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Turismo di massa e affitti turistici. Contraddizione lacerante per le città e gli abitanti

Un nostro lettore, Simone, ci ha inviato una lunga e significativa lettera sulla questione “overtourism” che più volte – e da tempi non sospetti – abbiamo trattato sul nostro giornale.

Simone, lavoratore in contratto di solidarietà da anni, possiede una casa vacanze gestita da B&B in un quartiere semiperiferico della Capitale e dalla quale riceve un reddito che va a integrare quello da lavoro che, immaginiamo, sia ridotto da tempo a causa del contratto di solidarietà. La situazione del nostro lettore è tutt’altro che eccezionale, anzi costituisce da decenni una condizione comune a milioni di lavoratori e lavoratrici.

Nella sua lettera contesta le campagne stampa tese a demonizzare gli affitti turistici e le case affidate a B&B, soprattutto in questa estate che ha visto esplodere le proteste degli abitanti in alcune mete turistiche sottoposte a quello che viene definito “overtourism” e che si può tradurre più semplicemente come turismo di massa.

La lettera offre lo spunto per una discussione di merito che ci interessa molto e che un recente libro – Prigionieri del mattone – ha declinato in modo completo ed esaustivo sviscerando tutte le contraddizioni – e le maledizioni – relative alla questione abitativa nel nostro paese.

Il nostro lettore affianca ad osservazioni accettabili delle sottovalutazioni che lo sono meno. Il suo punto di vista della realtà delle cose è indubbiamente maggioritario nel senso comune della nostra società, ma ciò non significa che sia quello giusto. Il problema è sempre la prospettiva da cui si guarda alla realtà.

Simone scrive che “certamente esiste il problema drammatico ed innegabile della casa per le famiglie, ma canalizzare su un solo comparto ogni genere di responsabilità, agli occhi attenti di chi di quel comparto fa parte, appare come un’attività delatoria, dannosa e alquanto sospetta”.

In questo c’è del vero e del non vero. Sicuramente l’emergenza abitativa – che però si riproduce da decenni diventando ormai norma e non emergenza – non dipende solo dal boom degli affitti turistici ma anche dal fatto che migliaia di abitazioni affittabili sono state sottratte alla domanda di case in affitto di famiglie, genitori single, studenti e lavoratori fuorisede ormai impossibilitati ad accedere agli affitti, sia per la scarsità di case messe a disposizione (nonostante un numero di case sfitte enorme) sia per i prezzi degli affitti stessi.

Ed a questa riduzione della disponibilità di case in affitto per abitanti e residenti, ha contribuito molto anche la grande diffusione degli affitti turistici. Chi affitta ai turisti ha meno problemi che con inquilini stabili e le “variabili” che rappresentano, le relazioni sono mediate dalle piattaforme e ridotte al minimo, le possibilità di incasso sono superiori e più garantite – tolte le commissioni – dalle piattaforme stesse. Certo spesso i turisti sono vandalizzanti più di una famiglia o di studenti fuorisede, ma il gioco sembra valere la candela.

Un ragionamento individualista, come quelli incentivati da anni di cultura “proprietaria” che ha soppiantato sia quella produttiva che quella collettiva, porta a dire che questa è la soluzione migliore per “mettere a valore un immobile di proprietà”.

Ma qui si aprono almeno due problemi. Se la vastità del fenomeno fosse limitata non farebbe danni, ma se invece si estende – e si è estesa di molto – mette in aperta contraddizione un interesse individuale (messa a valore del proprio immobile) con quello collettivo (la domanda di case in affitto). E su questo la contraddizione appare insanabile.

Questo ha già generato e sta generando problemi. La pervasività degli affitti turistici nei centri storici delle città e nei quartieri vicini, produce una desertificazione sociale e uno stiparsi di turisti in queste zone. Incredibilmente anche i quartieri “bassi” del centro di Napoli stanno subendo questa trasformazione violenta dopo che per decenni è stata l’unica città in cui “i poveri” abitavano ancora nel centro. E’ una sorta di pulizia etnica e sociale che si va producendo sotto i nostri occhi. I benpensanti ne saranno felici, noi meno.

Non solo. L’espulsione degli abitanti dal cuore delle città, le consegna a soggetti come i “consumatori dinamici” (così Benetton definì i turisti negli anni Novanta in cui con le privatizzazioni si comprò Autostrade, Grill e Grandi Stazioni, ndr), ma che hanno un rapporto temporale, strumentale e relativo con le città o le località turistiche che visitano. A Roma, secondo alcune ricerche, i turisti che vengono per vedere il patrimonio archeologico sono una minoranza.

