Sei morti in carcere, durante una protesta, non si vedevano in Italia da molti decenni. Ma ieri è stato questo il bilancio finale delle proteste inscenate a Modena dai detenuti cui erano state sospese i colloqui con i familiari a causa dell’epidemia di coronavirus. Inizialmente ne erano stati riferiti “soltanto” tre, ora c’è stato questo drammatico aumento, comunicato dal questore locale.
Modena è una delle province “chiuse” dal decreto del governo e che ci dovessero essere delle restrizioni nelle modalità di tenuta dei colloqui era inevitabile. Ome sempre, però, quando si tratta di carcere le decisioni sono sempre molto drastiche, punitive, spesso inaccettabili. Specie quando – come in questo caso – vanno a toccare l’unico momento di relazione con l’esterno e la sfera degli affetti.
Le proteste ci sono anche altrove, in questi giorni, ma solo a Modena ci sono stati sei morti.
L’amministrazione penitenziaria ha dato una giustificazione che vorrebbe essere “tranqullizzante”, attribuendo i decessi a imprecisate cause “interne”, non dovute insomma alla violenta azione repressiva condotta da agrnti, polizia e carabinieri che hanno fatto irruzione nei reparti nel pomeriggio di domenica. Il primo rapporto parla infatti di overdose di oppioidi o altre sostanze di cui avrebbero fatto incetta nell’assalto all’infermeria. Oppure a inalazioni di fumo, conseguenti all’incendio delle suppellettili e dei materassi (un classico, nelle proteste, quando si vuole “far vedere all’esterno” che qualcosa sta succedendo).
Nell’aggiornare la terribile contabilità della morte, sono state confermate per il momento le “cause” solo per i primi tre; mentre per gli altri nulla viene detto.
Il carcere è un luogo chiuso, da cui le informazioni escono solo in forma di comunicato ufficiale della direzione oppure, più frammentariamente e sempre molto diverse, tramite avvocati e/o familiari.
In questo caso, al momento, c’è solo la versione “istituzionale”, di cui è bene diffidare non per “principio ideologico”, ma più concretamente per la marea di post pubblicati da guardie dei vari corpi repressivi, sui social, in cui ci si fomentava a vicenda per passare immediatamente alle “vie di fatto” contro la “marmaglia”.
Le tre vittime sono oltretutto definiti come “stranieri” (dei secondi re, invece, non è stato detto ancora nulla), quindi con ancor meno relazioni possibili con il mondo esterno (avvocati spesso “d’ufficio”, visti solo al momento del processo; pochi o nessun familiare).
«Chiediamo indagini rapide — dice il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella — Temevamo che la tensione stesse crescendo, e che ciò potesse portare a delle tragedie». Una posizione logica, in assenza di alre informazioni. Ma che dovrebbe richiedere anche come minimo anche le autopsie, in presenza di esperti di controparte, per fugare qualsiasi dubbio sulla reale dinamica dei fatti.
Sappiamo per lunga esperienza che le “emergenze” sono sempre occasioni di totale sospensione dei diritti e di “esondazione” delle peggiori attitudini violente nelle cosiddette “forze dell’ordine”.
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Tullio Florio
Art.13 comma 4 E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà . Verità e giustizia per i sei detenuti.