Nella giornata di domani, fissato da tempo, è previsto un incontro in cui si presenta il filmato sulla storia del collettivo operaio Nacchere Rosse dell’Alfa Sud di Pomigliano D’arco.
Un momento di storia e di memoria che, non potevano immaginarlo i promotori, si svolgerà mentre ai cancelli di Pomigliano sono assiepati, giorno e notte, gli operai di Trasnova in lotta per difendere il posto di lavoro e anche il futuro industriale del Paese e del meridione.
Circostanza insieme dolorosa ma anche illuminante di quanto non sia per nulla ozioso riunirsi a coltivare una memoria che i fatti di queste ore dicono e’ ancora carne viva e amara di una classe che non puo’ permettersi di distrarsi, di smemorarsi.
Stampa e TV sono piene di analisi sulla crisi europea dell’auto, indotto compreso.
E in effetti i problemi ci sono. A partire dalla Germania, con l’Italia fra le economie maggiormente esposte in questo momento. Pare di capire che è tutta l’Europa ad essere nella bufera.
Da noi, insieme a moda, tessile e legno, è proprio tutto il comparto dell’auto che arranca. E preoccupa in maniera ormai persistente una Germania con alle porte una stagione di licenziamenti epocali.
Produzioni italiane sono presenti nelle catene del valore dell’industria tedesca. E ormai anche i solidi tedeschi fanno i conti con i guasti di una globalizzazione che non ha un indirizzo razionale e sociale.
Intanto fioccano i primi licenziamenti annunciati da Trasnova, azienda di logistica che, dopo che Stellantis gli ha revocato la commessa, mette fuori tra Mirafiori e Pomigliano circa 100 lavoratori.
Oggi si va a Roma per l’incontro previsto al Ministero. Mentre continua il presidio operaio ai cancelli, non so se con la forza di bloccare l’ingresso delle merci, ma a questo la loro presenza allude.
Difficile non tornare con la mente ai giorni duri ma esaltanti del blocco delle merci dei disoccupati organizzati. Con gruppi di operai che solidarizzavano e si univano ai disoccupati, con altri piu’ critici si discuteva ma c’era – viva – la lotta.
E pur nella durezza dello scontro l’idea di stare costruendo qualcosa, un’altra prospettiva, un modello sociale solidale. E invece eccoci qui, con la storia che da cultura, ridiventa presenza, lotta, per il momento anche disperazione.
Intanto Tavares si è dileguato, Marchionne è morto da tempo e l’odierna Stellantis, specie nella sua parte italiana, rischia di diventare un guscio vuoto.
La Francia, sappiamo, nella fusione ha fatto la parte del leone – ce lo aveva spiegato in una bella intervista l’operaio di Pomigliano Nello Niglio – mentre più o meno quasi tutti magnificavano l’operazione.
Licenziamento trascina licenziamento. Sono tante le ditte in appalto che hanno a loro volta subappalti, posti che rischiano di perdersi irrimediabilmente.
Del resto proprio a partire dal giorno 11 dicembre Pomigliano si ferma per 23 giorni fino al 2 gennaio. Così come Mirafiori – i giorni di stop saranno 20 dal prossimo 19 fino al 7 gennaio – poi ancora per 16 giorni si fermano Cassino, dal 19 al 3 gennaio, e Melfi 17 giorni dal 21 al 7 gennaio.
Per tanti addetti va avanti da anni, ci sono operai che in un anno totalizzano – come ci ha spiegato tante volte Antonio di Luca, intelligente avanguardia di fabbrica del Vico – pochissime ore di lavoro passando mesi in cassa integrazione.
Quando poteva e può durare questa situazione? Nessuno si è accorto di niente in questi anni?
Ora fanno la processione a quel presidio, meglio di niente certo. Però così non serve a molto. Si deve capire perché le cose hanno preso una direzione tanto difficile negli anni, per invertire la tendenza.
Il governo ora magari metterà qualche euro sul fondo a sostegno dell’industria dell’auto (lo aveva addirittura tagliato) e le opposizioni faranno richiesta di un fondo europeo alla UE.
In fondo a spingere in questa direzione sono anche organi di stampa i cui editori sono azionisti rilevanti di Stellantis, interessati a pompare nuove risorse pubbliche.
Ma cause vere stanno altrove, scelte dei produttori, investimenti, innovazione, politiche industriali e anche un approccio più ponderato con la svolta dell’elettrico che ha disorientato i consumatori.
Se guardiamo filmati come quello che sarà presentato l’11 capiamo che da quei quartieri dai quali, come uno zampillo spontaneo, spuntò dopo l’esplosione la splendida e terribile nenia della Flobert, difficilmente sgorgherà oggi una “cantata di Trasnova“.
Eppure ve ne sarebbe tanto bisogno, nel dolore di queste ore che ripropone la devastante esplosione di Calenzano. Ci interessa capire se e come, nelle condizioni certo molto cambiate, si possa rimettere al centro il lavoro.
Il suo valore e il suo peso. Sapendo che ora non tutto si gioca solo a quei cancelli ma dentro un lavoro diffuso socialmente.
Negli anfratti di città dove “nuovi operai” privi di memoria di classe portano pacchi, pizze, riparano computer e fanno mille altri lavori spesso precari.
Schiavi di profitto, come morti di profitto sono i troppi che perdono la vita lavorando. Questo lavoro vivo calpestato può rifarsi sentire, divenire una classe e premere direttamente sul capitale?
Perché sta lì lo snodo e l’esito vero di ogni lotta, quale margine di profitto erodi al capitale, quanta forza hai di incidere e di contrattare sul plusvalore con cui il capitale si remunera.
E non vale solo per mansioni manuali, devi contendere al capitale anche la scienza, oggi completamente sussunta dentro di esso. Una scienza che si faccia classe, da cui può arrivare un pensiero nuovo sulle tecnologie e su tutto il resto.
Comprendendo che Musk non è solo il miliardario su cui irride demonizzandolo il politicismo nostrano. Ma il punto più alto cui è giunta la scienza del capitale e che è a quel livello che deve elevare il conflitto un rinnovato sapere operaio.
La riflessione, a partire dalla esperienza di lotta, anche culturale e musicale, degli ex contadini divenuti operai, e il presidio al gazebo, nel freddo di quei cancelli a Pomigliano, sono più connessi e vicini di quanto possa sembrare.
* saggista
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