E poi veniamo ai cosiddetti benefici del turismo di massa o overtourism.

Simone afferma che dagli affitti turistici le “amministrazioni percepiscono enormi introiti dalle tasse di soggiorno”. Purtroppo non è affatto così. Il Comune di Roma ad esempio, raccoglie solo tra i 110 e i 125 milioni all’anno di tassa di soggiorno su un giro d’affari di oltre 5,5 miliardi (secondo altre fonti 6,7).

E questo è un dato importante, perché è l’unico effettivo beneficio che l’intera città riceve dal disagio di dover convivere con un turismo di massa e devastante. Anni fa proponemmo che questa tassa diventasse una “tassa di scopo” destinata alle periferie, cioè a quella parte di città che non beneficia in alcun modo del turismo ma ne subisce tutti i disagi (sulla riduzione dei trasporti, la raccolta dei rifiuti etc etc).

Difficile poi sorvolare sui profitti che vengono incassate all’estero dalle multinazionali OTA (Online Travel Agency), così come sul loro livello di evasione fiscale nel nostro paese dove convogliano milioni e milioni di persone.

Questa discussione potrebbe continuare a lungo e le opposte  argomentazioni potrebbero incrociarsi per intere giornate. Solo per affrontare il tema delle soluzioni (ad esempio come si riduce il turismo di massa? Con i ticket di ingresso o creando un clima malevolo e deterrente per i turisti?) ci vorrà del tempo, creatività e indagini sul campo.

Ma questa discussione, anche sulla spinta delle proteste popolari contro il turismo di massa, finalmente si è aperta e ci auguriamo che il nostro giornale possa contribuire ad essa. Pertanto ringraziamo Simone della lettera e invitiamo altre ed altri a prendere parola.

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La lettera di Simone alla nostra redazione

Neanche un mese fa, i muri del Quadraro Vecchio dove ho la casa destinata a locazione turistica, uno dei quartieri più importanti della storia della Resistenza di Roma, sono stati riempiti di scritte contro la gentrificazione e, in particolar modo, contro il turismo e i “bed and breakfast”. Queste scritte – tra cui deliranti stelle a cinque punte, falce e martello e la “sempreverde” scritta “BR” – hanno deturpato per sempre un magnifico intervento artistico realizzato nel 2010 dal Comune di Roma, che aveva coinvolto artisti di tutto il mondo per la realizzazione del primo progetto di museo diffuso integrato nel tessuto sociale.

Non riesco a determinare il momento storico in cui siamo passati dall’urgenza di attrarre maggior turismo, sfruttando l’immenso patrimonio naturale, artistico e culturale del nostro paese, all’urgenza di contrastarlo con ogni mezzo possibile. Certamente, non si può non individuare nella stampa un ruolo cruciale nella diffusione di questo messaggio.

Pur comprendendo l’umana necessità di dover mettere in tavola la cena, resta un mistero come sia possibile che la responsabilità di ciò che, molto genericamente, viene perimetrato nel fenomeno dell’”overtourism” possa essere unicamente individuata nel profluvio di articoli “copia e incolla”, contro quelli che, altrettanto genericamente e a prescindere dalla nomenclatura e dai diversi regimi legali e fiscali, vengono chiamati “b&b”.

È sufficiente fare una ricerca per accorgersi che per il giornalismo intero, il problema principale dell’Italia non è l’inflazione galoppante né l’evasione crescente e inarrestabile di un sistema che premia sistematicamente chi elude il fisco. Il vero problema dell’Italia non è la guerra in Ucraina né l’escalation di sangue in Medio Oriente. E no, il problema non sono neanche i quattro morti al giorno sul lavoro né il dilagare delle droghe sintetiche. Nel nostro paese, come direbbe “Johnny Stecchino”, il vero problema, come per il “traffico” a Palermo, sono i “b&b”.

Mi domando: esiste un momento in cui in una redazione si va oltre all’intercettare un argomento mainstream per sfruttare il fenomeno del clickbait e ci si chiede se questo modus operandi non abbia partorito già sufficienti mostri, alimentando solo la brama di capri espiatori in una popolazione economicamente frustrata e vessata e in una classe dirigente capace esclusivamente di fornire risposte populiste a problemi complessi?

Certamente esiste la necessità di regolare i flussi turistici e certamente esiste il problema drammatico ed innegabile della casa per le famiglie, ma canalizzare su un solo comparto ogni genere di responsabilità, agli occhi attenti di chi di quel comparto fa parte, appare come un’attività delatoria, dannosa e alquanto sospetta.

