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La narrazione sì Tav come (scadente) fiction soprannaturale

Una brillante decostruzione delle argomentazioni e degli interessi dei Si Tav, il “partito trasversale degli affari”.

In quest’autunno 2018 chi segue da vicino la questione Tav in Valsusa ha assistito con raccapriccio al ritorno di argomentazioni-zombie, storielle sbugiardate da tempo, discorsi completamente sganciati da ogni realtà terrena. È un sottogenere deteriore della letteratura fantastica, un filone di fiction soprannaturale piuttosto scadente, che chiamerei il Solito Sconcertante Italiano. Nel mio libro Un viaggio che non promettiamo breve ho cercato di renderne le caratteristiche inventando l’Entità, un mostro – o meglio, un campo di forze – formato da tutti i discorsi assurdi, da tutti i più bassi espedienti retorici, da tutte le narrazioni tossiche a difesa della «Nuova Linea Torino Lione».
Nel libro, subito dopo lo sgombero della Maddalena, l’Entità genera le proprie figlie e le mette a guardia del cantiere in Val Clarea. Nelle scorse settimane si è affidata ad altre creature, indubbiamente più presentabili ed eleganti, le «Madamin del sìTav», che presidiano il capoluogo. Da lì, ridacchianti, esprimono disprezzo classista per i bifolchi: «Se vogliono la decrescita ci sono tante belle valli dove [i valsusini] possono ritirarsi, prendere una mucca e una pecora e decrescere felicemente, ma lascino vivere noi»
Quella testimonianza video dovremmo guardarla ogni giorno, per ricordare chi abbiamo di fronte e non perdere il filo. Il filo del discorso, e quello della lama.

La lotta No Tav è lotta di classe

Dopo alcuni anni di “bassa intensità” – ma solo a livello nazionale, ché a Torino e dintorni l’intensità non è mai calata – è ripartita la grande opera di disinformazione a favore del «tunnel di base» ferroviario da Susa a St.Jean de Maurienne.
Senza ritegno né vergogna, e con rinnovata spinta, si dedicano a tale disinformazione i rappresentanti partitici e giornalistici di una larga sezione di borghesia italiana. Quella che vive di appalti nell’edilizia e nelle infrastrutture, di cantieri e movimento terra, di cemento e tondino, di asfalto e «compensazioni».
Quando si dice che la Torino-Lione «serve al Paese», si intende dire che serve a questa borghesia. Sempre a caccia di denaro pubblico, indefessa privatizzatrice di profitti e socializzatrice di perdite, questa classe parassitaria prevede di far soldi con lo scavo del tunnel, con la costruzione della stazione «internazionale» (!) a S. Giuliano di Susa, con le compensazioni e quant’altro.
Si tratta di opere del tutto fini a se stesse, il cui unico scopo è la loro stessa realizzazione. Tutte insieme, compongono un disegno raffazzonato e incoerente, e infatti più volte rimaneggiato e corretto in corso d’opera. Viene chiamato «Nuova linea ferroviaria Torino-Lione», anche se a oriente del tunnel di base (cioè in Piemonte) il progetto ha perso un pezzo dopo l’altro, e a occidente (cioè in Francia) non c’è nemmeno un progetto preliminare. «Nuova Linea Torino Lione» è un significante vuoto, intorno al quale si è creato un dispositivo di finanziamenti, appalti, subappalti, leggi ad hoc, disinformazione, politiche repressive, innovazioni giuridiche e Ragion di Stato.

Chi lotta contro questo dispositivo sta lottando  contro la borghesia che nutre l’Entità. La lotta No Tav è lotta contro un colonialismo interno, ed è lotta di classe: lotta di un territorio sfruttato contro i suoi sfruttatori

