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Università. Bologna Process, 20 anni di de-formazione

Sono ormai passati venti lunghi anni da quando, con il cosiddetto “Processo di Bologna” (Bologna process), è cominciato quel lento percorso che avrebbe dovuto creare uno “spazio europeo dell’istruzione superiore”. Per questo, nelle giornate del 24 e 25 giugno l’università di Bologna, insieme al MIUR e ad altre istituzioni del mondo della formazione, al livello europeo, hanno organizzato le celebrazioni del ventennale.

Il Bologna process è inquadrabile in quel mosaico che è stato definito, fantasiosamente, processo di integrazione europea: già nel trattato di Maastricht infatti quello della formazione viene indicato come il campo centrale e strategico in quest’opera di ripensamento degli equilibri continentali. Dopo questo evento, le università italiane vivranno un vero e proprio percorso di restauro amministrativo e didattico, culminato nella legge 240 del 2010, meglio nota come riforma Gelmini, che darà un nuovo volto alle istituzioni del mondo della formazione del nostro paese. Per esempio, è grazie a questo passaggio che si arriva al modello del 3+2 e che viene rafforzato il sistema dei CFU, ovvero i Crediti Formativi Universitari, pensati al fine di poter quantificare il sapere e quindi compiere un passo decisivo verso la flessibilizzazione delle carriere universitarie degli studenti.

Quello che oggi in Italia ed Europa chiamiamo università e che oggi si riduce ad azienda che deve produrre utili, è il risultato di quel passaggio fondamentale.

A Bologna in particolare, quindi, è andata in scena la manifestazione per il ventennale, spalmata su due giorni e inaugurata da una vera e propria “sfilata dei rettori” in cui circa 200 tra le massime cariche accademiche provenienti da tutto il mondo hanno marciato verso il Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo. Qui, alla presenza del ministro dell’istruzione Bussetti, il rettore dell’UniBo, Francesco Ubertini, ha rilanciato il progetto di un’area dell’istruzione superiore europea; in particolare, il rettore della più antica università del mondo occidentale ha sottolineato come “l’Europa ha bisogno delle università e le università hanno la grande responsabilità nel dare forma all’Europa di domani”.

Il ministro della “distruzione” Bussetti, come lo hanno felicemente ribattezzato i delegati dell’USB Scuola, ha invece tenuto a sottolineare come “l’università del futuro sarà più snella, veloce, aderente ai giovani. Noi stiamo guardando ai giovani, è quello che ci interessa maggiormente”. Probabilmente il ministro, guardando ai giovani, si è scordato di guardare quei dati tragici che parlano di una disoccupazione giovanile ormai oltre il 30%, dato in continua crescita. Di fatto, come potevamo aspettarci, questa celebrazione non ha spostato di un millimetro la traiettoria di un percorso che sta ormai da anni decimando le iscrizioni universitarie, e che mette di fronte la grande maggioranza dei laureati alla scelta obbligata tra la disoccupazione, l’occupazione precaria o l’emigrazione.

Le dichiarazioni di Ubertini e Bussetti riconfermano il trend, ossia, rilanciano su un futuro per i giovani fatto di flessibilità del lavoro e sforbiciate alla spesa pubblica. In particolare, nella mente dei ministri un’università snella e veloce serve per poter competere con gli altri atenei europei; quelli cioè di serie A in grado di sfornare i (pochi) lavoratori altamente qualificati necessari, e atenei di serie B, dove la minore fama e visibilità pone i lavoratori in posizione di essere maggiormente sfruttati, o costretti a emigrare in altre città o paesi rispetto alla propria origine. Non è un caso che il titolo dell’incontro fosse proprio “Il processo di Bologna oltre il 2020: valori fondamentali dell’EHEA”: la volontà è di rilanciare il tutto, se possibile, perfino oltre quella linea tracciata venti anni fa.

Nelle università però qualcosa sembra essersi rimesso in moto. In particolare, il 24 a Bologna è stata contestata la sfilata dei rettori e del ministro Bussetti dai compagni di Noi Restiamo, mentre il 25 sempre Noi Restiamo, il Collettivo Politico di Scienze Politiche di Firenze, la Libera Biblioteca De Carlo di Urbino e il Gruppo Studentesco Interfacoltà di Napoli, hanno pubblicato un opuscolo di  analisi per ribaltare la narrazione entusiasta sugli ultimi vent’anni di “deformazione dell’istruzione”.

Contemporaneamente, in altre città (Napoli, Firenze, Roma, Urbino, Siena, Torino e Bologna) azioni informative e striscioni hanno fatto da cornice alla contestazione di un evento che, sacrificando il ruolo di istituzione pubblica dell’università sull’altare dell’integrazione europea, ha portato l’università al punto che registriamo oggi: uno spazio dove il pensiero alternativo non deve esistere, e finalizzato alla costruzione di soggetti a cui si prova a insegnare, tra le altre cose, che le leggi del mercato sono ineluttabili come la pioggia a pasquetta, i guanti di nonna a natale o la morte.

Oggi, nelle università lo spazio per il pensiero critico si riduce sempre più, e questo significa provare a ridurre ogni tentativo di idea di società, e di socialità, alternativa a quella odierna. Le reazioni padronali ai recenti fatti della Notte bianca alla Sapienza ne sono solo l’ultimo tragico esempio.

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