Sospetta perché è indubbio che l’interesse principale nel contenimento degli affitti turistici – analogamente alla lobby dei taxi che ostacola in ogni modo nuove licenze e le piattaforme come Uber – è quello delle grandi catene alberghiere. Dannosa perché va a demonizzare chi ha la “colpa” di industriarsi per sostenere o creare un proprio reddito. Delatoria perché questa attività è sempre accompagnata anche dall’accusa di evasione, arricchimento indebito e sfruttamento.

Dunque, prendiamo un caso su tutti: Roma. Da mesi, l’unica cifra che viene pubblicata strumentalmente per aggredire e imporre misure drastiche verso i “b&b” è quella riportata dal Comune di Roma, che indica in 20.000 unità le strutture destinate agli affitti turistici. Gli alloggi – non gli edifici ma gli appartamenti – secondo l’ultima rilevazione dell’ISTAT del 2011, sono circa 1.600.000 (rilevazione che non prende in considerazione i dati della cementificazione avvenuta nei successivi tredici anni, considerando che solo tra il 2021 e il 2022, sono stati erosi 70.000 ettari destinati a nuova edilizia residenziale). Restando però ai dati del 2011 e senza considerare che da allora sono stati edificati immensi quartieri come Roma Est, Porte di Roma e la nuova Fidene, la percentuale di “b&b” è dell’1,25% sul totale degli alloggi disponibili.

Riassumendo: la responsabilità della desertificazione del centro storico di Roma, dell’”overtourism”, del degrado, delle tonnellate di spazzatura che invadono i quartieri, nonché di tutta la retorica sull’”artigiano che non c’è più” e degli “anziani di quartiere che giocavano a carte al bar scomparsi a causa dei b&b” è tutta da ricondurre all’1,25% degli affitti turistici. E in ultimo, non il lerciume onnipresente né le selve che crescono sui marciapiedi né la quantità di polveri sottili che respiriamo sono il segno della decadenza nella quale versa Roma, ma bensì, i “lucchetti” fuori dai portoni. Dei “b&b” sarebbe la responsabilità delle centinaia di pullman parcheggiati in terza fila, dei “b&b” sarebbe la colpa dell’assenza di alloggi per gli studenti (ma solo fino a settembre quando i titoli diventano “per colpa degli affitti a studenti non ci sono alloggi per le famiglie”) e, ovviamente, dei “b&b” sarebbe la colpa dell’impennata dei costi delle case e dell’inservibilità dei trasporti pubblici.

Quale sia il raziocinio che porti a pensare che un idraulico o un fabbro possa trarre vantaggio commerciale con una “bottega” nella ZTL, visto peraltro che la grande distribuzione è periferica, resta un mistero. E resta un mistero come si immagini che siano i due o quattro ospiti di un “b&b” e non le frotte del turismo alberghiero a richiedere spostamenti in pullman, così come resta un mistero del perché la TARI pagata dai proprietari dei “b&b” – a fronte di un tasso di occupazione ridotto rispetto a quello di una famiglia – non sia sufficiente.

Guardando poi ai dati del settore immobiliare di Roma (ripeto, di Roma) attuali e quelli del 2001, resta avvolta dal mistero anche l’interpretazione dei costi delle case, a fronte di un mercato non solo in ribasso ma che, al netto dell’ingresso dell’euro e dell’inflazione, sono totalmente in linea con quelli di vent’anni fa.

E mentre resta un mistero anche il dono dell’immortalità che dovrebbero possedere gli anziani residenti del centro storico “che giocano a carte”, ci si chiede perché a rimpolparne le fila di questo olocausto dei falegnami o dei cromatori non vadano per primi proprio i giornalisti che a pagina quattro si stracciano le vesti perché in Italia si fanno pochi figli, a pagina cinque lanciano l’allarme perché la popolazione mondiale sta raggiungendo i dieci miliardi e a pagina sei si lamentano dell’”over turism” perché, ça va sans dir, la vacanza e la cultura è riservata all’élite e non certo ai figli degli altri o ai cinesi o ai francesi che non sanno che farsene dei nostri bidet.

Su tutti i misteri però il più grande e degno di nota è quello che regola l’equazione sui trasporti pubblici il cui sovraffollamento sarebbe da ricercare nei turisti dei “b&b”. E’ notorio infatti che se gli alloggi fossero occupati da famiglie, certamente gli autobus e le metropolitane di Roma sarebbero vuoti ed efficienti e l’evasione tariffaria – tipica del turista all’estero – anziché di 90 milioni l’anno, sarebbe a zero (come dubitare d’altronde che i romani non facciamo il biglietto).

