Ci sarebbero migliaia di informazioni prelevate dalle banche dati strategiche nazionali, stando alle indagini della Direzione antimafia di Milano e della Direzione nazionale antimafia sullo spionaggio di segreti bancari, giudiziari e industriali che ha portato a quattro misure cautelari agli arresti domiciliari e due restrizioni minori sulle 13 richieste dai pubblici ministeri.
Tra gli indagati, che rispondono di concorso negli accessi abusivi della presunta organizzazione – composta da hacker, consulenti informatici e appartenenti alle forze dell’ordine – figurano due figure di spicco della finanza – Leonardo Maria Del Vecchio e Matteo Arpe – l’ex funzionario di polizia Carmine Gallo (tra gli arrestati dell’operazione) ed è indagato il presidente della Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali. Sono inoltre coinvolti anche ex dipendenti di un’altra società di investigazione, la Skp di Milano.
I giudici milanesi hanno provato a dare spessore politico a questa indagine. “Non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese” scrive il pubblico ministero di Milano Francesco De Tommasi negli atti dell’indagine sul gruppo che fabbricava dossier. Il pm parla di “soggetti pericolosissimi perché, attraverso le attività di dossieraggio abusivo” con “la creazione di vere e proprie banche dati parallele vietate e con la circolazione indiscriminata di notizie informazioni sensibili, riservate e segrete, sono in grado di tenere in pugno cittadini e istituzioni” e “condizionare dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie”
Eppure sul piano giudiziario la cosa è, al momento, assai meno clamorosa di quanto venga invece presentata dai mass media e dalle dichiarazioni della politica. La Procura di Milano aveva chiesto 13 arresti in carcere e 3 ai domiciliari ma ha ottenuto solo 4 ordini di custodia ai domiciliari e due misure cautelari minori.
Il Gip di Milano ha ridimensionato il tutto a una storia ordinaria di spionaggio industriale. Dalla Procura è stata prodotta una richiesta scritta di 1172 pagine da dove emerge non “un pericolo per la democrazia” ma solo un gruppo di truffatori capaci di vendere a prezzi alti ai loro clienti informazioni che spesso erano già reperibili su fonti open source e di pubblico dominio. Un business altamente redditizio.
“Si dovrà spiegare perchè sono penetrati intrusi privi di qualsivoglia abilitazione e nessuno si è accorto di nulla se non con ritardi clamorosi” – scrive l’esperto Umberto Rapetto su Domani – “e che hanno permesso a certa gente di arricchirsi a piene mani”.
L’inchiesta ruoterebbe attorno alle attività della Equalize srl, una società privata di business dell’intelligence fondata dall’ex agente della squadra mobile, per oltre 30 anni in servizio alla Procura di Milano, e nella quale Pazzali detiene quote. Secondo le ipotesi dei pm di Milano Francesco De Tommasi e Antonio Ardituro della Direzione nazionale antimafia, avrebbero sottratto dati e informazioni segrete anche su commissione dei clienti e dietro il pagamento di denaro. La Procura con il Nucleo investigativo dei carabinieri Varese indaga per associazione a delinquere, intercettazioni abusive, accesso abusivo a sistema informatico, corruzione e violazione di segreto.
Secondo i giudici, uno degli indagati avrebbe avuto a disposizione un “hard disk contenente ottocentomila Sdi”, ossia informazioni acquisite dalla banca dati delle forze dell’ordine. “Un macigno di informazioni che nemmeno la versione virtuale della schiena di Obelix saprebbe caricarsi sulla schiena” commenta ancora Rapetto.
La raccolta dei dati avveniva attraverso Beyond, una sorta di piattaforma creata dalla Equalize. Beyond si legge nelle carte, è un sistema che funge “da aggregatore di dati e informazioni che il gruppo di Equalize”, società al centro dell’inchiesta, “attinge direttamente da banche dati istituzionali, e in particolare da quelle in uso all’amministrazione finanziaria e al ministero dell’Interno, mediante violazione dei relativi sistemi informatici”.
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