Gli storici raccontano che Marciano, imperatore d’Oriente a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento d.c., di fronte alle scorrerie e alle continue richieste di tributi da parte degli Unni, mandò a dire che aveva “oro per gli amici e ferro per i nemici”. Dovette combattere ma riuscì a tenerli a bada per molto tempo.
I diktat e le continue richieste di allineamento ai propri interessi, sono parte integrante della storia del rapporto di subalternità dell’Italia verso gli Stati Uniti. La visita del Segretario di Stato Mike Pompeo in Italia, non ha derogato da questo schema, anzi.
E da questo punto di vista, mentre a Palazzo Chigi hanno accolto con oro Pompeo, in Vaticano l’hanno accolto con il ferro. Ovviamente è una metafora forzata, perché la diplomazia è fatta di protocolli ma anche di mille sfumature e altrettanti dettagli.
Emblematica, in tal senso, la prima pagina de “L’Avvenire”, il quotidiano della Cei, la conferenza dei vescovi.
Mike Pompeo, ad esempio, non è un capo di stato ma un ministro degli Esteri. Dunque i colloqui protocollari devono essere con i suoi pari grado: il cardinale Parolin infatti è segretario di Stato del Vaticano (in pratica il ministro degli Esteri) e Di Maio è il responsabile della Farnesina. Giusto quindi che il Pontefice saltasse l’incontro, sbagliato invece che Conte abbia incontrato Pompeo riconoscendogli un ruolo superiore alle proprie competenze.
In entrambi gli incontri Mike Pompeo aveva dei diktat da mettere sul tavolo ed un unico bersaglio: la Cina.
L’amministrazione USA da tempo ha dichiarato guerra al Vaticano e non solo per l’accordo raggiunto con la Cina sulla nomina dei vescovi in quel lontano paese. Negli Usa (ma anche in America Latina e in Asia), è cresciuta moltissimo l’influenza e il peso delle sette evangeliche che vedono il Papa e la Chiesa Cattolica come un rivale da annientare. E la guerra non è cominciata con Papa Francesco ma era già ben visibile ai tempi della guerra contro l’Iraq e del Pnac (Project per a New American Century).
Morto un Pontefice come Woijtila, apertamente collaboratore e collaborazionista della Cia e degli Usa, lo smarcamento della Chiesa Cattolica dalla logica della Guerra Fredda e una certa critica agli eccessi del liberismo, non sono mai stati graditi dal Washington consensus e dal modello di vita americano. Dentro questa contraddizione, hanno agito le sette evangeliche per aumentare le distanze tra Usa e Vaticano, ossia quelle che sono state definite negli anni Novanta “le uniche due potenze globali rimaste”.
L’attacco del tutto fuori posto e gratuito di Mike Pompeo contro l’autorevolezza del Vaticano qualora mantenesse l’accordo con la Cina, era girato su twitter ma anche sulle pagine di una rivista religiosa conservatrice. Era conseguenza che il suo arrivo in Italia e in Vaticano non potesse trovare altro che sorrisi e protocolli di circostanza in quest’ultimo.
Al contrario il governo italiano ha commesso un primo atto di subalternità accettando che anche Conte – oltre al pari grado Di Maio – incontrasse Pompeo. Un segno di debolezza emerso chiaramente nei colloqui.
Secondo alcuni resoconti Pompeo ha avuto toni molto cordiali nei confronti dell’Italia come “un esempio per tutti” (ma non per gli Usa, come è noto, ndr) nella gestione della pandemia di Covid 19, ma anche toni piuttosto forti a proposito dei rischi dei rapporti con la Cina.
“Abbiamo parlato molto – ha detto Pompeo nel corso della conferenza stampa alla Farnesina con il ministro Di Maio – delle preoccupazioni degli Stati Uniti sul fatto che il Partito Comunista cinese sta cercando di sfruttare la propria influenza economica per servire i propri scopi strategici: quando loro investono, non lo fanno per avviare partenariati sinceri a beneficio reciproco. Gli Usa – ha aggiunto – fanno appello al governo italiano affinché consideri in maniera attenta la sicurezza nazionale e la riservatezza dei dati dei propri cittadini”.
Secondo l’Ispi (Istituto di Studi di Politica Internazionale,ndr), l’obiettivo di Washington è “spingere gli alleati europei a emulare il Regno Unito, che dall’anno prossimo proibisce alle compagnie di telecomunicazioni l’acquisto di tecnologia 5G di Huawei, e prevede di smantellare tutte le reti 5G fornite dal colosso cinese entro il 2027”.
Sia Conte che Di Maio hanno informato Pompeo che l’inserimento del dossier sul 5G livello europeo, è funzionale a garantire una maggiore sicurezza dei dati e una competizione più sana tra le diverse imprese degli Stati membri.
La replica di Di Maio a Pompeo è stata interpretata in modo diverso da due giornali italiani molto importanti.
Secondo La Stampa Di Maio ha detto che l’Italia, “è saldamente ancorata agli Stati Uniti e all’Unione europea, cui ci uniscono i valori e gli interessi comuni dei Paesi Nato”, anche se “è evidente che un Paese dinamico come il nostro sia aperto agli investimenti anche quando arrivano dalla Cina”.
Secondo Il Sole 24 Ore Di Maio ha detto che l’Italia “è saldamente ancorata a Usa e Ue a cui ci uniscono interessi e valori comuni della Nato e delle democrazie. Per l’Italia” – ha anche aggiunto – “ci sono alleati, interlocutori e partner economici. Un Paese come il nostro è aperto a possibilità di investimento, ma mai fuori dai confini dell’Alleanza Atlantica”.
Insomma due conclusioni assai diverse e addirittura contrapposte tra loro. Secondo la Stampa per il governo italiano vanno bene anche gli investimenti cinesi, secondo Il Sole 24 Ore vanno bene solo quelli mai fuori dei confini dell’Alleanza Atlantica.
O Conte e Di Maio hanno parlato linguaggi diversi o i giornalisti presenti alla conferenza stampa hanno interpretato le dichiarazioni in modo diverso. Per “tigna”, non avendo trovato il comunicato ufficiale sul sito della Farnesina, ci siamo andati a sentire l’intervento di Di Maio alla conferenza con Mike Pompeo. E al minuto 3,50 ne abbiamo avuto la conferma. Il Sole 24 Ore fa resoconti più precisi di quelli de La Stampa.
Nel primo caso il governo italiano si sarebbe comportato come l’imperatore Marciano, nel secondo come un vassallo.
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Andrea Bo
Chiedo scusa per il francesismo, ma Sanfilippo Angelo, o Lala De Maria che sia, qui sotto, hanno rotto comunque i coglioni.
Sarei grato a chiunque, se d’accordo con me e titolare di account facebook, glielo facesse notare.
Walter Gaggero
Il fatto che per un capo di governo sia sconveniente incontrare un ministro straniero in missione (Imperiale per giunta)mi sembra mi sembra assolutamente inconsistente, per il resto la nuova politica trumpista necessita di un percorso attuativo.