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No Pillon! Verso il 24 novembre

Il 10 novembre in numerose piazze italiane si terranno manifestazioni contro il ddl Pillon, indette dalla Rete Di.RE (la rete dei Centri antiviolenza), un primo momento nel quale far sentire forte e chiara tutta la nostra indignazione contro ogni proposta che intenda limitare il diritto all’autodeterminazione delle donne.

Il ddl Pillon si inserisce a pieno titolo in un disegno che perpetua l’attacco alle donne, un disegno che passa anche attraverso le mozioni comunali che vorrebbero mettere in discussione la 194 e ridistribuire le risorse pubbliche in chiave di imposizione sull’autodeterminazione delle donne, perimetrandone la morale e giudicandone  la vita privata.

Un disegno collettivo dove si sommano  sistematicamente gerarchie e pulsioni reazionarie che passano  dal disconoscere gli spazi di autogestione, al criminalizzare le marginalità sociali a colpi di Daspo, spezzando i nessi della solidarietà sociale, mettendo a tacere chi alza la testa, istituzionalizzando l’apartheid.

Un disegno che fa del dominio la sua premessa  e delle mura domestiche il suo laboratorio sperimentale.

Un progetto contro le donne su affido e mantenimento dei figli per difendere la famiglia tradizionale e ristabilire ruoli e gerarchie di genere che negano l’autodeterminazione delle donne.

Un progetto mistificatorio, ideato senza alcuna considerazione della violenza come dato di carattere strutturale e come causa di allontanamento  autoconservativo  da relazioni affettive dove il dominio maschile va in cortocircuito  e il ricatto economico si manifesta in tutta la sua forza.

Un progetto di legge che arriva a violare i principi della Convenzione internazionale di Istanbul laddove  la mediazione obbligatoria costringe la donna vittima di violenza a frequentare il coniuge maltrattante e di fatto impedisce alle vittime di violenza familiare di sottrarsi al persecutore proteggendosi in una casa rifugio con i propri figli.

Un progetto che non tiene in considerazione le condizioni economiche di partenza e avrà impatti differenziati a seconda del reddito e che di fatto abolisce l’assegno di mantenimento per i figli.

Un progetto che si muove nell’alveo della sanzione ricattatoria e della paura e che senza alcun fondamento scientifico assurge a teorema la “sindrome da alienazione parentale”: se la bambina/il bambino non vuole stare con uno dei genitori può essere sottratto al genitore cosiddetto “alienante” ed addirittura essere posto in una casa famiglia.

Un progetto di legge che si innesta a gamba tesa come variabile peggiorativa che si va a sommare alla disparità salariale, alla crescente dismissione del welfare in nome del risanamento del debito e all’istituzionalizzazione del welfare aziendale, alla femminilizzazione del lavoro caratterizzato dai tre parametri di piena disponibilità di tempo, intermittenza e gratuità lavorativa.

Il tutto in una cornice internazionale in cui la stessa Commissione  Europea ha stimato che le donne guadagnano in media il 16,2% in meno rispetto agli uomini, con enormi disparità fra i vari stati dell’Unione.

In Italia la disparità è tale che, a conti fatti, sarebbe come dire che dal 3 novembre scorso le donne lavorano gratis fino alla fine dell’anno perché, simbolicamente, da questa data cessano di essere pagate  per il loro lavoro in rapporto ai colleghi uomini.

Con l’aggravante che lo smantellamento sistematico del welfare carica sulle spalle delle donne tutto il lavoro di cura.

Lo Stato, incapace di garantire un minimo di redistribuzione e protezione sociale (lavoro, salute, istruzione, casa…) si manifesta nella sua funzione  di controllo e di pulsione all’ubbidienza e lo fa a partire dai migranti e dai corpi delle donne, usandoli come terreno di ricatto economico cosi come strumento passivo funzionale a legittimare la deriva razzista e securitaria.

Il 24 novembre USB sarà in piazza, nella manifestazione lanciata da Non Una Di Meno nell’assemblea nazionale di Bologna del 6 e 7 ottobre scorsi, che quest’anno si caratterizza, principalmente, proprio contro gli effetti del DDL Pillon e del decreto Salvini.

