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Chi verrà dopo Ursula?

La geografia politica europea sta cambiando significativamente e le prossime elezioni europee ne saranno un test significativo. Le forze di destra, come ampiamente prevedibile in un apparato reazionario come la Ue, guadagnano terreno.

Le forze eredi della socialdemocrazia stanno declinando anche nei paesi che ne sono stati il modello (vedi Scandinavia ma anche la stessa Germania).

I partiti moderati e cattolici arrancano e sentono forte il richiamo della foresta della destra, anche se da decenni nessun comunismo sembra minacciare l’Europa.

I partiti della sinistra europea si sono suicidati politicamente sulla guerra in Ucraina andando in ordine sparso ed evitando di schierarsi apertamente contro l’invio di armamenti a Kiev.

Le convergenze tra le principali forze presenti al parlamento di Strasburgo appaiono più consolidate sul terreno ideologico che su quello delle scelte economiche e sociali per la Ue. Qui, come spiega nell’articolo di Guido Salerno Aletta che pubblichiamo di seguito, si sono incagliati ritardi e nodi irrisolti che peseranno come macigni.

La cosiddetta “maggioranza Ursula” alla quale si sono attaccati come cozze su uno scoglio tutti i fondamentalisti europeisti, appare molto ma molto in bilico.

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Le elezioni al Parlamento europeo del 2024, con Partiti ed Alleanze storiche in crisi

di Guido Salerno Aletta (Editorialista dell’Agenzia Teleborsa)

Sono finiti da un pezzo i Bei Tempi, quando il Partito Popolare Europeo da una parte ed i Partiti Socialisti dall’altra dominavano le famiglie politiche: prima alternandosi alla guida e poi unendosi per resistere alle tendenze divaricanti portate dai due gruppi di destra, Conservatori ed Identità e Democrazia, e da formazioni nuove come gli Ecologisti e Renew Europe.

La attuale Presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, fu eletta in extremis dal Parlamento europeo, con i voti determinanti dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle che fino ad allora non avevano aderito a nessun Gruppo: fu quella svolta, decisa autonomamente dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a creare una frattura insanabile nella maggioranza giallo-verde che sosteneva il suo governo.

Fuori la Lega, il Pd subentrò nel sostegno al Conte-bis. Le continue divergenze, non potendo indire le elezioni anticipate per via dell’epidemia di Covid, portarono al governo di Mario Draghi: le elezioni di settembre scorso hanno visto il successo di FdI guidato da Giorgia Meloni.

La candidatura della Von der Leyen fu sostanzialmente imposta dal Presidente Francese Macron, che non voleva lasciare spazio al candidato ufficiale del PPE, il tedesco Manfred Weber: era una ripicca la sua, per via dell’opposizione tedesca al progetto francese di un profondo rimescolamento politico.

L’idea di Macron era di presentare liste elettorali omogenee in tutti i Paesi per le candidature al Parlamento europeo, invece delle solite liste dei singoli partiti nazionali i cui eletti si sarebbero solo successivamente aggregati in Gruppi parlamentari.

Fatto sta che Ursula Von der Leyen si mostrò assai grata a Giuseppe Conte per i voti ricevuti dagli eletti nel M5S, e si sdebitò con i fondi del PNRR: una generosità di cui beneficiò il governo Draghi che provvide ad integrare sostanziosamente la lista degli obblighi da rispettare da parte italiana. Giorgia Meloni, subentrata nella gestione del PNRR, sta cercando invano di incassare la terza rata: si susseguono le verifiche, come pure i rinvii.

Ma anche sul tavolo di Bruxelles, nel frattempo, si sono accumulati i ritardi: il nuovo Trattato sul Mes non è ancora decollato, a causa del rinvio ad ottobre dell’esame della ratifica che è stato deciso dal Parlamento italiano; il varo del nuovo Patto di Stabilità è fermo; le nuove regole sulle migrazioni non sono state approvare, nonostante gli sforzi di mediazione compiuti dalla Presidenza italiana. Manca il completamento delle regole dell’Unione bancaria, ancora monca del pilastro relativo alla tutela dei depositi.

