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Milano è una fake green city. E’ urgente un’altra idea di città

Nel pensare l’assemblea svoltasi il 12 novembre scorso, e in realtà anche nel mettere in atto le mobilitazioni che abbiamo portato avanti durante tutto l’anno, siamo partiti da una consapevolezza sulla rappresentazione dominante che viene fatta di Milano: una città efficiente, competitiva, vivibile, attrattiva per gli investimenti internazionali, green.

Questa è una rappresentazione che non è semplicemente diffusa a livello cittadino, ad esempio  nella comunicazione istituzionale locale, ma è  anche molto presente nella narrazione mediatica e giornalistica nazionale.  Secondo noi non è un caso che questa rappresentazione oltrepassi i confini cittadini, perchè essa è funzionale a legittimare operazioni politiche  che vanno ben al di là dei confini di Milano e che riguardano e incidono sull’assetto istituzionale del nostro paese.

Nel momento in cui viene rappresentato un  Nord forte, competitivo, che ce la fa, che sta agganciato all’Europa, e che è appunto trainato da Milano che ne è il simbolo – in contrapposizione alla “zavorra del Sud” che non sa stare al passo per sua stessa colpa – e non invece, come pensiamo noi, per dinamiche di redistribuzione delle risorse che non hanno nulla a che fare con concetti di equità e solidarietà (un esempio su tutti, il criterio delle variabili regionali fondate sulla spesa storica, introdotto da un renziano di ferro come Luigi Marattin, che non fa altro che istituzionalizzare disparità e disuguaglianze storiche nella distribuzione delle risorse tra le regioni), si va a legittimare a livello culturale e mediatico l’idea reazionaria  di un Nord che viene derubato dal parassitismo meridionale; magari con dei toni più accettabili e digeribili per un certo tipo di elettorato, ma il concetto di fondo è “Roma ladrona”.

Si va inoltre a legittimare a livello politico un’operazione di stravolgimento dell’assetto istituzionale come l’autonomia differenziata; un’operazione fortemente voluta sia dal PD che dalla Lega e che va invece a spaccare ancora di più il paese e a scavare ancora di più il divario economico e sociale tra nord e sud.

Non solo, e qui viene il punto che vogliamo toccare: l’autonomia differenziata andrà anche ad amplificare le disuguaglianze già fortemente presenti al Nord e a Milano e la dinamica centro- periferia che la caratterizza; perché questo Nord cosiddetto forte in tutte le sue componenti è invece un Nord in cui pochi sono fortissimi e tanti sono messi male.

La stessa dinamica si riproduce nella Città Metropolitana di Milano, in cui il nucleo della città cresce, in termini di PIL e di investimenti immobiliari, ma appena si esce nell’hinterland la tendenza si inverte bruscamente.

Ecco perché, a fronte di questa retorica su Milano, le domande che ci poniamo sono queste: tutti questi investimenti, queste risorse che affluiscono verso la città (e che affluiranno ancora di più con l’autonomia differenziata) come vengono redistribuite? Chi ne beneficia? E i costi della transizione a modelli più avanzati e più sostenibili, di cui Milano dovrebbe essere rappresentativa, su chi vengono scaricati?

Non a caso ci inseriamo in un tema che è oggetto di una campagna a livello nazionale di Potere al Popolo sulla redistribuzione di quel patrimonio privato da più di nove mila miliardi, che è concentrato nelle mani di pochissimi ricchi e che invece noi vogliamo vedere redistribuito tramite misure fiscali che vadano a prendere i soldi là dove ci sono; questo è il vero tema politico del paese e non invece specchietti delle allodole come il taglio dei parlamentari.

Per rispondere a queste domande abbiamo preso in considerazione due grandi temi che secondo noi sono particolarmente emblematici della visione di città e delle dinamiche di sviluppo economico e sociale che la caratterizzano: da una parte i piani di sviluppo urbanistico e, in particolare, il PGT e dall’altra, la gestione del sistema del trasporto pubblico.

