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Diminuita l’aspettativa di vita in Europa. E’ “sindemia”

La pandemia di Covid e le migliaia di morti che sta provocando hanno determinato la riduzione dell’aspettativa di vita nei paesi dell’Unione Europea. Sul piano della civiltà è una drammatica inversione di tendenza, sul piano del cinismo contabile degli istituti finanziari un desiderio mai espresso pubblicamente ma segretamente perseguito “con altri mezzi” (innalzamento dell’età pensionabile e riduzione degli standard sanitari).

Nel 2020, l’anno del Covid-19, infatti è tornata a calare l’aspettativa di vita nella stragrande maggioranza degli Stati della Ue dopo anni di aumenti costanti. L’inversione di tendenza viene certificata dagli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat.

La diminuzione maggiore è stata registrata in Spagna con un calo di 1,6 anni rispetto al 2019, seguita dalla Bulgaria (-1,5), da Lituania, Polonia e Romania (-1,4). Invariati i dati di Cipro e della Lettonia mentre aumenta, anche se di poco (+0,1), l’aspettativa di vita in Danimarca e Finlandia.

In Italia il calo è stato di 1,2 anni con l’aspettativa di vita passata da 83,6 a 82,4 anni. Il problema non sembra legato all’età media e alla alta percentuale di anziani dell’Italia. La struttura per età può spiegare solo parzialmente le differenze di mortalità. In effetti, se si va a vedere la percentuale della popolazione oltre i 65 anni si rileva che tra le popolazioni più “anziane”, oltre all’Italia ci sono paesi come Giappone, Portogallo e Finlandia, per i quali registriamo una mortalità da Covid-19 molto più bassa.

Ma i dati dell’Eurostat non fanno che confermare quanto a marzo 2020 aveva già rilevato l’Istat attraverso il rapporto Bes.

Il rapporto rilevava come l’evoluzione positiva della speranza di vita alla nascita tra il 2010 e il 2019, pur con evidenti disuguaglianze geografiche e di genere, è stata duramente frenata dal Covid-19 che ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio.

A fronte di una stima di circa 0,9 anni perduti complessivamente a livello nazionale (da 83,2 a 82,3 anni), emerge una forte eterogeneità tra i diversi territori, con uno svuotamento, in termini di anni vissuti, più marcato nelle regioni settentrionali (da 83,6 a 82,1 anni attesi), rispetto al Centro (da 83,6 a 83,1) e al Mezzogiorno (da 82,5 a 82,2).

Ma sarebbe errato addebitare questo processo alla sola pandemia di Covid. Tutti i fattori economico/sociali/sanitari concorrono infatti nell’inquadrare quella in corso più come una sindemia che come una classica pandemia.

Infatti anche nel 2020, un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno. Il forte aumento (6,3% nel 2019) è certamente legato a preoccupazioni sul rischio contagio; oltre il 50% di chi ha rinunciato a cure e visite mediche riferisce infatti motivazioni legate alla pandemia da Covid-19.

Il dato che si registra nel 2020 è certamente straordinario, in aumento rispetto all’ultimo anno di oltre il 40%, per la particolare situazione legata alla pandemia. Ma la tendenza si è era già intravista prima della emergenza pandemica.

Un rapporto dell’Ocse nel 2019 – quindi prima della pandemia – riportava che se fino al 2008-2009 per aspettativa di vita l’Italia era terza  dopo Giappone e Svizzera, negli ultimi anni era scesa al quarto posto, con una leggera diminuzione del risultato che passa, mediamente, dagli 83,3 anni alla nascita del 2016 agli 83 negli anni successivi. Nella classifica per primo rimaneva il Giappone con 84,2 anni, seguito dalla Svizzera (83,6) e dalla Spagna (83,4). Quest’ultima – un paese collocato nei Pigs come l’Italia – come abbiamo visto, sta subendo più pesantemente di altri le conseguenze della pandemia di Covid.

E in Italia, con la sanità pubblica portata al collasso da anni di tagli e dalle privatizzazioni delle prestazioni sanitarie, da tempo molte famiglie avevano già rinunciato o ridotto le spese per la salute. Il 7° Rapporto sulla povertà sanitaria, presentato nel 2019 dalla Fondazione Banco Farmaceutico e BFResearch, segnalava che le difficoltà non riguardano solo le persone indigenti: complessivamente 12,6 milioni di persone in Italia – prima del Covid – hanno dovuto limitare almeno una volta durante l’anno la spesa per visite mediche e controlli periodici di prevenzione (dentista, mammografia, pap-test) per ragioni economiche. In media ogni persona spende 816 euro l’anno per curarsi, contro i 128 di chi è povero.

Alla luce di questi dati si conferma come l’obiettivo della riduzione dell’aspettativa di vita nelle società a regime capitalista, sia in realtà un obiettivo perseguito da anni con cinismo e spregiudicatezza. Da questo punto di vista la pandemia di Covid 19 sta facendo felici non pochi profittatori ma sta anche acutizzando le disuguaglianze sociali anche sul terreno della salute e, appunto, della aspettativa di vita. In tal senso quella che stiamo vivendo somiglia sempre di più ad una sindemia che ad una pandemia.

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1 Commento


  • Pasquale

    Sindemia, dunque come conseguenza delle disuguaglianze sociali. Il capitalismo rapace, l’imperialismo neocolonialista, i fondamentalismi religiosi, l’incuria delle risorse naturali, la negligenza verso le generazioni future e la scarsa considerazione delle fasce più deboli.

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