Appuntamento: venerdì 5 marzo, ore 17:00, assemblea pubblica in viale delle Province
Non ci vogliono dei draghi per capire che non ci siamo, e che la “nuova” governance della crisi sindemica in corso ha la funzione di traghettare le forze politiche verso una gestione meno avventurosa, e più attenta, ai dettati finanziari europei. I soldi devono andare presto nelle mani giuste e non ci devono essere tentennamenti ed errori.
Però l’esperienza ci insegna molto, e non farne tesoro può rappresentare un grave errore, soprattutto per le sorti di questa città. Vediamo agitarsi molti spettri sul futuro assetto politico della Capitale, e una foschia sempre più densa sale a nascondere l’insipienza delle figure che si stanno candidando a risolvere le annose questioni che attanagliano Roma e dintorni.
I temi sociali più scottanti però sono tutti lì, e non sembra che ci siano grandi scatti in avanti nell’affrontarli con la dovuta decisione. L’attenzione ricade sempre sulle grandi possibilità speculative, sulla trasformazione della città in funzione del profitto. Alle emergenze più stringenti si risponde facendo leva sul volontariato e sulla pubblica solidarietà, o al massimo con qualche bonus condizionale ed insufficiente.
Ancora una volta, la gestione emergenziale di una crisi figlia di tutte le storture di questo sistema (dallo smantellamento dei servizi all’assenza di politiche abitative e di welfare strutturali) diventa la foglia di fico per mantenere la pace sociale e il consenso.
E laddove i soggetti meno garantiti osino alzare la voce o protestare contro la gestione della crisi, si ricorre alle maniere forti, ripristinando legalità e sicurezza con decisioni che mettono al primo posto l’ideologia securitaria.
Proprio il disagio sociale e l’emergenza divengono, a questo punto, dirimenti nell’osservare la città alla vigilia di elezioni importanti come la scelta del nuovo sindaco, della nuova giunta e del nuovo consiglio comunale.
Intorno a questioni come la casa, la salute, la scuola, il lavoro e il reddito, i trasporti, la qualità della vita in territori sempre più cementificati e abbandonati, si gioca gran parte del dibattito politico del momento.
Anziché pensare in termini strutturali e sistemici, anche a sinistra e nei movimenti sociali si scivola verso la gestione del quotidiano, senza darsi un orizzonte più ampio e strategico per ottenere piani di intervento strutturali e risorse economiche rilevanti.
Questo ha fatto sì che negli ultimi anni, ad una visione alternativa di città si sostituisse progressivamente una concezione dell’agire nella metropoli costruita attorno ad un articolato insieme di attività mutualistiche e di solidarietà dal basso che sono divenute facile terreno di contesa per la raccolta e la gestione del consenso.
In questo modo la contrattazione sociale non deriva più dai rapporti di forza generati dal conflitto, ma viene determinata attraverso la produzione di nuove categorie e linguaggi. Le cosiddette fragilità determinate dalla crisi economica aggravata da quella pandemica vengono sostanzialmente accudite e ristorate, in modo che non possano sedimentare rabbia e risentimento, nonostante l’incertezza della propria esistenza.
E allora ci si impegna per il buono spesa e per il buono affitti, si dimostra che se ne ha il diritto per superare verifiche di ogni tipo, e si introietta lo stigma della persona fallita che deve ‘reinventarsi’, ed essere reintrodotta nella convivenza civile.
La povertà viene narrata come colpa, e chi si ribella a questa condizione viene colpito da provvedimenti coercitivi, segreganti e discriminatori, sia di natura penale che amministrativa (dalla negazione della residenza fino ai Daspo e le multe territoriali).
Non è credibile che un pacco alimentare, elargito da chicchessia, possa produrre nuova consapevolezza e far avanzare sul terreno della lotta chi oggi vive nella logica dell’assistenza e nella paura che il conflitto sociale può arrecare solo danni.
Per questo riteniamo utile un confronto sul senso del mutualismo nel 2021 e la storia di questo nobile gesto di tutela sociale nato in queste latitudini per sostenere lavoratori, contadini e comunità in lotta dentro percorsi duraturi di mobilitazione, sciopero e conflitto, e sedimentato anche oltreoceano dentro le esperienze di sindacalismo rivoluzionario e nelle pratiche di movimenti contemporanei come “Black Lives Matter”.
Pensiamo utile fare un salto di qualità discutendone insieme, dentro una città cloroformizzata da una classe politica che dandosi il cambio in Campidoglio ha da decenni consegnato nelle mani della rendita tutti gli abitanti che ci vivono.
È ancora in piedi lo scontro tra l’estrazione di valore continuo che viene prodotto da un’urbanizzazione fondata sul profitto, e la necessità di un reddito e di garanzie sociali capaci di sottrarre milioni di persone da un ricatto permanente.
Scegliere il bicchiere mezzo vuoto per la paura di scivolare verso l’irrilevanza, ci ha portato ad un arretramento complessivo nell’affermazione dei diritti primari contrattando al ribasso le rendite di posizione, le casematte conquistate in decenni di conflitto e lotte sociali nella metropoli.
Proviamo a sollevare la questione. A trovare quel corto circuito necessario per riaccendere la miccia di un conflitto sociale determinato a porre sul tavolo, con l’autorevolezza necessaria, la questione romana.
Le periferie sono sempre chiamate in causa a (s)proposito di abbandono e degrado, e vengono descritte come esterne alla “Grande Bellezza” dei Sorrentino di turno. Una narrazione negativa, intrisa di classismo e ideologia proprietaria del decoro, con cui la destra sociale raccoglie facili consensi fomentando odio, mentre in realtà esse sono la città pulsante, il respiro che mantiene in vita il tutto.
Sono la foresta amazzonica che ci salva e vanno difese producendo solidarietà collettiva e riscatto sociale attraverso le lotte. Proprio dentro i territori più lontani dal centro si muove gran parte dell’energia necessaria per rimettere in movimento Roma.
Qui c’è la città che non ti aspetti e che non aspetta più. Qui si riparte tra mutualismo e conflitto sociale.
Per questo, dopo la prima tappa dello scorso 10 dicembre, dopo essere passati da Caravaggio, piazza Vittorio, Campidoglio e Regione, torniamo a Viale delle Province 197, venerdì 5 marzo, ore 17:00, per un’assemblea pubblica sulla “questione romana”.
Link zoom per seguire l’assemblea: https://us02web.zoom.us/j/83029702270; ID riunione: 830 2970 2270.
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