Se guardiamo agli aspetti urbanistici, bisogna partire innanzitutto da un dato: l’amministrazione di Milano ha rinunciato a delineare un disegno pubblico di città, nel senso di indirizzarne lo sviluppo sulla base delle esigenze e necessità dei cittadini.

E in questo vuoto che viene lasciato dalla politica, chi è che assume il ruolo di disegnare e progettare Milano? Di fatto i grandi gruppi immobiliari, che hanno mano libera nello strutturare la città in base ad un modello di esclusione e di formazione di non luoghi, come piazza Gae Aulenti e City Life, che vengono rappresentati come le nuove frontiere ma, per come sono strutturati, rappresentano in realtà soltanto l’avanguardia del deserto relazionale e dell’alienazione.

Di questa rinuncia dell’amministrazione ad indirizzare lo sviluppo della città e a lasciare mano libera alla speculazione dei privati è emblematico il Piano di Governo del Territorio appena adottato. Un PGT che è stato presentato da subito in modo propagandistico come uno strumento utile per affrontare l’emergenza abitativa, l’emergenza ambientale e per il miglioramento delle periferie.

In realtà, andando a indagarne i nodi fondamentali, queste tre tematiche risultano del tutto ignorate e  le misure messe in atto si pongono in perfetta continuità con i PGT precedenti.

  1. L’indice di edificabilità non viene toccato e anzi può essere superato negli ambiti cosiddetti di rigenerazione e di elevata accessibilità ai trasporti, dove infatti la speculazione immobiliare può fare gli affari migliori.
  2. Nessun piano di edilizia pubblica, ma solo interventi di vendita agevolata e social housing che comunque non hanno prezzi accessibili alle fasce più povere della popolazione; valorizzazione dei servizi di carattere privato (es. palestre, asili) nella quota di servizi che devono essere necessariamente garantiti a fronte di interventi di edificazione e che ancora una volta non garantiscono un’accessibilità estesa a tutti.
  3. Progetti edilizi, di cui viene dichiarato il pubblico interesse, ma che nulla hanno a che fare con gli interessi della collettività e con la sostenibilità ambientale, come nel caso del nuovo stadio.

Una pianificazione del tutto scollegata dagli interessi e dalle esigenze della collettività; non a caso la  cittadinanza è coinvolta in questa pianificazione solo con operazioni di facciata, come i piani di quartiere, in cui i cittadini possono intervenire solo al termine del processo e su aspetti di contorno.

Guardando invece al tema dei trasporti pubblici, a dispetto della retorica che viene attuata anche in questo campo, con l’Assessore Terzi che parla di soppressioni in calo e puntualità in miglioramento, sappiamo che la realtà quotidiana dei pendolari che vengono a lavorare e studiare a Milano, in treno o in bus, è fatta di continue cancellazioni, ritardi, treni e autobus vecchi e affollati come carri bestiame.

Dall’altro lato, il PD e Sala, che fanno il teatrino puntando il dito contro Trenord, stanno preparando l’imminente privatizzazione tramite project financing di ATM con l’associazione di imprese Milano Next.

A questo è servito l’aumento di biglietti e abbonamenti: a garantire la profittabilità dell’operazione da parte dei giganti delle telecomunicazioni, dell’energia e della pubblicità che fanno parte di Milano Next e che entreranno nella gestione e non a migliorare il servizio, che infatti rimane quello che è.

Un’operazione, quella della privatizzazione tramite project financing, che è stata denunciata più volte perfino dall’ANAC per il suo utilizzo abusivo da parte degli enti locali, con clausole capestro che tengono i finanziatori privati al riparo dai rischi e che, a distanza di anni, scaricano i costi sul pubblico.

Tra l’altro, l’operazione di Milano Next apre la strada alla costruzione di un sistema integrato della mobilità, uno dei  cosiddetti sistemi MAS (mobility as a service), in cui un unico collettore privato gestisce tutti gli strumenti di mobilità disponibili in città: dal trasporto pubblico al bike e car sharing. Un’espressione sofisticata che nasconde l’ennesimo strumento per aprire ancora di più al mercato il trasporto pubblico, uno dei tanti settori, al pari dell’istruzione e della sanità, che, per la loro profonda rilevanza sociale, dovrebbero  essere sottratti alle logiche del profitto.