Passiamo in rassegna alcune fandonie

I servitori e cicisbei della borghesia “grandoperizia” hanno usato tutto il repertorio. Nessuna falsa argomentazione è stata lasciata in fondo al cassetto, nessuna fandonia ci è stata risparmiata. Ecco quelle più eclatanti.
«Amici dei tir!»
Li abbiamo visto saltare dal trampolino, i tuffatori sì Tav. Li abbiamo visti eseguire  la tripla panzana carpiata con avvitamento, quella sulla Torino-Lione che «toglierà tir dalle strade» e sui no tav «nemici del trasporto su rotaia» e «amici dell’asfalto».
In questa sede non spiegherò che quella linea non solo non toglierà camion dalle strade né diminuirà le emissioni di CO2, ma aumenterà di parecchio i primi e le seconde. È già stato spiegato mille volte, e su questo stesso sito si troveranno quelle dimostrazioni. Qui mi limito a dire che le calunnie di cui sopra le spaccia la stessa gente che ha fatto scrivere e votare il decreto «SbloccaItalia», ha voluto la BreBeMi – autostrada fallita in men che non si dica e salvata con una pioggia di soldi pubblici – e continua a voler soffocare l’italia con sempre nuove autostrade, raccordi, passanti: la «Nuova Romea Commerciale», la Cispadana, la Pedemontana lombarda, la Pedemontana veneta, il Passante di Bologna e svariate altre “arterie” e “bretelle”.
Questi asfaltatori inveterati sono gli stessi che da quasi trent’anni cercano di imporre la Torino-Lione. Non è un modo di dire: sono proprio gli stessi partiti e le stesse aziende. A dimostrazione che l’argomento «rotaia contro gomma» è usato strumentalmente, soltanto in chiave anti-NoTav.

«Ormai si sta facendo!»
Li abbiamo sentiti, i pappagalli dopati. Gracchiavano: «ormai si sta scavando, non si può tornare indietro!» Tra chi li ascolta, quanti sanno che dopo oltre un quarto di secolo dai primi annunci siamo ancora alla fase preliminare dei lavori, e soltanto in una delle tre tratte di cui sarebbe composta la chimerica nuova linea, cioè quella transfrontaliera? Per la tratta italiana siamo ancora alla revisione progettuale, e per quella francese siamo al nisba, allo zero, al vuoto.

«Resteremo isolati!»
Lo abbiamo visto sfilare a Torino e in tutta Italia, il cavallo di battaglia morto e putrefatto del «corridoio Lisbona-Kiev». Un progetto esistito solo sulla carta, tracciato senza alcuna considerazione per i territori attraversati, e comunque molto diverso rispetto a quanto raccontato dai nostri media. Anni fa è stato sostituito dal «Corridoio mediterraneo», che sulla carta dovrebbe collegare la Spagna all’Ucraina, ma anche questo è un progetto-fantasma. A est di Trieste se ne perde ogni traccia e menzione. E in Ucraina pare abbiano altro a cui pensare.
Ma abbiamo sentito gridare: «se non si fa l’opera, il Piemonte resterà isolato!». Isolato da cosa?

È a questo punto che entra nei discorsi la «nuova via della seta», che però – nonostante i sogni bagnati – con la Torino-Lione c’entra ben poco. Se c’entrasse, la Francia avrebbe avviato da tempo progettazione e costruzione della tratta da St.Jean de Maurienne a Lione. E c’entra poco anche col Corridoio Mediterraneo.
Da notare con quanta spensieratezza i nostri paladini dell’europeismo, sempre in prima fila a sventolare la bandiera blu col cerchio di stelle (anche per giustificare la Torino-Lione e i vari «corridoi»), facciano l’apologia di un progetto egemonico cinese che l’Unione Europea guarda con grande preoccupazione.
Si tratta dei medesimi spacciatori di false urgenze che nell’ottobre 1991 fecero titolare al loro organo domestico, La Stampa: «L’attuale linea Torino-Lione è quasi satura / Treni ad alta velocità subito o sarà tardi». [Sottofondo consigliato: Così parlò Zarathustra, di Richard Strauss.] Ovviamente, la linea non era affatto «quasi satura», non è mai stata «quasi satura» nei ventisette anni a seguire, e oggi continua a essere sottoutilizzata.

«Torino si è espressa!»
L’abbiamo sentito ripetere ossessivamente, il numero 40.000. Le «quarantamila persone» portate in piazza dalle Madamin erano già quarantamila svariati giorni prima di sfilare, per analogia con la «marcia dei quarantamila» del 1980. E quarantamila sono miracolosamente diventate, nonostante non vi sia alcuna testimonianza fotografica o filmata che mostri più di cinquemila, al massimo seimila persone. C’è chi letteralmente le ha contate, testa dopo testa, nelle immagini panoramiche di Piazza Castello. Già la vecchia marcia dei quarantamila era stata gonfiata col mantice, ma qui si è usato il compressore a venti atmosfere!
Naturalmente, poi, la mobilitazione degli pseudoquarantamila – unica manifestazione sì Tav dal 1991 – è stata presentata tout court come «la volontà popolare», dagli stessi media che hanno sminuito o criminalizzato ventisette anni di marce No Tav, alcune delle quali gigantesche.