Paradossalmente, poi, dopo aver vietato i salvataggi bancari da parte degli Stati, i cosiddetti bail-out, la nuova versione del Mes prevede tra le finalità il sostegno al Fondo unico di risoluzione: cacciato via dalla porta principale, il salvataggio pubblico delle banche rientra così dalla finestra, di soppiatto, sperando che nessuno se ne accorga.

Si fa già un gran parlare degli equilibri nel nuovo Parlamento europeo, tessendo possibili alleanze per il 2024, ma le prove elettorali recenti sono state poco lusinghiere per la attuale “maggioranza Ursula”.

In Italia, le elezioni hanno visto un continuo deperimento del consenso nei confronti del M5S, mentre il successo di FdI ha compensato i risultati deludenti della Lega ed ancor più quelli di FI che aderisce al PPE.

L’idea che circola, quella di sospingere FdI ad aderire al PPE sganciandosi dalla alleanza stretta in Europa con il Gruppo dei Conservatori di cui Giorgia Meloni è leader, sarebbe soltanto una stampella per una storica formazione che appare in crisi: mentre in Italia è ai minimi storici, in Francia non è mai esistito un partito di massa aderente al PPE.

In Francia, il RN è uscito rafforzato sia nelle elezioni presidenziali, dove Marine le Pen è arrivata ancora una volta al ballottaggio con Emmanuel Macron, sia nelle legislative. Mentre il Partito gaullista è risultato praticamente svuotato, perdendo voti sia a destra verso il RN sia verso la componente centrista del Presidente Macron, il Partito Socialista è praticamente scomparso a favore della alleanza di sinistra denominata NUPES, guidata da Jean Luc Melenchon.

In Germania, la CDU è attualmente fuori dal governo dopo i tre mandati della Cancelliera Angela Merkel alla guida delle Grandi Coalizioni tra CDU-CSU e SPD. La coalizione “semaforo” guidata dal socialdemocratico Olaf Scholtz è infatti sostenuta solo da Verdi e Liberali.

Tra l’altro, in recenti test a livello locale AfD ha ottenuto successi elettorali in Turingia e in Sassonia-Anhalt, dove per la prima volta ha conquistato un presidente di distretto ed un sindaco. Secondo un recentissimo sondaggio dell’Insa, AfD potrebbe raccogliere il 21% dei consensi a livello nazionale, diventando la seconda forza politica della Germania dietro alla CDU-CSU che viene accreditata al 25,5%.

L’SPD arriverebbe al 19%, mentre i Verdi sarebbero al 14,5% e la Linke al 5%. I liberali dell’FDP manterrebbero il 6,5% dei suffragi. In teoria, con una svolta a destra oggi alquanto improbabile, una futuribile alleanza tra CDU-CSU ed AfD arriverebbe al 46,5% dei consensi.

C’è di nuovo, in Grecia, il successo schiacciante riportato da Nuova Democrazia nelle elezioni politiche del 25 giugno scorso con il 40,5% dei voti, che equivalgono a 158 seggi nel Parlamento di Atene sui 300 disponibili, grazie a una riforma elettorale che assicura un premio di maggioranza tra i 25 e i 50 seggi al partito vincitore.

Invece Syriza, il partito che guida la sinistra, non è arrivato che al 17% dei consensi. Se il partito popolare guidato da Kyriakos Mitsotakis, che presenta chiare caratterizzazioni di destra, dovesse bissare questo successo alle elezioni per il Parlamento europeo nel 2024, potrebbe influire sulle alleanze del PPE.

D’altra parte, anche in Spagna si prefigura uno scenario assai simile a quello della Grecia: in vista delle elezioni politiche anticipate che si terranno il 23 luglio, si stima che il Partito popolare aumenterebbe di molto i consensi precedenti, essendo accreditato del 30% dei suffragi. Vox, partito della destra sovranista, arriverebbe al 17%.

Questi due partiti potrebbero governare insieme il Paese, ma una prospettiva di forte spostamento a destra impensierisce l’elettorato, favorendo un certo recupero del Partito Socialista nei sondaggi.

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