La scheda dell’Usb sul “decreto Pillon”.

A seguire, ci sembra utile riproporre l’analisi del decreto e delle sue conseguenze, esposta da una psicologa che si occupa professionalmente dell’arco infinito di problemi che sorgono nelle cause di separazione e quindi di affidamento della cura dei figli.

*****

Sul ddl Pillon

Comincia ora la discussione del ddl Pillon, un disegno di legge teso a riformulare le norme della separazione tra coniugi in particolare in presenza di figli. Il disegno di legge prevede alcuni cambiamenti salienti che qui vorrei sintetizzare

obbligo della mediazione familiare, in presenza degli avvocati di parte per avviare la separazione
– abolizione dell’assegno di mantenimento, con divisione delle spese fatte in base al riscontro delle prove di pagamento
– divisione rigorosa a metà del tempo passato con i figli.
– Un indennizzo per il genitore che lascia all’altro la casa di proprietà

E nel dettaglio si riscontra:
– cambiamento dell’accordo solo previo accordo della coppia
– nessuna osservazione aggiuntiva o casistica particolare quando i figli in questione dovessero essere molto piccoli, per esempio sotto i tre anni
– nessuna rilevanza rispetto i desideri espressi dai minori
– nessuna possibilità di ricorrere al tribunale di fronte all’inadempienza di un genitore.

Sulla carta, può giustamente sembrare a molti, un notevole passo avanti giuridico. L’attuale diritto di famiglia protegge molto le mogli e le madri, e spesso questa protezione in sede di tribunale diventa l’arma con cui ex partner vengono messi in grave difficoltà economica, in primo luogo, ma anche spesso resi protagonisti di vicende familiari in cui sono loro malgrado, allontanati dai figli. Oggi davvero molti padri, hanno un sincero desiderio di passare più tempo con i propri figli, e un sincero desiderio di sorvegliarne la crescita e sono davvero tante le vicende amare per cui ci sono uomini allontanati dalla famiglia perché le ex compagne fanno in modo che i figli non vogliano incontrarli.  

Inoltre, quando le associazioni di padri separati sottolineano l’enorme onere economico a cui vanno incontro, denunciano il vero specie se si pensa alla questione dell’assegnazione della casa, che viene stabilita in base a quale genitore vivrà con il figlio, per cui può accadere che un padre, titolare di una casa di proprietà ne perda completamente la titolarità e si trovi a dover pagare un affitto e anche un assegno con degli alimenti. Per molte persone è davvero oneroso e complicato.

Non è tema di questo post, ma una correzione della legge attualmente in vigore che allevi la situazione del genitore a cui non è assegnata la casa – stabilendo un indennizzo, risarcendolo con delle esenzioni fiscali? sono ipotesi – potrebbe essere una cosa intelligente, così come aiutare questi nuovi padri ad essere tutelati nel loro voler essere più presenti nella vita dei figli – per esempio alzando l’asticella del minimo di cura necessario.

Da psicologa, per me, per esempio: l’attuale giorno a settimana più i due fine settimana al mese sono davvero troppo pochi. Almeno un altro giorno infrasettimanale, sarebbe una cosa auspicabile per il benessere dei bambini. La famiglia cambia, i padri cambiano, ed è giusto che cambi la legge che ne regolamenta la vita quotidiana. Ma sono blande ipotesi – ci sarebbe molto da fermarsi e pensare.

Tuttavia, questo ddl rappresenta la risposta mal strutturata e peggiorativa di una domanda anche lecita, e lascia basiti, al di là del banale conflitto di interessi, considerare il fatto che a proporlo è un professionista – il presidente di un’associazione di mediazione familiare – che dovrebbe avere (si presuppone, evidentemente a torto) qualche rudimento di esperienza materiale in fatto di separazioni.

Lascia basiti perché per gli addetti ai lavori, che siano mediatori, che siano avvocati, che siano psicologi, constatano che per come è scritto questo ddl

1. Incrementa la conflittualità genitoriale, dilatandola e procurando alla coppia una moltiplicazione di occasioni di lite

2.   Lede gravemente, davvero gravemente, gli interessi dei bambini.

3. E’ particolarmente delirante nei casi in cui ci sia violenza di genere, per la diffidenza che mostra verso le denunce in questo ambito, e i poveri bambini siano vittime di violenza reale o assistita.

