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Le priorità di Potere al Popolo. Intervista a Marta Collot e Giuliano Granato

Alla vigilia della quarta Assemblea Nazionale che si tiene a Roma sabato 10 giugno abbiamo intervistato Marta Collot e Giuliano Granato, portavoci nazionali di Potere al Popolo.

Il 10 giugno Potere al Popolo tiene la sua quarta Assemblea Nazionale.  Quali sono le priorità in discussione?

Marta Collot: L’assemblea nazionale arriva in un momento in cui le.contraddizioni di questo sistema si stanno facendo sempre più  acute: l’escalation  bellica si sta intensificando, il rischio del collasso climatico si fa sempre più  evidente,  questo governo sta mostrando il suo volto più  reazionario e violento verso le classi popolari..

Arriviamo a questo momento di discussione che non vuole essere un momento autoreferenziale o celebrativo ma un momento  di bilancio del percorso fatto fino ad ora, di riflessione e rilancio su come costruire in questa fase storica un soggetto di rappresentanza politica in grado di incidere nella realtà  è rappresentare davvero le fasce popolari.

Sicuramente oggi la priorità  è  capire come costruire un’opposizione netta a questo governo fascista (smascherando però  anche l’operazione di centro sinistra e M5S che provano a  rifarsi una faccia), allargare il fronte sociale contro la guerra e rimettere in campo una ipotesi di alternativa politica e sociale per questo paese.

Giuliano Granato: La domanda di fondo da cui partiamo è, in fondo, come si costruisce la trasformazione in un’epoca tanto buia? In Italia abbiamo un governo dell’ultradestra, in tutta Europa le destre si spostano ancor più a destra e cresce l’ultradestra di Vox in Spagna, Marine Le Pen in Francia, AfD in Germania. La guerra non solo è espolosa, ma è ormai in mezzo a noi da più di un anno e incide profondamente tanto sulle politiche dei nostri governanti che sui cambiamenti profondi nel nostro modo di pensare, sulla nostra stessa struttura cognitiva. Crediamo forse che la ricerca di “sicurezza” (che si può tradurre in alcuni casi anche nella ricerca di soluzioni più autoritarie di quelle attuali) sia slegata dal senso di profonda paura e insicurezza portatoci dalla guerra?

I “nostri” sono sì frustrati, arrabbiati e insoddisfatti ma, allo stesso tempo, rassegnati. Ansia e angoscia diventano le cifre del presente. Pare che un’ampia mobilitazione sociale – in questo caso ancor più nello specifico in Italia – sia quasi inibita.

È lo stato presente, quello che nello slogan utilizzato per il tesseramento 2023 abbiamo denominato “Nella notte” (lo slogan completo è “Nella notte ci guidano le stelle”). Ma, a dispetto dei cantori della “fine della storia”, noi siamo profondamente convinti che alla notte segue necessariamente il giorno. Ecco che allora dobbiamo interrogarci su quali siano le stelle che ci guidano nella notte?

Su questo ci interroghiamo nell’ottava Assemblea Nazionale di Potere al Popolo.

L’Italia oggi per certi versi si prefigura come laboratorio di un esperimento che coniuga, da una parte, l’assoluta subalternità a Nato e Washington e l’ortodossia economica in nome di austerità e deflazione salariale; e, dall’altra, forme autoritarie e repressive contro migranti, donne, comunità LGBTQIA+, “marginali”.

Giorgia Meloni, altro che underdog, è del tutto compatibile col potere economico, politico e mediatico. Marine Le Pen in Francia e Feijóo (PP)/Abascal (Vox) in Spagna guardano al Governo italiano come a un modello di legittimazione dei loro stessi progetti reazionari.

Ma se il laboratorio italiano fosse il primo tassello di un nuovo ciclo politico, vuol dire che anche noi – che vogliamo essere anticorpo a questa “nuova” malattia – abbiamo un ruolo chiave: a noi, ovviamente insieme ad altri, sta davanti la necessità di inventare nuove forme di conflitto, organizzazione e nuove traiettorie di trasformazione. Osando staccarsi dai vecchi riti, ormai inutilizzabili.

