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La “manina” che strozza l’accordo Lega-M5S

Che il governo a tre presentasse problemi di tenuta fin dall’inizio, ci era abbastanza chiaro. Mettere insieme blocchi di interessi sociali diversi (Lega e M5S), entrambi posti sotto tutele contabile da parte dell’Unione Europea (Tria, Mattarella, Moavero Milanesi), significava disporsi a camminare sul filo mentre soffia tramontana.

Però che il bubbone sarebbe esploso così presto, effettivamente, era un po’ difficile da prevedere, anche per il più speranzoso dei “gufi”.

Ieri sera il vicepremier e ministro Luigi Di Maio ha utilizzato il megafono tardo-democristiano di Bruno Vespa per buttare lì una bomba politica di prima grandezza: «Non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato» che riguarda la pace fiscale. «Domani sarà depositata una denuncia alla procura della Repubblica».

Stiamo parlando della più importante legge dello Stato – quella di “stabilità”, che regola entrate e uscite per il prossimo anno – su cui già ora la Commissione Europea ha anticipato il veto, aprendo quindi un contenzioso dalle incerte conseguenze (è la prima volta che accade, nella Ue). Una legge che, garantisce il Quirinale, non è neppure ancora arrivata sul tavolo del presidente della Repubblica, come se in due giorni il “camminatore” non fosse riuscito a coprire i 500 metri che separano Palazzo Chigi dal Colle. Una legge che – una volta approvata dal Consiglio dei ministri – nessuno può azzardarsi a modificare senza aprire un confronto politico nel governo.

I problemi sono parecchi, ma di due tipi, fondamentalmente.

Il merito della “manipolazione”. Su questo Di Maio è stato chiaro. «Nel testo che è arrivato al Quirinale c’è lo scudo fiscale per i capitali all’estero. E c’è la non punibilità per chi evade. Noi non scudiamo capitali di corrotti e di mafiosi. E non era questo il testo uscito dal Cdm. Io questo testo non lo firmo e non andrà al Parlamento. Questo è un condono fiscale come quello che faceva Renzi, io questo non lo faccio votare. Non abbiamo mai chiesto né parlato di scudare capitali all’estero e tanto meno di prevedere l’impunità per gli evasori. Non abbiamo mai discusso di questi temi e soprattutto mai pensato a dare l’impunità per il reato di riciclaggio».

Si tratta di temi contro cui i Cinque Stelle hanno costruito gran parte della loro fortuna politica, quindi impossibili da avallare senza perdere automaticamente l’aura di “onestà” che li ha portati a diventare il primo partito nel paese.

La “manina” che avrebbe apportato le modifiche è certamente competente, sia in in materia economico-legale, sia in equilibri politici.

Secondo la denuncia (solo politica, per ora) di Di Maio la possibilità di “pace fiscale” (pagando il 20% del dovuto, senza sanzioni e interessi) sarebbe stata in modo fraudolento estesa a due imposte che riguardano proprietà e attività fiscali extra-confine (Ivie e Ivafe), che riguardano gli immobili all’estero e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero. Insomma, una specie di “scudo fiscale” per i capitali oltre confine.

Proprio come quello varato a suo tempo – con dettagli leggermente diversi – da Berlusconi-Tremonti, Renzi-Padoan, ecc. Come “governo del cambiamento” non c’è male…

In questi ultimi anni, quelli renziani, si chiamava voluntary disclosure, anzi è ora persino più benevola (la vecchia voluntary prevedeva il pagamento di tutto il dovuto, mentre ora gli evasori pagherebbero solo il 20%; bello sconto, vero?).

Ma c’è ovviamente di peggio, visto che la stessa “manina avrebbe” autorizzato anche uno scudo penale per chi presenterà la dichiarazione integrativa. Se, come c’è scritto nel testo “taroccato”, non c’è punibilità per “dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva”, questa “facilitazione” varrebbe automaticamente anche in caso di riciclaggio o impiego di proventi illeciti. Un po’ troppo sfacciati, dài…

Altri argomenti spinosi già non mancavano, visto che la formula usata per delimitare la sanatoria di fatto esclude gli “evasori per necessità” (di cui si riempiono la bocca tutti i leghisti ospitati nei talk show), mentre ci rientrerebbero gli evasori totali, quelli che non vogliono pagare nemmeno davanti a una pistola puntata. Lo sconto sulle imposte si applica infatti sul “maggior reddito dichiarato” (nascosto al fisco), ma non a chi ha dichiarato tutto e poi non ha versato le imposte perché non aveva i soldi.