Vediamo i singoli punti.

La conflittualità genitoriale è molto aumentata dalla perdita dell’assegno di mantenimento. L’assegno di mantenimento è magari un accordo difficile da digerire, ma almeno impone alle parti in causa di risolvere la questione una volta per tutte, e poi di riuscire in qualche modo a organizzarsi nelle proprie vite separate. L’idea che le spese debbano essere continuamente riconteggiate e divise al millimetro, mi pare che ridia ai membri della coppia continue occasioni di dissenso, piattaforme simboliche su cui di volta in volta rimettere in campo disagi emotivi. Perché, come capita di constatare nelle liti in tema di eredità, le persone per i soldi si dilaniano, ma non per il luogo comune dell’avidità e che tutti sono brutti e cattivi, ma perché sui soldi simbolicamente si mette in campo una proiezione affettiva, sono i sostituti di primo grado da un punto di vista simbolico dell’amore, della relazione, che piaccia o meno. Sono la moneta vicaria dell’essere con. Ed è semplicemente delirante mettere dei genitori nella posizione di stare a rinegoziare la fine del loro affetto e il loro voler bene ai figli a ogni scontrino fiscale.

Ugualmente, anche partire dalla teoria del figlio diviso a metà per tempi e spazi, ripropone continue situazioni di conflitto, specie considerando l’attuale organizzazione economica e sociale delle coppie. Davvero all’atto pratico i padri italiani riusciranno a reggere tutti, questi ritmi? E quando non riuscissero e delegassero a oltranza o chiedessero al partner di riprendersi la prole è sicuro che questo non creerebbe disagio? E ancora liti?
Questo ddl riguarda gli uomini e le donne, in un momento di vita tra i peggiori e i più dolorosi, un momento di vita che li rende ammalati: ossia in difficoltà, conflittuali, intolleranti, spesso magari non sempre, ma spesso, al peggio di se. La separazione è non di rado una sorta di adolescenza cattiva, dove tutti protestano tutti piangono tutti si trovano in un cambiamento che non avrebbero voluto.

Pensato in questo modo, le parti sono incoraggiate a rimanere in questo stato di aggressione permanente, con mille quotidiane occasioni di risentimento. E’ una separazione cioè, che non sembra pensata da un mediatore familiare. Da uno che deve aiutare le persone a separarsi e a negoziare. Nella realtà materiale della vita quotidiana.

La disattenzione verso i minori è scandalosa e per me criminale. E mi pare che si esprima su più livelli.

Il primo è il mancato assegno per la parte, di solito la madre, che ha i figli a carico e che non dovesse lavorare. Io capisco che i temi delle donne non sono prioritari per gli estensori di questo decreto, ma se siamo in un paese con una bassa occupazione femminile, e che ostacola in vari modi il lavoro delle madri, come si può sperare che la madre separata lavori? La verità è che siccome Pillon è un neocatecumenale reazionario, la posizione mentale è quella di dire: donna hai voluto la bicicletta? (dell’emancipazione? Della separazione) ora pedala, anche se magari la bicicletta, nell’eventuale contingenza, ossia la separazione l’ha voluta il partner, oppure è l’esito dell’aggressione alla coppia da parte del partner per esempio – per un tradimento. In ogni caso, una madre che non ha mai lavorato e che ora dovesse trovare il modo di lavorare – a cinquant’anni? sessanta? – si troverebbe in una grave difficoltà materiale e quindi psicologica, e questa difficoltà psicologica, potrebbe ricadere piuttosto o gravemente sui bambini. E naturalmente sull’ex partner medesimo.  Un’evenienza questa, in un paese con un bassissimo tasso di occupazione femminile, tutt’altro che scontata.
Il secondo per me riguarda l’assoluta indifferenza alla qualità della vita dei figli. L’importanza che vivano in un contesto di riferimento, continuativo e rassicurante. Io ho serie perplessità che cambiar casa ogni dieci giorni specie quando per questioni di forza maggiore la casa del partner è molto lontana da quella dove il figlio è cresciuto e ha costruito la sua quotidianità, sia una cosa buona per i bambini. Può forse andar bene se le case degli ex coniugi sono molto vicine, ma soprattutto nelle grandi città mi pare raro che succeda.
Il terzo motivo, è il mancato riferimento all’età del bambino. Se l’idea che un minore sia affidato fifty fifty in generale mi suscita qualche perplessità, ma non faccio fatica a escludere coppie armoniose che riescano a risolvere la cosa per il meglio, se penso al minore di tre anni, un bambino di pochi mesi, un bambino di un anno magari ancora in allattamento, tolto alla madre, mi sale proprio una preoccupazione indigeribile, mi pare che si faccia un torto al minore gravissimo. Un bambino di meno di un anno separato dalla madre ogni due settimane????
Non credo che ci sia molto da dire.

