 24 Ore in un articolo del 20 settembre in cui viene analizzata la concessione ed i bilanci della società.

E se se lo domanda perfino il giornale di Confindustria…

La fine del braccio di ferro dall’ex ministro delle infrastrutture Di Pietro sugli extra-profitti di Autostrade, ingaggiato nel 2006, ma non della “storia” della concessione,  avviene con una convezione “anomala” in quanto approvata per legge nel 2008, successiva all’esito di un contenzioso finito alla UE, che si è espressa a favore della tutela dei diritti acquisiti del Privato.

L’Unione Europea ha difeso l’operato di Autostrade, il governo Berlusconi l’ha suggellato e nel 2013 un Decreto Ministeriale del ministro Lupi ha approvato l’atto aggiuntivo ora vigente.

Nel testo di più di duecento pagine compilato dalla commissione ispettiva del MIT riguardo alla gestione di Autostrade emerge un aspetto rilevante.

Stando i dati, risulta che dal 1982 ad oggi l’importo per i lavori strutturali del ponte sono stati pari a 24 milioni 610 mila 500 euro. Colpisce che il 98% di questa somma è stata spesa prima del 1999 (anno della privatizzazione della rete autostradale). Da quell’anno in poi Aspi ha investito sul ponte Morandi il 2% delle somme complessive. Nel dettaglio, in 19 anni – dal 1999 ad agosto 2018 – sono stati spesi 23mila euro l’annui, per un totale di 470 mila euro.

Sì avete capito bene, alla luce dell’extra-gettito ottenuto con stime ribassate del traffico e mai restituite ad un sistema di potere che gli garantiva una rendita sicura, per un monopolio naturale che potrebbe terminare nel 2038, ASPI ha speso per la manutenzione di un ponte costruito a metà degli Anni Sessanta, l’equivalente del costo di un lussuoso bilocale nel centro cittadino della Superba…

Nel corso delle indagini stanno emergendo le varie e reiterate richieste di monitoraggio ed interventi rilevanti da parte di varie aziende “preposte” alle verifiche del tutto inascoltate.

Nel documento di 225 pagine, acquisito dalla Procura della Repubblica emergono, come riportato da Ivan Cimmarusti, nel Sole 24 ORE di mercoledì 26 settembre: “procedure di controllo strutturale inadeguate, documenti sulla situazione della sicurezza di cui non ci sarebbe traccia, investimenti per lavori ridotti all’osso e verifiche sul progetto di restauro affidate ad una società priva dei requisiti previsti dalla legge”.

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Appare evidente che l’unica soluzione concreta plausibile, alla luce di quanto verificato, sia la nazionalizzazione, mentre la strada del governo si orienta verso un lungo contenzioso che di fatto rischia di non cambiare di una virgola la situazione di un monopolio naturale che ha dimostrato la sua tragica inefficienza, il suo cinismo cronico nell’intascare extra-profitti, senza avere la minima cura della manutenzione e senza che gli attori politici in campo muovessero un dito per impedire che questo si tramutasse nella catastrofe del 14 agosto.

Anche per questo, ci serve un popolo nelle strade ad iniziare dalla manifestazione del 20 ottobre a Roma promossa dall’Unione Sindacale di Base, Potere Al Popolo e altri movimenti e forze politico-sociali, per costruire una opposizione sociale che costruisca una alternativa di sistema che “rompa” con tutto ciò che è stata la gestione dei beni pubblici fino ad ora.

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