Il documento politico pone, attraverso alcune domande, la questione dell’identità politica di Potere al Popolo. Che risposte sono arrivate dalle assemblee territoriali?

Marta Collot: Intanto voglio dire che i territori sono stati chiamati a interrogarsi e discutere su questioni complesse e sono arrivati tantissimi contributi tutti di qualità, sintomo di un’organizzazione viva che non si vuole accontentare di ricette precostituite ma che procede per tentativi e verifiche.  È emerso che il tema dell’identità  è ancora  più centrale in una fase storica in cambiamento in cui se è  vero che il Sol dell’avvenire non sembra essere dietro l’angolo, è  pur vero che il capitalismo occidentale e il blocco euroatlantico sono in profondissima crisi e l’alternativa tra socialismo  e barbarie si fa ogni giorno  più  comprensibile.

Per questo è  emersa la necessità di avere un profilo identitario più  definito, attualizzando il concetto di socialismo del XXI° secolo, rivendicandoci concetti come comunismo o anticapitalismo ma trovando una forma per renderli concetti vivi e utili alla nostra classe..un altro aspetto importante è  che l’identità  non è  rappresentata da generiche dichiarazioni di principio ma si costruisce giorno dopo giorno nella coerenza della pratica, nella presenza nelle lotte e sul territorio, nella capacità  di individuare nemici e soluzioni ma soprattutto nell’Autonomia e nell’Indipendenza  dal centrosinistra e tutte le sue ramificazioni.

Giuliano Granato: Permettimi innanzitutto di segnalare che Potere al Popolo è forse l’unica organizzazione che arriva al suo momento di riunione annuale con un percorso in cui dal “centro” dell’organizzazione sono arrivate più domande che risposte alla nostra comunità. Non è casuale. Come Potere al Popolo intendiamo ogni iscritta e ogni iscritto come un potenziale/reale quadro politico e crediamo che le assemblee territoriali non siano mere articolazioni locali di un centro deputate alla sola esecuzione, ma luoghi di discussione, stimolo ed elaborazione.

Per questo, tra le altre, abbiamo chiesto cosa significhi “essere comunisti” oggi. Il profilo politico della nostra organizzazione, infatti, se più omogeneo e definito, può essere una delle “stelle” che ci può guidare nella notte.

Ciò che mi pare traspaia dalle risposte che ho avuto modo di leggere è innanzitutto un elemento di “orgoglio”: orgoglio di appartenere non solo a Potere al Popolo, ma a una tradizione che affonda le radici più indietro nel tempo e anche più in là nello spazio geografico, alla storia di chi si è sempre battuto per trasformare la realtà perché convinto che gli assetti di potere sono sempre serviti alla conservazione del privilegio di pochi a danno del diritto di molti. Emerge la voglia di una identità più forte che, però, non si esperisce nella riproposizione di simboli e nomi tipici del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, ma in questioni più di fondo, a partire da un antagonismo strutturale con le strutture di potere – tutto, non solo quello politico – e dalla considerazione del conflitto non solo come dato insopprimibile nella società del capitale, ma come vettore della trasformazione.

Antagonismo strutturale significa che in Potere al Popolo crediamo che la dialettica non sia quella tra avversari, ma quella amico/nemico: il potere economico, politico e mediatico non è avversario delle classi popolari, ma suo nemico. E in quanto nemico costruisce di continuo le condizioni affinché non si possa dare un potere popolare capace di disarcionarlo. Politica è questo: scontro tra interessi opposti, in cui tra due opposte ragioni non vince quella più “giusta”, ma quella con più forza.

Avete lanciato una campagna sul salario minimo. Che segnali ricevete e che segnali inviate ai settori sociali in maggiore sofferenza nel paese?