«Retrogradi! Cosa c’è di male nell’alta velocità ferroviaria?»
Il modo in cui è stata realizzata. Nei primi anni Novanta abbiamo importato acriticamente il modello «francese», nonostante stessimo già sperimentando una via alternativa all’AV molto più adatta alla conformazione del nostro territorio.
In Italia avevamo una rete ferroviaria con molte curve, per questo si era inventato il Pendolino, esempio di come si potessero raggiungere alte velocità anche sui binari tradizionali, investendo in ricerca e innovando il materiale rotabile, senza fare nuovi trafori, senza creare una seconda rete ferroviaria che collegasse solo i centri principali escludendo tutti gli altri, senza attentare alla capillarità e universalità del servizio.
Quel modello, molto più innovativo e di minore impatto ambientale, fu accantonato perché non avrebbe portato profitti alle lobby delle infrastrutture. Non era una mangiatoia per il capitalismo italiano, che senza mattone e asfalto non sa cosa inventarsi. Si svendette il brevetto del Pendolino, si accantonò la via italiana all’AV e si importò un modello adatto ad altri territori, più pianeggianti e meno inurbati del nostro. Da allora si sono posati e si continuano a posare migliaia di chilometri di nuovi binari, per avere linee diritte.

In un paese dove l’82% del territorio è montuoso e collinare questo ha significato trafori a non finire, devastazioni, sperperi.
In un paese molto antropizzato e costellato di piccoli centri abitati, questo ha significato una lunga sfilza di «compensazioni». Risultato? Più consumo di suolo, danni ambientali, debito pubblico alle stelle.
Non solo: l’ingentissimo costo dell’AV “alla francese” ha comportato il trasferimento di risorse dalla rete tradizionale, con tagli continui alle linee, alle corse, ai servizi, alla manutenzione. Col risultato che i Frecciarossa di oggi non solo vanno poco più veloci del Pendolino di trent’anni fa, ma offrono un servizio costoso a una minoranza di viaggiatori. In Italia soltanto il 5% dei viaggi in treno avviene su treni ad alta velocità. L’80% dei viaggi avviene entro i confini provinciali. Il dato si spiega col pendolarismo lavorativo e studentesco verso i capoluoghi. La distanza media percorsa in treno in Italia è 24 km. Un’utenza che nel corso dell’anno prende treni AV molto sporadicamente o addirittura mai, perché ha tutt’altre traiettorie ed esigenze.
A questa stragrande maggioranza di utenti viene offerto un servizio scadentissimo, mentre si mette in mostra l’AV come presunto fiore all’occhiello. Una schifezza classista, e si persevera su questa via. Ecco cos’è stata e cos’è l’AV in Italia.

«Grillini!»
Forse la più grande panzana, quella che oggi sorregge le altre e plasma tutta la propaganda del PD e di Telt a mezzo «Stampubblica» e reti tv unificate, è l’identificazione della lotta No Tav con il M5S, con la giunta Appendino e, più in alto, con il governo pentastellato-fascioleghista.
Per smentire l’equazione No Tav = M5S basterebbe far notare che non ci sono amministrazioni del M5S in Valsusa. La maggioranza dei comuni è amministrata da liste civiche appoggiate dal movimento No Tav, senza passare per la rappresentanza pentastellata. Si potrebbe anche far notare che la lotta No Tav e in generale contro le grandi opere inutili c’era già molti anni prima del M5S e – verrebbe da dire: purtroppo – ci sarà anche quando il M5S sarà una carcassa asciugata al sole. Ma PD e Stampubblica hanno sparato con l’artiglieria pesante, e tocca dire qualcosa di più.
Non solo la lotta No Tav non ha mai avuto e non ha «governi amici», ma è di fattoantigovernativa. Lo è stata sempre, e lo è oggi come non mai. È un’inimicizia oggettiva prima che soggettiva, che scavalca le preferenze, le scelte tattiche o addirittura i momentanei smarrimenti di singoli partecipanti. Il movimento è ben più della somma delle sue parti.
Una manifestazione No Tav porta con sé, in strada, la memoria di decenni di disobbedienza civile, picchetti, blocchi stradali, occupazioni, solidarietà, collegamenti tra lotte ed è dunque la negazione pratica e operante di tutto ciò che la maggioranza Lega-M5S ha appena votato nel recente decreto sicurezza – riduttivamente definito «decreto Salvini», come se il problema fosse soltanto lui. È una congerie di provvedimenti razzisti, classisti e repressivi, alcuni dei quali – come l’inasprimento delle pene per il blocco stradale – sembrano ideati apposta per combattere i movimenti, in particolare quelli in difesa del territorio, ancor più in particolare quello No Tav.
Una manifestazione No Tav porta con sé, in strada, la memoria di decenni di protagonismo delle donne No Tav, di autodeterminazione, di lotta al sessismo e al patriarcato, ed è dunque la negazione pratica e operante di tutto ciò che la maggioranza Lega-M5S ha in serbo per le donne con l’infame decreto Pillon.
Una manifestazione No Tav porta con sé, in strada, la memoria e il presente di tutte le lotte contro le grandi opere inutili e imposte, come quella contro il Terzo Valico e quella contro il Tap, che il M5S ha cavalcato strumentalmente per poi tradirle una volta giunto al governo. Dire che va realizzato il Terzo Valico e al tempo stesso fingere di «tenere il punto» sulla Torino-Lione è un implicito tentativo di mettere una lotta contro l’altra. Tentativo destinato a fallire.

