Una manovra di piccole cose, che nel loro insieme muovono grandi cifre, ma che non incideranno in modo sostanziale nella vita delle diverse fasce sociali cui si è venduta una “rivoluzione” o un “grande cambiamento”. L’unica cosa vera, per il momento – il testo della legge di stabilità è per definizione un canovaccio sempre modificabile, dalle obiezioni dell’Unione Europea fino al consueto “assalto alla diligenza” in Parlamento – è un lieve scostamento dalla direzione fin qui imposta dalle politiche di austerità. Ma anche questo più enfatizzato che reale.
Ieri sera il consiglio dei ministri ha approvato il decreto fiscale, e il disegno di legge sul bilancio, trovando alla fine la “quadra” tra le ambizioni leghiste e quelle grilline, entrambe sorvegliate dalla necessità di “mantenere in ordine i conti”, come vuole la Ue e il suo garante Tria.
E’ utile non tenere conto, nell’analisi delle varie misure, di quanto declamato dai singoli protagonisti, almeno in prima istanza. Le esigenze della propaganda, infatti, superano di gran lunga i fatti concreti. Vediamo perciò i vari punti, misurando successivamente la distanza con le promesse.
Pensioni
La “legge Fornero” viene ritoccata introducendo la “quota 100”, ovvero la possibilità di uscire dal lavoro a 62 anni di età e 38 di contributi (o altre combinazioni possibili, ma sempre a partire dai 62 anni). E’ una misura che viene incontro in primo luogo alle esigenze delle imprese – soprattutto quelle del Nord, base elettorale leghista, dove forte è la necessità di “svecchiare” la manodopera, sostituendo lavoratori anziani con buon salario e contratto con giovani precari e pagati una miseria – molto meno a quelle dei lavoratori. Nel testo inviato a Bruxelles non c’è alcun dettaglio ulteriore, ma tutte le indiscrezioni fatte circolare di proposito nei giorni scorsi indicano una forte penalizzazione per i lavoratori che sceglieranno di utilizzare questa “finestra”. In alcuni casi – IlSole24Ore – è stato calcolato che potrebbe essere imposta una riduzione del 25% dell’assegno pensionistico. Non proprio un regalo…
Pensioni d’oro
Il taglio riguarderà gli assegni mensili superiori ai 4.500 euro netti e il governo pensa di ricavarne 1 miliardo. Si tratta di uno dei cavalli di battaglia pentastellati, osteggiata a lungo dalla Lega (e infatti prima si parlava di un tetto intorno ai 3.500 euro), ma esposta a ricorsi quasi certamente vincenti davanti ai giudici e davanti alla Corte Costituzionale. A seconda della formula che sarà scritta per realizzarla, infatti, c’è il rischio che violi il principio della “non retroattività” di ogni legge. Anche se molto popolare tra i non addetti ai lavori, una violazione di questo tipo – se diventasse la normalità – sarebbe un’arma micidiale in mano a qualsiasi governo, anche il più folle. Solo due esempi: a) le pensioni già erogate, anche al di sotto dei 4.500 euro mensili, potrebbero domani venire tagliate per “esigenze di bilancio”; b) una riformulazione ancora più reazionaria del “decreto Pillon” potrebbe dichiarare reato l’aborto, anche se praticato durante i decenni in cui era legale. Chiaro?
La pace fiscale
Alla fine il maxi-condono anche per i grandi evasori (fino a 1 milione, voleva la Lega) non è passato. L’accordo raggiunto stabilisce un’aliquota al 20% per sanare il pregresso di chi ha già presentato la dichiarazione dei redditi. Potrà esser fatto emergere fino ad un massimo del 30% in più rispetto alle somme già dichiarate e comunque con un tetto di 100.000 euro per periodo d’imposta. Inoltre, potranno essere sanate le liti con il fisco pagando senza sanzioni o interessi il 20% del non dichiarato in 5 anni in caso di vittoria del contribuente in secondo grado (o il 50% in caso di vittoria in primo grado). In arrivo anche la rottamazione ter delle cartelle Equitalia, che cancella come in precedenza sanzioni e interessi, dilazionando i pagamenti in 20 rate in 5 anni. Per eliminare milioni di micro-provvedimenti arriverà lo stralcio delle minicartelle sotto i mille euro, dal 2000 al 2010. In pratica le multe stradali e altra piccole infrazioni.
Il reddito di cittadinanza
E’ la grande incognita della manovra. L’attivazione della misura scatterà nei primi tre mesi del 2019. L’assegno da 780 euro – per quelli che lo percepiranno, ma la platea non è affatto chiara – verrà caricato sul bancomat, e ci sarà anche l’annunciato “monitoraggio sugli acquisti”. Ci dovrebbe essere anche l’obbligo di frequentare corsi di formazione, nonché quello di prestare 8 ore a settimana di “lavoro socialmente utile”. La revoca della misura scatterà al terzo rifiuto di un’offerta di lavoro. La temuta “deportazione regionale” resta, ma limitatamente alla seconda o terza offerta di lavoro. In pratica si prepara uno spopolamento delle aree “depresse” del paese, con l’obbligo di andare a lavorare altrove, a qualsiasi salario ti venga offerto e quindi nell’impossibilità di sopravvivere tra affitto, bollette, costo dei mezzi di trasporto, ecc. A un passo dallo schiavismo, insomma.
Flat Tax
Come avevamo già scritto, questa non c’è. Viene esteso invece il forfait al 15% per i professionisti che dichiarano fino a 30.000 euro e per le altre categorie che arrivano a 50.000 euro. Potrebbe essere estesa ad autonomi, Sas, Snc e Srl con ricavi fino a 65.000 euro. Per chi guadagna dai 65.000 ai 100.000 euro è previsto un 5% in più. Start up e imprese avviate dagli under 35 avrebbero invece un ulteriore al 5%. Un “forfettone”, insomma, che serve soprattutto alle picole imprese e ai professionisti, base portante dell’elettorato leghista e in parte anche di quello grillino.
E anche il “decreto semplificazioni” conferma che al centro dell’attenzione anche di questo governo ci sono soprattutto le imprese, non lavoratori e disoccupati. Rinominato «taglia scartoffie e leggi inutili», questo decreto-bis cancella oltre 100 “adempimenti per le imprese”. Manca un passo al “fate un po’ come ca..o vi pare”…
Molta propaganda intorno all’aumento della tassazione sul gioco d’azzardo, «una piaga sociale da combattere», dimenticando le decine di miliardi di mancata riscossione nel settore.
Queste le parti essenziali, in attesa di vedere i dettagli. Ma soprattutto il “voto” della Commissione Europea, che potrebbe costringere a veloci riscritture, anche drastiche.
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Massimo
Quota 100 è stata frettolosamente sostituita con il paletto di 38 anni di contribuzione, probabilmente su imbeccata dell’Europa al povero Tria che tornato con la coda tra le gambe ha prontamente snaturato la sedicente riforma (sic!) della Legge Fornero. Qualche attinenza con la vicenda di Tsipras c’è. E assisteremo al gioco delle parti dove l’Europa fingerà di minacciare il governo Conte e il duo Salvini Di Maio sbandiererà una vittoria inesistente. A perdere, , così come accaduto in Grecia, saranno i lavoratori.