Il quarto motivo, riguarda sia la sottesa idea dell’alienazione parentale e la fantasiosa pretesa di risolverla con un atto giuridico sbrigativo, sia il caso terribilmente grave e terribilmente frequente delle separazioni che seguono a violenza sui minori, e violenza verso la madre a cui si trova ad assistere il minore. Infatti l’idea è quella di dividere il tempo dei genitori a prescindere dai desiderata dei figli contesi, perché si parte dall’assunto che se un figlio non vuole vedere uno dei due partner è sempre comunque manipolato.

Questa cosa è già di per se un’aggressione, un dire al futuro cittadino che è un cretino, uno che si fa maneggiare, in caso di figli adolescenti si tratta di un parere secondo me gravemente collusivo con certe patologie che emergono in quell’età. Un ragazzino di sedici anni dice risolutamente di voler stare con la madre, e lo Stato gli dice che lui non conta niente, che non ha un parere da prendere in considerazione, che crede di avere un’identità ma si sbaglia.

Scusate, sono i semi per un comportamento criminale serviti sul piatto d’argento. Se il minore ha una qualche psicopatologia pregressa, una difficoltà scolastica, una bocciatura alle spalle, un problema di immissione nel mondo degli adulti, obbligato contro la sua volontà ad andare dal padre per gruppi di quindici giorni, è proprio pronto per la deriva sociale.
Questo perché se consideriamo davvero, per esempio, tutte le ricerche che sono state fatte da psicologi rigorosi, e attenti, dovremmo sapere che la PAS come costrutto esiste pure, ma non è una manipolazione che si fonda su una mera suggestione e giochi di potere, ma che si basa sull’orchestra di meccanismi difensivi che si intrecciano a emozioni reali, necessità psichiche profonde, riflessioni e osservazioni che il minore fa sul piano di realtà, e non possono essere criminalmente cancellate con un colpo di spugna.

Se un figlio desidera proteggere la madre dal dolore che è convinto le abbia inferto il padre, avendola per esempio vista piangere numerose volte, sapendo nel frattempo che il padre ha un’altra relazione, non sarà di certo la dichiarazione astratta di un tribunale che la madre ha una depressione cronica (magari pure causa reale del suo malessere)   a fargli cambiare idea e a farlo star bene con suo padre. Il bisogno di farsi difensore di sua madre, ha radici profonde, nell’organizzazione edipica che una separazione conflittuale ha impedito di superare, per quel figlio proteggere la madre è di vitale importanza.

E’ solo uno degli esempi, naturalmente, ma non è che se il tribunale dice, dal nulla, dopo una vita di esperienze ed eventi “guarda sei manipolato”, che il minore dice “ok avete ragione ora sto volentieri con papà”. Il minore, per i mille romanzi familiari che qui non possiamo sintetizzare, ha molteplici motivi possibili per ritenere vitale per sé, gravemente vitale, proteggere la madre, o comunque il genitore alienante. E se si crede di farla facile, beh noi psicologi, noi che lavoriamo coi servizi sociali, le case famiglia, insomma, noi ci ingrassiamo, il lavoro aumenta, l’infelicità si moltiplica.