Il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente

Questo movimento non può che essere al tempo stesso contro il governo e contro la sua opposizione-per-modo-di-dire.
L’opposizione-per-modo-di-dire fa tutto il possibile per schiacciare i No Tav sul M5S, con tanto zelo da indire una santa crociata contro una delle mosse meno discutibili fatte dall’altrimenti ambigua e inconcludente amministrazione Appendino: una mozione che chiede la sospensione dei lavori in attesa della nuova analisi costi-benefici.
Non è un caso unico: su tutte le questioni cruciali, il PD è finora riuscito nell’incredibile impresa di criticare da destra il governo più a destra della storia d’Italia. Per dirne solo alcune, ha difeso platealmente gli interessi del gruppo Benetton, gridato con veemenza alla sola vaga ipotesi di rinazionalizzare le autostrade, difeso a spada tratta (come del resto ha sempre fatto) le politiche “ordoliberiste” imposte da UE e BCE. Abbiamo un governo che finge di voler aiutare i deboli, e un’opposizione che finge di prenderlo sul serio e ribadisce che no, se uno è debole son cazzi suoi!
In un quadro del genere, una manifestazione No Tav non può che essere oggettivamente contro governo e opposizione, cioè contro il partito trasversale del capitale, cioè contro l’intero stato di cose presente.
Il movimento ha sempre celebrato l’8 dicembre. Quel giorno, nel 2005, una vasta moltitudine cacciò da Venaus le truppe d’occupazione, riconquistò la Libera Repubblica sgomberata tre giorni prima e obbligò la controparte a ritirare il progetto di allora. Progetto che oggi la stessa controparte definisce sbagliato, eccessivo e quant’altro, senza mai far notare che se un progetto sbagliato ed eccessivo venne bloccato, fu merito dei No Tav. Ai No Tav non va riconosciuto nulla, ma è la lotta a riconoscere se stessa: l’8 dicembre è una scadenza autonoma e autodeterminata. Che quest’anno venga a poche settimane di distanza dallo show delle madamin, casca solo a fagiuolo.
Dove c’è lotta vera e radicale – nel senso che va alla radice dei problemi –  le contraddizioni si acuiscono e le tendenze a venire si vedono prima. In tutti questi anni, la Valsusa ha anticipato molte tendenze nazionali. Oggi anticipa la ripresa delle lotte a tutto campo, oltre e contro ogni illusione di appoggio tattico a Tizio contro Caio o a Caio contro Sempronio. «La necessità di superare le illusioni sulla propria condizione è la necessità di superare una condizione che ha bisogno di illusioni», scrisse il giovane Marx. Il movimento No Tav è solo, e quindi potenzialmente con tutte e tutti. Oggi ancora non si vede, ma ben presto si vedrà.
Un altro 8 dicembre, e siamo ancora qui. Il movimento No Tav, e tutte le sue compagne e compagni di strada. Ancora per strada. Ancora a sfidare l’Entità. Andiamo a Torino, per scrivere una pagina futura.

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