Il nuovo DPCM emanato nella notte di martedì 13 ottobre ricorda i tanti precedenti dei mesi di marzo e aprile: una serie di provvedimenti restrittivi sul tempo libero individuale dei cittadini, alcune “raccomandazioni” in cui si spera nella buona volontà degli stessi e nessun limite agli assembramenti, quelli veri e tanti, che si verificano per la “produzione”.
Per questo, un provvedimento poco efficace in un momento in cui il numero dei test positivi oscilla di giorno in giorno ma appare un segnale comunque incontrovertibile che consiste nel forte aumento dei ricoveri e in quello dei decessi.
Sul tema della scuola, in preparazione di tale DPCM, si è raggiunta una situazione da teatro dell’assurdo, con i presidenti delle regioni che chiedevano che nelle scuole superiori si tornasse alla Didattica a distanza in forma integrale e la ministra Azzolina che si è duramente opposta, vincendo, alla fine questa battaglia assai poco nobile ed edificante.
Infatti si è trattato di uno scontro dalle caratteristiche bizzarre poiché entrambe i contendenti non avevano un minimo di ragione, anzi avevano completamente torto.
I presidenti regionali, capeggiati dal loro coordinatore, l’emiliano Bonaccini, chiedevano di lasciare a casa gli studenti per non sovraccaricare i servizi di trasporto pubblico che sono, evidentemente, un luogo di contagio a causa del loro sovraffollamento. Una richiesta singolare da parte di chi – primo tra tutti lo stesso Bonaccini- aveva proposto solo un paio di mesi fa di abolire qualunque limite all’ammissione dei passeggeri sui mezzi pubblici.
Si potrà dire che allora la situazione epidemiologica era migliore di oggi, ma se è peggiorata è anche perché nulla si è fatto per aumentare le corse di bus e treni pendolari, che – per esperienza quotidiana comune – viaggiano in condizioni di sovraffollamento e quindi di rischio per i passeggeri.
La situazione che si sarebbe verificata con la riapertura delle scuole, quando milioni di giovani si sarebbero serviti del trasporto pubblico per andare a scuola era nota da tempo alle regioni, che durante i mesi avuti a disposizione per preparare un miglioramento del servizio non hanno fatto nulla in tal senso.
Tutto è rimasto come prima e purtroppo anche la situazione sanitaria sta tornando indietro di mesi, con il rischio di trovarci, tra poche settimane, a dover contare migliaia di decessi.
Da parte della ministra Azzolina un ritorno integrale alla Didattica a distanza è inammissibile perché testimonierebbe del totale fallimento della sua gestione e della strada seguita dal Ministero nella preparazione del nuovo anno scolastico.
In realtà, da aprile in poi in viale Trastevere si è cianciato di cose secondarie come i banchi “di ultima generazione” di improbabili conferenze di servizio con gli enti locali e i privati per reperire spazi, oppure si sono costituite commissioni come quella presieduta da Patrizio Bianchi che ha prodotto un pezzo di carta ormai dimenticato in qualche cassetto (della commissione Colao, istituita dalla Presidenza del Consiglio, si è persa anche la memoria, e forse è meglio così).
Alla fine, il governo ha esteso i poteri del commissario Arcuri anche alla scuola. Costui si è intestardito a ordinare in ritardo banchi in quantitativi non credibili, che non sono ancora arrivati negli istituti buttando così un sacco di soldi. Ma ciò serviva per distrarre l’opinione pubblica dal fatto che i soli provvedimenti utili, vale a dire diminuire gli alunni per classe e assumere quindi i docenti necessari, non erano stati presi.
Il DPCM del 13 ottobre pone infine una pietra tombale sulle chiacchiere circa il reperimento di spazi esterni alle scuole, sul “fare lezione” nei parchi, nei teatri, nei cinema e nei musei con cui ci si era trastullati in Viale Trastevere: qualunque uscita dalla scuola è vietata. Mi chiedo se al governo, non abbiano almeno un po’ di vergogna.
L’opposizione al ritorno a una Didattica a distanza totale è più che giustificata, dato che non si tratta di vera scuola. Tuttavia la Ministra non ha fatto nulla per evitare che ci si trovasse di fronte alla possibilità di un ritorno alla situazione della scorsa primavera. Infatti, a causa delle inadempienze del ministero, gran parte delle scuole – soprattutto ma non solo secondarie superiori – hanno riaperto con orari ridotti e talvolta fantasiosi e poco funzionali o con l’assurda situazione di mezza classe in aula e mezza a casa davanti allo schermo.
Inoltre, dopo nemmeno un mese dalla ripresa scolastica, sono centinaia i casi di classi poste in quarantena e di positività d’insegnanti e allievi. Una situazione che desta inquietudine e insicurezza nei lavoratori della scuola, negli allievi e nelle loro famiglie che si verifica perché il Ministero durante l’estate ha fatto tutto tranne ciò che sarebbe stato necessario.
Non contenta del disastro provocato, la Ministra insiste pervicacemente nel confermare il concorso riservato ai precari che si terrà a partire dal 22 ottobre. In una situazione epidemiologica molto pericolosa, che rischia di arrivare a livelli peggiori di marzo – perché secondo Giuseppe Conte un altro confinamento non è possibile per ragioni economiche delle imprese- Lucia Azzolina farà spostare decine di migliaia di persone che si accalcheranno in spazi probabilmente inadeguati per un concorso destinato a persone che insegnano da anni e che si potrebbero immettere in ruolo per titoli e servizio.
Per la “ex sindacalista” Azzolina ciò non è possibile perché la scuola “ha bisogno di docenti preparati” che si possono reclutare, secondo lei, solo per concorso. Ricordando il diritto affermato dalla Corte di Giustizia europea a essere assunto per chi ha tre anni di servizio, lasciamo comunque a chi abbia sostenuto un concorso nella scuola il giudizio sul reale accertamento delle competenze disciplinari e didattiche di questa forma di reclutamento.
Inoltre, tale concorso non prevede prove suppletive per chi fosse in quarantena, che sarà quindi escluso dall’agognata immissione in ruolo.
Ridotto quindi alla sua vera natura, lo scontro Regioni-Ministero dell’Istruzione è solo l’ennesima puntata dei disgustosi litigi e dispetti tra governo e regioni a cui ci siamo abituati e che ha il solo risultato di danneggiare i cittadini.
Purtroppo, però, questo è anche un modo di coprire demagogicamente le inadempienze degli uni e degli altri che nulla di concreto hanno saputo fare nei mesi in cui sarebbe stato possibile. Ormai è tardi e qualunque soluzione risponde alla metafora della coperta troppo corta: fuori i piedi o fuori la testa.
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