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“Se Cospito vuole morire allo Stato va bene così”

Il tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza della difesa di Alfredo Cospito e dunque il militante anarchico resta al 41 bis nel reparto protetto del San Paolo di Milano.

Nel provvedimento i giudici di sorveglianza rigettano l’istanza “di differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare”, presentata dalla difesa, “e quella di collocazione permanente nel reparto di medicina protetta dell’ospedale San Paolo di Milano“, proposta invece dalla Procura generale.

Anche per il Tribunale di sorveglianza di Sassari Alfredo Cospito deve restare al 41 bis nel reparto protetto del San Paolo di Milano.

I giudici hanno respinto la richiesta di differimento pena in arresti domiciliari presentata per gravi motivi di salute dagli avvocati difensori, Maria Teresa Pintus e Flavio Rossi Albertini.

Le due decisioni – di fatto identiche – non sono peraltro sorprendenti. La “sorveglianza” è il gradino più basso nella gerarchia della magistratura italiana, e sarebbe stato davvero sorprendente che fosse questo livello a mettere in discussione le sentenze già emesse dalla Cassazione, nonché la decisione del ministro della giustizia, che avevano confermato il 41bis per l’anarchico.

Dunque Alfredo resta per ora in ospedale, ma pur sempre in regime di 41bis (insomma: senza colloqui, senza libri, senza nulla, ecc).

Non è infatti sorpreso l’avvocato Flavio Rossi Albertini, che aveva presentato l’istanza. «La cosa che lo fa più arrabbiare è relativa alla consegna dei libri sono tre settimane che ha chiesto un libro di Borges e ancora non glielo hanno dato. Al 41 bis la cosa che è meno salvaguardata è il diritto allo studio, alla lettura, alla crescita morale e culturale del detenuto».

Definisce l’esito «scontato» e «un passaggio obbligato», «non confidavamo in alcun modo in questa iniziativa», ma questa sentenza fornisce l’occasione per il ricorso alla Corte europea dei diritti umani.

Da questo punto di vista la sentenza della sorveglianza di Milano offre probabilmente argomenti insperati.

I magistrati hanno voluto infatti stigmatizzare la strumentalità della condotta che ha dato corso alle patologie oggi presenti” che sarebbe “assolutamente certa“.

Peggio ancora: per la condizione sanitaria di Cospito “non si palesa neppure astrattamente confliggente con il senso di umanità della pena, avuto riguardo alle condizioni oggettive del detenuto“.

Condizioni “che, certamente precarie e a grave rischio, sono il frutto di una deliberata e consapevole scelta e attraverso l’ubicazione nel reparto ospedaliero dove si trova possono essere monitorate nel modo più attento“.

Alfredo Cospito è continuamente informato dai sanitari degli elevati rischi per la propria salute a quali “si espone nel proseguire l’attuale regime dietetico; inoltre quotidianamente e reiteratamente i sanitari gli propongono un protocollo di rialimentazione dopo il digiuno prolungato che però egli, altrettanto reiteratamente, rifiuta coscientemente“.

In pratica, è come se il Tribunale di Sorveglianza dicesse: “se vuole morire, che muoia pure; lo sciopero della fame non è che un ricatto strumentale per ottenere decisioni diverse da parte dello Stato”.

Un argomentare che può sembrare sensato a qualche fascista ubriaco, ma che va contro la storia di una forma di lotta pacifica che ha segnato la storia mondiale del dopoguerra.

Anche senza ricordare l’uso fattone dal Mahatma Gandhi – perché la Gran Bretagna se ne andasse dall’India, cosa che certamente il governo di Elisabetta II “non voleva” – basterebbe probabilmente ricordare la lunghissima sequenza di (semi-finti) scioperi della fame di Marco Pannella e dei radicali per supportare le battaglie per il divorzio e l’aborto (che certo i governi democristiani “non volevano”). Oppure per ottenere spazi mediatici, soprattutto televisivi, decisamente sproporzionati alla loro consistenza organizzativa ed elettorale.

Ogni volta che qualcuno ricorre allo sciopero della fame (o ad altre forme di lotta) cerca di ottenere qualcosa che la controparte non vuole concedere.

I magistrati, invece, tendono a qualificare lo sciopero della fame come una forma di “estorsione”, un voler forzare la decisione politica “sovrana” dell’esecutivo e delle istituzioni.

Sembrano perciò ignorare i fondamenti stessi della democrazia parlamentare borghese, che formalmente riconosce il diritto a far pesare interessi e posizioni diverse da quelle della maggioranza, purché espresse in forme “pacifiche”.

E più innocuo dello sciopero della fame, davvero, non c’è nulla. Il “contrastante” lo Stato, infatti, fa del male soltanto a se stesso, ovviamente per ottenere un’attenzione – e decisioni – che altrimenti non verrebbero fuori.

E’ la normalità della differenza sociale, insomma. Ma a questi magistrati – come all’attuale governo (e a quello Draghi, che aveva deciso il 41bis per Cospito) – sembra “intollerabile” e quindi meritevole della morte.

Non c’è dubbio che la Corte Europea avrà molto materiale su cui esercitare la propria attenzione…

Sempre che una sua decisione arrivi in tempo. Alfredo è in sciopero della fame ormai da 20 ottobre scorso. E per quanto grande possa essere la sua capacità di tenuta fisica, siamo ormai da tempo in zona rischio…

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