Nonostante certe notizie siano di conoscenza comune, perlomeno nell’ambito della “sinistra” che ha mantenuto un po’ di consapevolezza “internazionalista”, c’è ancora chi preferisce profondersi in giustificazioni per l’oscena visita fatta dai “capibranco delle Sardine” a Luciano Benetton e la conseguente difesa della loro concessione per Autostrade, nonostante quel “piccolo dettaglio” della strage di Ponte Morandi (43 morti).
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, né peggior cieco di chi ha la verità davanti agli occhi ma volge lo sguardo altrove.
Perciò, sapendo bene che per molti giovani queste informazioni sono forse un po’ meno note, riportiamo qui di seguito l’articolo di Giuseppe Pietrobelli, da Il Fatto Quotidiano, che ricorda per la milionesima volta la storia dei possedimenti Benetton in Patagonia e la politica di sterminio della nazione Mapuche. Fatta, com’ ovvio, non dal latifondista trevigiano in prima persona, ma su sua commissione e con la collaborazione entusiasta dei militari cileni e argentini.
Del resto, quando una famiglia “la democrazia ce l’ha nel sangue”… bisogna solo vedere di chi è quello che va versato.
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“Non mi illudevo di convincere Luciano Benetton a rinunciare al milione di ettari che la famiglia possiede in Patagonia. Ma almeno aprire una trattativa con il popolo dei Mapuche che rivendica le terre ancestrali, grazie alla mediazione dell’Università di Buenos Aires. Invece ho trovato un muro. Ho avuto contatti con la sua compagna, mi sono stati forniti documenti. Alla fine ho dovuto arrendermi. Anche lui è espressione del capitalismo neoliberista”.
C’è delusione nelle parole che il professor Massimo Venturi Ferriolo soppesa, mentre – nello studio a due passi dal Politecnico di Milano, dove ha insegnato Estetica – racconta di una riconciliazione impossibile. Nell’autunno del patriarca di Ponzano Veneto, ormai 84enne, impegnato a raddrizzare le sorti del gruppo, non c’è spazio e forse neppure tempo per occuparsi di quella ferita etnica aperta.
“Da noi Benetton incarna la figura di un imprenditore progressista, antirazzista. In Sudamerica ha un volto completamente diverso. Il sospetto mi è venuto quando qualche collega argentino ha cominciato a chiedermi: ‘Non sai cosa fa qui da noi?’ Allora ho voluto approfondire, studiare, informarmi”. Pochi sanno che Venturi Ferriolo, nell’agosto 2018 si dimise dal comitato scientifico della Fondazione Benetton a Treviso, che si occupa di promozione culturale e ambientale. Da pochi giorni era crollato il ponte Morandi a Genova, Autostrade era già nel mirino, la famiglia era travagliata dai problemi.
A luglio era mancato il fratello più giovane, Carlo, che si è sempre occupato delle proprietà in Patagonia. Gilberto, la mente finanziaria, malato, si sarebbe spento in ottobre. Venturi Ferriolo si dimise a causa del conflitto permanente dei Benetton, moderni latifondisti, con i Mapuche, che vivono in Argentina e Cile. Un popolo oppresso, depredato, accusato di azioni violente e, perfino, di terrorismo dalle autorità. Ma a marzo un giudice li ha assolti dall’accusa di occupazione abusiva e furto di bestiame, invocando una soluzione politica, non giudiziaria.
Il professore scrisse all’imprenditore-mecenate una lettera in cui chiedeva conto di quello che egli aveva interpretato come un tradimento di valori culturali condivisi. Luciano Benetton la prese molto male. Eppure mandò Laura Pollini, a.d. di Fabrica (il laboratorio creativo del Gruppo) per un chiarimento. “Speravo che avrebbero aperto le terre ai Mapuche. Mi è stato detto che gli eredi di Carlo hanno messo il veto. ‘Che dicano pure quello che vogliono…’. Questa la frase con cui hanno liquidato la questione”.
Venturi Ferriolo ha così deciso di uscire allo scoperto, pochi giorni dopo la notte di Natale, in cui un gruppo di mapuche ha occupato la fattoria El Maitén (120 mila ettari) “per la necessità primaria di continuare a esistere nel nostro territorio”. “Solo il Fatto Quotidiano ne ha scritto. Tutti gli altri giornali zitti. I Benetton sono intoccabili”, conclude il professore-filosofo (non è esatto, ma facciamo finta di niente; in fondo siamo una piccola testata, ndr).
Da molto tempo si parla delle terre contese. Nel 2004, con il sindaco di Roma Walter Veltroni, tentò una mediazione anche Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace. Che a Benetton disse: “Lei è un antico signore feudale”. L’unico risultato fu l’offerta di donare 7.500 ettari agli indios, che rifiutarono sdegnosamente. Anche perché sono i protagonisti di una tragica storia di colonialismo europeo, spoliazione dell’Argentina, susseguirsi di governanti compiacenti e morti misteriose.
L’attivista Santiago Maldonado, 28 anni, scomparve nel 2017 dopo una manifestazione dispersa dalla polizia e il suo corpo fu trovato otto mesi dopo in un fiume. Rafael Nahuel, 22 anni, fu ucciso mentre le truppe speciali sgomberavano i Mapuche a Bariloche. In Cile, un anno fa, Camilo Catrillanca, 24 anni, venne ammazzato mentre guidava un trattore, forse dai carabineros. I Benetton non c’entrano con quelle morti, che però dimostrano il clima repressivo che circonda i Mapuche, accusati dalle autorità (senza prove) di rapporti con le Farc colombiane, i movimenti curdi e l’Eta.
La sostanza è fatta di potere e ricchezza. I 920 mila ettari dei Benetton sono vasti come le Marche. Nel 1896 il presidente argentino Uriburu (violando la legge) li donò a dieci cittadini inglesi, i quali (violando la legge) li rivendettero a una compagnia privata. Le azioni passarono di mano, la società divenne nel 1982 la Compañia de Tierras Sud Argentino, il cui controllo fu acquistato dai Benetton nel 1991 per 50 milioni di dollari, attraverso Holding Edizione Real Estate. Oggi è la più grande proprietà terriera argentina, con 260 mila ovini e 16 mila bovini.
Luciano Benetton sostiene che l’acquisto fu legale e i Mapuche non furono cacciati. Questi ultimi dicono che nessuno li può privare del diritto alle terre ancestrali, sancito dalla Costituzione argentina. Non a caso il nome significa “uomini della terra”. Ma laggiù, nel sottosuolo, si cercano anche petrolio e ricchezze minerarie. Una tentazione ghiotta e irrinunciabile per gli United colors of dollar.
* da Il Fatto Quotidiano
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Manlio Padovan
“Da noi Benetton incarna la figura di un imprenditore progressista, antirazzista…” solo per chi non abbia conosciuto persone soggette ai Benetton attraverso il lavoro nero: basta parlare con qualcuno in quel di Legnaro (PD).