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Scuola: Draghi cambia la realtà a colpi di decreto

Gli italiani stanno cercando di capire quali saranno le limitazioni alla loro vita sociale nelle prossime settimane, decifrando le complesse disposizioni dei decreti governativi. Chi si potrà andare a trovare, in quanti, dove e come ci si potrà spostare, se si potrà andare al cinema o al concerto e a che ora, visto che alle 22 si deve essere tutti a casa.

Continua anche il grottesco e inutile gioco dei colori delle regioni, questa volta aggravato dal rompicapo del pass per gli spostamenti. Tutte limitazioni snervanti con cui paghiamo il fatto che una vera chiusura, in Italia, non c’è mai stata né mai si farà.

Ora il governo Draghi, mentre riapre definitivamente tutte le attività, scarica tutte le responsabilità sui comportamenti individuali. Il governo ha “calcolato i rischi”, ma non si sa con quali criteri e ora arrangiatevi, se morite è colpa vostra.

In questa ansia irresponsabile di riaperture, è però chiaro che ancora una volta la scuola farà le spese dell’insipienza e dell’incapacità governativa. Dopo una faticosa trattativa con le regioni, il governo Draghi ha agito, all’ultimo momento, con un atto d’imperio, modificando l’accordo che era stato faticosamente raggiunto.

In pratica, nelle regioni gialle e arancioni il rientro degli studenti delle superiori sarà tra il 70 e il 100% e nelle rosse tra il 50 e il 70%. In sostanza, Draghi non ha voluto smentire quanto detto in Parlamento, ma il suo decisionismo non può certamente modificare una situazione sanitaria precaria e zeppa di pericolose incertezze.

Le regioni, responsabili peraltro di non avere fatto nulla per migliorare i trasporti, si erano opposte al rientro al 100% e in seguito avevano espresso forti perplessità anche i presidi e buona parte degli insegnanti, categorie queste ultime che peraltro vogliono fortemente poter riprendere le lezioni in presenza, ma in sicurezza.

Come al solito, non si dispone di dati nazionali chiari sul numero di contagi che avvengono nelle scuole, ma, a titolo d’esempio, i dati diffusi da ATS per la sola provincia di Lodi e la città metropolitana di Milano parlano di 669 casi positivi rilevati negli istituti nell’ultima settimana, di cui 571 alunni e 98 docenti e ATA, distribuiti nei diversi ordini di scuola. Questi casi hanno costretto all’isolamento 5.187 persone tra studenti e personale scolastico.

Cifre che non sono incoraggianti e che potrebbero effettivamente peggiorare con una riapertura totale delle scuole, sia perché qualunque distanziamento in aula è impossibile, sia per l’inefficienza del trasporto pubblico, che costringe studenti e pendolari a viaggiare sempre in condizioni disumane e ora anche pericolose.

Infine, per la mancanza di alcuna possibilità di screening efficaci e rapidi. E’ quindi probabile che il decreto Draghi sarà interpretato rispettando le soglie minime di presenza a scuola e utilizzando la “flessibilità” lasciata comunque ai singoli istituti. Un modo, quest’ultimo di scaricare responsabilità assai gravi sui dirigenti d’istituto.

In questo quadro, quindi, l’imposizione di Draghi può avere solo due effetti: uno puramente demagogico, se le cifre della reale presenza a scuola non cambieranno granché, e un secondo, più improbabile, se la presenza dovesse essere massiccia, di aumento dei rischi di contagio.

Si deve anche tenere presente che la campagna vaccinale del personale scolastico è attualmente bloccata in tutta Italia per rispettare il criterio di procedere per fasce d’età. Numerosi lavoratori non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino, comunque insufficiente a garantire una copertura adeguata sino alla somministrazione del richiamo.

La fine dell’anno scolastico si annuncia quindi caratterizzata da provvedimenti azzardati, indicazioni confuse e caotiche, inefficienza, indifferenza per la salute di studenti e personale e conflitti istituzionali. In ogni caso, le vittime di questa situazione saranno soprattutto gli studenti, ma anche il personale scolastico. Infine, il ricorso alla didattica a distanza s’imporrà per una parte consistente di studenti se si vuole rispettare un minimo di cautela..