Marta Collot: Il lancio della raccolta firme per una proposta di Legge di Iniziativa Popolare sul salario minimo di 10 euro all’ora insieme a Unione Popolare, rappresenta un’occasione importante per entrare in contatto con i settori di classe più  fragili del nostro Paese, per marcare la differenza tra chi ha distrutto i diritti dei lavoratori firmando contratti collettivi nazionali con paghe da fame e chi ha introdotto la precarietà come tratto costitutivo del mondo del lavoro in Italia. I primi segnali sono molto buoni perché la questione del salario è  una questione immediatamente comprensibile che riguarda la maggioranza della popolazione, ma ci sarà  bisogno dello sforzo di tutti per arrivare alle 50.000 firme per portare la legge in Parlamento!

Giuliano Granato: In termini materiali si tratta di una risposta, necessaria anche se non sufficiente, a uno dei problemi che affligge la maggioranza dei “nostri”: i bassi salari. Dovuti alla concomitanza di almeno tre differenti fenomeni: l’estesa presenza di lavoro nero e irregolare, che tocca 3 milioni di persone, produce una parte importante della ricchezza italiana ma restituisce ai lavoratori a nero o grigio solo pochi spiccioli; la precarietà dilagante: se lavori solo 3 mesi all’anno o sei costretta/o a un part-time anche una paga oraria di 10€ l’ora non ti basta per andare avanti; la presenza di contratti regolari, spesso firmati dai principali sindacati italiani, che prevedono stipendi che a volte non superano nemmeno la soglia di povertà (gli esempi più tipici sono il CCNL Multiservizi, Vigilanza e Servizi Fiduciari, Turismo, ecc.).

Nello specifico un salario minimo di 10€ lordi permetterebbe di affrontare immediatamente l’ultimo fenomeno e indirettamente i primi due. Chi oggi guadagna 4,6€ o 6,5€ lordi l’ora sa quanto l’introduzione di questa misura di civiltà migliorerebbe concretamente la propria vita.

Il segnale che riceviamo dai primi momenti di banchetti sono estremamente positivi: tante persone che si fermano, chiedono, vogliono socializzare la propria esperienza – anche a mo’ di sfogo, firmano. Il problema dei bassi salari, cioè, è percepito come tale non solo all’interno di ristretti circoli politici, ma in ampi settori sociali. Questo accade perché, mentre altre contraddizioni non le viviamo in maniera diretta ma attraverso la mediazione del potere mediatico, l’esperienza lavorativa la portiamo direttamente sulla nostra pelle (o quella di persone super-prossime: figli e figlie, fratelli e sorelle, compagni di banco a scuola), per cui la capacità di incidere dell’ideologia della classe dominante è inferiore.

Il segnale che diamo è innanzitutto che c’è uno spazio politico che si impegna su uno dei bisogni chiave di ampie masse di popolazione. Che non si fa dettare l’agenda dal potere politico-mediatico, ma prova a costruirsi a partire da ciò che impara a rapporto con la classe lavoratrice. In secondo luogo, il percorso che abbiamo scelto – una Legge di Iniziativa Popolare – è per certi versi più importante del merito stesso della LIP: in ogni momento pubblico, in ogni iniziativa abbiamo il dovere di non illudere chi viene ad ascoltare e firmare; il risultato non lo portiamo a casa semplicemente con le 50mila firme necessarie, né se in Parlamento effettivamente dovessero discutere della nostra proposta (cosa tutt’altro che scontata); apriamo la porta alla possibilità di trasformazione se e solo se riusciamo a costruire rapporti di forza diversi da quelli di oggi in cui i lavoratori sono schiacciati dal potere del capitale. Ecco che la campagna per il salario minimo diviene strumento eminentemente politico per costruire un pezzo di questo ribaltamento. In politica non contano le belle parole o le firme; contano i rapporti di forza. E avere 50mila firme o 50mila persone disponibili a mobilitarsi per il salario minimo è assai differente.

L’alluvione in Emilia-Romagna ha visto una attivizzazione tempestiva di Potere al Popolo. A che punto è la riflessione/azione sul mutualismo e l’emergenza ambientale?