Di fronte a tutto questo, vediamo che c’è un minimo comun denominatore che è a nostro avviso rappresentato da un processo continuo di privatizzazione e svendita dei servizi pubblici, degli spazi pubblici e dell’ambiente.

Una privatizzazione da intendersi, da un lato, come vera e propria entrata dei privati nella gestione e dall’altro come subalternità della politica agli interessi degli speculatori privati; E qui ancora una volta ci tocca tornare all’autonomia differenziata perché l’autonomia differenziata, facendo affluire ancora più risorse e più competenze verso determinate regioni, dovrà essere considerata in combinato disposto con il pareggio di bilancio introdotto nel 2012 e con tutti i vincoli di bilancio che impediscono di fare spesa pubblica; con la conseguenza che tutte queste risorse, ancora una volta, non verranno redistribuite ma andranno ad alimentare le stesse dinamiche di privatizzazione.

Vogliamo tener ben presente qual è il quadro politico e finanziario nazionale e internazionale in cui si inserisce tutto questo: il quadro è quello del patto di stabilità e crescita e del pareggio di bilancio in Costituzione; è quello di un’Unione Europea che nelle raccomandazioni del consiglio dell’Unione Europea del 2019 ci dice che il livello di qualità del sistema di trasporti non è adeguato ed è inferiore alla media UE, che il rischio povertà è superiore alla media UE, che c’è una povertà lavorativa elevata, che l’accesso ad alloggi a prezzi sostenibili è insufficiente e l’erogazione di servizi sociali insufficiente e frammentata…salvo poi ordinarci, nelle conclusioni, di fare esattamente quello che ci ha portato in questa situazione: tagliare la spesa pubblica e privatizzare.

Da tenere presente, se vogliamo ragionare su qual’è il livello politico che dobbiamo andare a mettere in discussione per invertire la rotta, che il livello è quello di un’Unione Europea che si fa promotrice e garante di questo processo che noi vogliamo contrastare.

Se poi dall’Unione Europea scendiamo all’ultimo gradino, ci troviamo di fronte un’amministrazione comunale che, nonostante la nomea progressista, è totalmente prona a queste dinamiche di svendita dei servizi pubblici e del patrimonio pubblico, come ben dimostra il Pgt approvato da poco e come dimostrerà a breve la privatizzazione di ATM; un ente pubblico senza alcuna visione di città, se non quella dell’asservimento totale agli interessi speculativi privati e della facilitazione degli stessi.

Le istanze di fondo che, in sintesi, vogliamo portare avanti nella nostra mobilitazione sono quelle di un no secco alla privatizzazione dei servizi pubblici. Vogliamo un servizio di trasporto pubblico e gratuito, vogliamo un piano di edilizia pubblica per venire incontro all’emergenza abitativa e non i surrogati dei privati come l’housing sociale e la vendita agevolata, un reale coinvolgimento dei cittadini nella pianificazione urbanistica e nella gestione dei trasporti e non solo iniziative di facciata come i piani di quartiere e la conferenza regionale del trasporto pubblico locale. Ribadiamo però che tutto questo implica, da una parte, una rottura con i vincoli di bilancio che sono diretta espressione dell’Unione Europea e, dall’altra, misure di redistribuzione come quelle che Potere al Popolo vuole promuovere con la sua campagna sulla redistribuzione della ricchezza.

Tutto questo deve portare la nostra mobilitazione ad un gradino superiore, raggiungendo tutti coloro che sono vittime di queste diseguaglianze; diseguaglianze che non stanno nell’etere, ma sono la vita quotidiana dei pendolari che smattano tutti giorni sui carri bestiame, di chi non trova alcuna risposta all’emergenza abitativa e di un’intera città in cui lo spazio pubblico e l’ambiente  vengono cannibalizzati dalla speculazione edilizia.

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