Ma a nulla servono evidentemente i numeri. La risposta che ogni giornalista ti darà è sempre “ma cosa dici, basta guardare la mappa di Airbnb del centro, è pieno!”. Ovviamente, che sulla mappa sia indicato un “b&b” in un palazzo dove ci sono altri 30 appartamenti ad uso residenziale è un dato assolutamente trascurabile. Il “percepito” è ciò che conta, insieme a cinque secondi di pubblicità – a proposito dell’”over turism” – di una “fantastica crociera scontata del 60% per tutti i nostri lettori”.

A nulla servono i numeri in merito ai costi e ai ricavi di chi ha destinato la propria casa ad un affitto turistico. A nulla vale sottolineare che le piattaforme sottraggono il 23%, che i costi di gestione vanno ben oltre il 20% – ai quali vanno sommati i costi di pulizia e di manutenzione straordinaria, dei consumi e di ogni oggetto che gli ospiti decidono di fare proprio, arrivando a rubare anche il ferro da stiro – e a nulla vale che per ogni prenotazione (ovviamente sul lordo, senza detrazione di alcun costo sopra riportato) lo Stato chiede il 22%. E a nulla vale che a tutto questo vanno sottratti IMU e TARI e ogni costo che amministrazione dopo amministrazione ti impone, tra inutili targhette, estintori che nessuno sa utilizzare e rilevatori di monossido di carbonio e fughe di gas, anche quando la casa che affitti è interamente alimentata dalla corrente elettrica.

Amministrazioni che percepiscono enormi introiti dalle tasse di soggiorno – irrintracciabili nei servizi offerti dalle amministrazioni stesse – non solo non spendono una parola in difesa di chi rappresenta un volano economico per le amministrazioni stesse e per l’enorme indotto che generano gli affitti turistici, ma anzi si aggiungono a questa insensata aggressione, rincarando la dose e paventando divieti e chiusure contro i “b&b che fanno affari d’oro e neanche pagano le tasse”, con toni da Gestapo. D’altronde, appunto, “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

A nulla serve spiegare che il problema della casa per le famiglie non ha nulla a che vedere con gli affitti turistici (basti pensare peraltro che il regime di “b&b” è destinato solo a chi ospita pur vivendo nello stesso appartamento) e che, anche limitandoli o chiudendoli, senza una revisione radicale delle leggi che regolano gli affitti a lungo termine, l’unico risultato che verrà ottenuto sarà quello del crollo del mercato immobiliare con tutte le criticità che questo comporterà su famiglie, banche e imprese, nonché ovviamente su chi con questo reddito si sostiene e su tutti i comparti dell’indotto.

E a nulla soprattutto serve evidenziare che gli affitti turistici – non la gestione degli affitti turistici che rappresenta tutt’altra scena imprenditoriale e speculativa – sono un sostegno all’erosione del reddito e che spesso rappresentano l’unica alternativa in un mercato del lavoro che quegli stessi giornalisti descrivono come inaccessibile e vessatorio.

La guerra alle locazioni turistiche, dati alla mano, non trova riscontro con l’oggettività. Questa guerra rispecchia un sistema da sempre incapace di gestire i cambiamenti e il cui unico interesse è fare muro, garantendo così a chi ne beneficia, nei secoli dei secoli, un immutabile status quo. Che siano i monopattini, il car sharing o piuttosto lo smartworking, la stampa – a prescindere dall’orientamento – si ritrova sempre compatta nella difesa di un’economia che troppo spesso rispecchia gli interessi dei propri editori e dei loro azionisti.

Certo che la presente sarà inascoltata e che nessuno si porrà il dubbio quantomeno su questa univocità delle voce contro i “b&b” che ogni giorno produce tonnellate di aggressioni a mezzo stampa e restando in attesa di leggere l’ennesima “inchiesta sugli affitti brevi”, il Moloch dei nostri tempi (scritta ovviamente durante le vacanze in un “b&b” del quale non dubito verrà fatta anche una recensione “bello tutto, ma le pantofoline non erano della mia taglia, spiace devo dare una sola stella”), auguro a tutti buone vacanze e per chi ha un maledetto b&b, buon lavoro.

Simone
51’anni, impiegato, in regime di “solidarietà espansiva” da 15 anni

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1 Commento


  • Paolo

    si ho capito tutto ma se è una cosa così orrenda affittare camere perché non fitti a una famiglia Simone? io faccio così a Salerno, proprio sul mare dove potrei fare tranquillamente l’affittacamere…pago la cedolare secca al 21% non è che le tasse le paghi solo tu e mi accontento di quello che possono pagare i miei inquilini. senza parlare di massimi sistemi…

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