Il secondo ordine di problemi è tutto politico, invece.

Se c’è stata davvero una “manina” competente che ha provato a far passare condoni non concordati tra i “tre governi in uno”, si tratta di scoprire a chi appartiene. Non è una indagine complessa, perché può essere stato solo un ministro o un vice, o il sottosegretario alla presidenza del consiglio (il leghista Giorgetti).

Se invece era già tutto scritto così come si legge oggi, allora i ministri grillini – e tutto il loro staff, Giuseppe Conte compreso – semplicemente non avevano capito che cosa stavano elaborando di concerto con la Lega e Tria.

In entrambi i casi, però, questo governo sta insieme con lo sputo. Perché nel primo caso i leghisti sarebbero i nuovi berlusconiani, interessati soprattutto a fare gli interessi delle imprese, qualsiasi cosa facciano (evasione fiscale compresa); disposti a tutto, anche a taroccare la prima legge dello Stato infilandoci nottetempo frasi opportunamente scelte. Nel secondo, perché i grillini sarebbero degli incompetenti totali che poi buttano per aria il tavolo quando si accorgono di essere stati presi per il naso.

Sia chiaro. Queste cose accadono nella normale dialettica politica di qualsiasi governo in qualsiasi paese, ma hanno altrove un esito obbligato: lo scioglimento dell’alleanza di governo e la formazione di uno nuovo, oppure elezioni anticipate. L’unica alternativa in mano al ministro o partito che si ritiene truffato è infatti una sola: tacere e dunque cercare di rifarsi in un’altra occasione (a parti invertite), oppure denunciare davvero tutto e far saltare l’alleanza.

L’unica cosa che non si può fare è proprio quella provata fin qui da Di Maio: denunciare e continuare ad andare avanti come prima.

Ci sembra perciò altamente utile il sarcasmo del commento di Giorgio Cremaschi alla vicenda.

E adesso pover’uomo?

Questa davvero è un cambiamento, robe così non risultano agli archivi. Di Maio annuncia che denuncerà alla Procura della Repubblica la manipolazione del suo decreto fiscale del suo governo. Egli stesso ammette che quel testo contiene uno scandaloso condono, e anche una salvaguardia sul piano penale, per chi ha riciclato all’estero capitali sporchi. Mafie, corruttori e corrotti vari ringraziano.

Di Maio annuncia solennemente in TV che tutto questo è avvenuto a sua insaputa e che per questo andrà dal giudice. Ma chi denuncerà il vice presidente del consiglio? Salvini che conferma integralmente il provvedimento? Conte che come al solito non sa nulla? Tria che complotta nel buio? Castelli che non ha controllato i testi? O sé stesso per manifesta incapacità? Non lo sa Di Maio cosa approva? Non ha dei collaboratori che leggano i testi per lui? Non lo sa, il pover’uomo, che condono chiama condono? Che questa sanatoria sempre più vergognosa non riguarda solo l’evasione fiscale, ma anche quella dell’IVA e dei contributi previdenziali?

E siccome il testo non è ancora pubblico, finora neppure è arrivato al Quirinale, chissà quante altre porcherie contiene, come il decreto Genova nel quale una manina a cinquestelle – così dichiara Salvini – ha inserito la sanatoria per le case abusive di Ischia.

Che scambio di gelide manine tra Di Maio e Salvini: io metto una cosa a te, tu metti una cosa a me.

Ora però Di Maio annuncia, il che vuol dire che non è proprio detto che lo faccia, una denuncia in Procura.

Pover’uomo o ci fa o ci è, se fosse un concorrente de La Corrida a questo punto sarebbe travolto dai campanacci, ma come vicecapo del governo gode ancora del residuo credito che gli deriva dal discredito dei suoi predecessori. Di Maio deve tutto a Renzi, che come lui aveva inizialmente maturato un grande consenso, ma questa eredità si sta consumando rapidamente.

A sua insaputa.

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