Marta Collot: L’emergenza in Emilia Romagna ha messo in evidenza in modo lampante sia le conseguenze del cambiamento climatico contro cui nessuno sta facendo niente sia il fallimento del sistema Emilia  targato PD. Che non si tratti di una tragedia inaspettata ma annunciata gli abitanti colpiti lo sanno. La sfida è  trasformare questa rabbia  in organizzazione e opposizione popolare per fare in modo che davvero non succeda mai più . Per questo fin da subito ci siamo attivati per portare fisicamente aiuto concreto alla popolazione colpita organizzando ogni giorno delle brigate di solidarietà, ma indicando anche i responsabili e chiedendo verità  e giustizia per le vittime. Per questo il 2 giugno siamo scesi in piazza a Bologna per un cambio di rotta radicale, pretendendo che i soldi che oggi vengono  destinati alla guerra  o a grandi opere inutili vengano invece investiti per la messa in sicurezza del territorio.

Giuliano Granato: Sull’alluvione in Emilia Romagna, voglio sottolineare innanzitutto l’orgoglio e l’onore per avere la possibilità di rappresentare una comunità che è stata quella più presente in termini di concreto sostegno alle popolazioni e al territorio colpito dall’alluvione.

Questo spirito solidaristico permea Potere al Popolo e mi pare un tratto quasi antropologico per certi versi distintivo e per altri una solida base su cui costruire un progetto politico che mira a mettere al centro di un nuovo modo di organizzare le nostre vite la cooperazione al posto della competizione. E, per fortuna, la spinta ad “aiutare”, non è propria solo della nostra organizzazione, ma di ampi strati di società. A chi rimprovera ogni giorno i giovani di poltrire sui divani, direi di farsi un giro in Romagna e di vedere quanti si sono recati lì da tutta Italia per rendersi “utili” a chi ha sofferto i frutti malati di cambiamento climatico e gestione criminale del territorio.

La solidarietà sprigionatasi all’indomani dell’alluvione ci permetterà di affrontare meglio anche la discussione sul mutualismo nel corso dell’Assemblea Nazionale.

Quando è nata Potere al Popolo è nata con un’idea di fondo: l’unità popolare la si costruisce non tanto con l’unità tra le sigle e le organizzazioni, perché la frammentazione non è meramente quella politica e organizzativa. Si tratta, invece, di atomizzazione sociale. Da qui volevamo ripartire, per ritessere un tessuto ormai sfilacciato. Il mutualismo è uno degli strumenti per poter affrontare questo problema. Ci permette di costruire innanzitutto inchiesta insieme ai settori con cui vogliamo costruire l’orizzonte futuro; di riconquistare la fiducia in noi e nelle possibilità stesse della trasformazione: fiducia che non viene fuori dalla condivisione di quanto scritto in un volantino, ma dalla partecipazione in prima persona a un processo che effettivamente permette di trasformare un luogo (ancora: l’esempio della Romagna), di costruire strutture non solo fisiche, di essere “utili” ai nostri.

Ma il mutualismo serve anche a individuare nel corso della lotta per la trasformazione i nemici che ci impediscono di raggiungerla. Per questo il mutualismo, nella nostra visione, nel suo complesso, o è conflittuale o semplicemente non è.

Quanto tiri su una Camera Popolare del Lavoro e dai sostegno a una lavoratrice ti rendi conto che o cambi la struttura del mondo del lavoro o potrai limitarti solo a rintuzzare gli attacchi; quando tiri su un ambulatorio popolare puoi salvare letteralmente vite, ma ti rendi conto che questo obiettivo non può essere lasciato alla buona volontà di una comunità, ma dev’essere scolpito nella pietra dello Stato che vogliamo costruire e per questo serve una sanità pubblica finanziata, forte, efficiente, gratuita; quando vai a spalare il fango in Romagna ti rendi conto che dovrai farlo altre mille volte in altri luoghi se non trasformiamo un sistema di potere che, indifferentemente che governino destra o sinistra, è supino dinanzi a palazzinari, costruttori, grandi imprese del fossile.

Il mutualismo è, non a caso, una delle “stelle” che ci devono guidare nella notte.

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