Di fronte a una situazione tanto degradata sorgono almeno due osservazioni: la prima, a breve termine, riguarda la conclusione dell’anno scolastico in corso; la seconda, il prossimo o i prossimi.

Per quanto riguarda la conclusione dell’anno scolastico, va a questo punto ribadita ancor più vibratamente la richiesta che tutti gli studenti e le studentesse siano ammessi d’ufficio all’anno successivo, non avendo avuto pieno diritto allo studio, in una situazione che, oltretutto, ha accresciuto a dismisura le disuguaglianze di classe già presenti nella nostra scuola. L’anno scolastico non è stato regolare e non si può pensare che una valutazione degli apprendimenti possa esserlo.

In secondo luogo, guardando al prossimo anno scolastico, il governo deve rendere conto di cosa stia facendo per garantire un rientro in sicurezza e in presenza totale a settembre. I decreti di Draghi non cambiano la situazione sanitaria: pensare che la pandemia, a settembre, possa essere terminata, è una pura illusione.

Purtroppo il governo Draghi sta ripercorrendo la medesima strada del Conte 2 e Bianchi quella di Azzolina che consiste nel nulla fare e nulla prevedere.

Quattordici mesi di pandemia sono trascorsi senza che siano stati presi provvedimenti efficaci per la scuola: aumento degli organici, edilizia scolastica, misure di prevenzione efficaci. E di come si tornerà a scuola a settembre non si parla. Il rischio concreto è che nulla sia cambiato, come l’anno scorso.

A questo proposito sono anche molti gli interrogativi su come il governo intenda utilizzare i fondi del Next Generation Fund destinati alla scuola. Infatti Draghi, forse abituato al segreto bancario, non sta informando nessuno dei cambiamenti che saranno apportati al progetto del governo Conte 2.

Tuttavia, è immaginabile che sul tema della scuola e della formazione i cambiamenti non saranno significativi, dato che anche il documento del precedente governo era assai sbilanciato verso un uso confindustriale dei fondi.

Infatti, almeno per la loro metà, era previsto che essi fossero destinati al capitolo Dalla ricerca all’impresa, che dà un chiaro indirizzo di sottomissione della scuola e dell’università agli interessi e ai bisogni delle imprese. Ci siamo già occupati di questo progetto, nato con Lucia Azzolina ma con Bianchi ministro in pectore.

Quale sia l’idea che Bianchi ha della scuola non è difficile da sapere, visto che poco tempo fa ha pubblicato un suo libro: Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia. In tale lavoro, Bianchi tratteggia molto bene l’idea della scuola inserita in “Patti territoriali di comunità”, già teorizzati nell’estate scorsa, quando era presidente della commissione per la ripresa (fallita) della scuola.

Tali patti dovrebbero comprendere, a fianco dell’istituzione scolastica, rappresentanti degli enti locali e delle imprese, rafforzando il principio di sussidiarietà tra pubblico e privato che tanti danni ha già creato nella sanità.

“Il privato”, cioè l’impresa, entrerebbe così direttamente nella gestione della scuola pubblica, con propri progetti e propri docenti-esperti. Un modello di comunità in cui comunque il centro sono l’impresa e la sua cultura e che frammenta il sistema formativo nazionale in base alle esigenze produttive locali anziché rafforzarlo garantendo uguali opportunità a tutti.

Per questo non c’è da attendersi che dal Next Generation Fund possa venire un sostegno alle politiche di rafforzamento della scuola pubblica e del sistema scolastico nazionale. Tra l’altro, l’impiego di tali fondi sarà strettamente sorvegliato dalla UE, la cui politica scolastica è sempre stata indirizzata verso una visione aziendalista e tecnocratica.

Per tutte queste ragioni, se si vuole immaginare una ripresa scolastica decente nel prossimo mese di settembre è ora il momento di rafforzare la mobilitazione per un rifinanziamento della scuola pubblica, per nuove assunzioni, per dotazioni di spazi e materiali, per la prevenzione sanitaria e quindi per un rilancio di un sistema formativo unico nazionale e democratico indipendente dalle mire delle imprese.

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