Naturalmente ancora più criminale è la casistica, malamente contemplata dal ddl, delle famiglie abusanti. Il ddl prevede la casistica delle famiglie abusanti, ma in una distorsione ideologica parte dall’assunto che le denunce di abuso siano spesso false, e quindi prima che l’eventuale parte lesa sia riconosciuta come tale dovrà affrontare un complesso iter procedurale in termini di ANNI, nel frattempo però l’affido seguirebbe le linee indicate dal disegno.
Per quanto io sia tra i colleghi che più insistono nella necessità di far avere contatti tra figli abusati, vittime di violenza assistita e genitori abusanti, perché purtroppo quello è il genitore, bisogna che ci si faccia i conti e in qualche modo lo si iscriva nella propria storia, il massimo che si possa sperare in certe vicende terribili, e che il padre sia curato serratamente, la coppia familiare pure, che ci sia volontà da tutte le parti in causa, e che i minori siano guidati in una serie di incontri protetti, circoscritti nello spazio e nel tempo e sorvegliati (il tutto, però, bisogna dire: nella consapevolezza della cronicità grave, e della difficoltà di intervento risolutivo con questo campione di pazienti e assistiti) E IL TUTTO PERO’ SUBITO, NON DOPO GLI ANNI VITALI DELLA CRESCITA ESPONENDO IL MINORE A ULTERIORI ABUSI.

Ritenere con questa allucinante e irresponsabile disinvoltura che un bambino a cui un soggetto psichiatrico ha spento le sigarette addosso, che ha frustato con la cinghia, che abbia rotto il braccio di sua madre davanti a lui, che le abbia ficcato un coltello nelle narici (perché cari di queste cose si parla, è bene che si sappia) e via discorrendo, ed eludendo i casi ben più gravi e frequenti, debba andare a casa sua per due settimane al mese, perché le cicatrici se le deve essere inventate causa pas, veramente fa rabbrividire, fa cascare le braccia.

Il pensiero che poi questo disgraziato, non volendoci andare, debba andare in una casa famiglia… siamo proprio nel campo della follia. Ma è più corretto dire dell’incompetenza, per quel che concerne la psichiatria delle coppie violente.

In conclusione io credo che questa proposta di legge, scritta in maniera abborracciata, e frettolosa, al di la della matrice ideologica che la connota, sia tarata su un umano ideale: forse sui film degli anni cinquanta? Forse sui cartoni animati? Forse sulle favole della buona notte? Perché presuppone un idilliaco e vissero tutti felici e contenti in un momento della vita in cui l’umano cade e spesso rischia di rimanere nel suo funzionamento peggiore e più difficoltoso, quando cioè non è per niente conciliante e idilliaco.  

Suppone che certi cambiamenti storici e culturali che ci sono stati siano l’esito di un’ondata ideologica e non lo specchio di un cambiamento nell’esistenza materiale di tutti uomini e donne. Non tiene per niente conto delle condizioni in cui vivono le persone, delle aggressioni del quotidiano, della psicologia delle persone e delle persone durante la separazione, dei diritti dei bambini. Occulta con atarassica serenità i problemi spesso insormontabili che si creano in caso di patologie psichiatriche conclamate e marginalità sociale.

E’ una proposta di legge scellerata che dovrebbe essere rifiutata da tutti, uomini, donne, destra, sinistra, cinque stelle o meno. Di cui  forse cinicamente, beneficeremmo solo  noi professionisti grazie alla moltiplicazione di perizie, percorsi obbligati mediazioni familiari fatte (secondo il decreto di fronte alla presenza di familiari, questo particolare è un ultima prova dell’incompetenza degli estensori: me li vedo i genitori a parlare del conflitto davanti agli avvocati di parte avversa. Tanta sincerità proprio) .

Tanto dolore, problemi che non si risolvono, disperazione,  e dunque tanti professionisti chiamati in causa e remunerati. Una moltiplicazione di perizie di parte, di mediazioni familiari, di interventi riparatori, per una legge che non è fatta per gli uomini, ma per gli angeli.  Non mi pare che sia giusto verso le famiglie e gli elettori tradire così tanto i bisogni che hanno manifestato.

 

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