Si ocupasse di più di queste cose, l’Unione europea avrebbe un senso. La Comunità Europea lancia oggi a Bruxelles la Flagship ‘Graphene’, uno dei due progetti scelti tra le iniziative che per i prossimi 10 anni. Il progetto viene finanziato con un miliardo di euro, quasi un record per una nanotecnologia. Ma comunque una cifra non immensa. Stupisce solo gli ingenui il fatto che una cifra così non sia stata messa insieme da imprenditori privati. I quali, notoriamente, preferiscono aspettare che “il pubblico” faccia le scoperte, anche sulle modalità di industrializzazione, e solo dopo intervengono per rilevare i brevetti cominciare a far soldi. Senza correr rischi.
L’obiettivo è sviluppare le potenzialità del grafene e di altri materiali bidimensionali, producendo uno spettro di nuove tecnologie che possono rivoluzionare molti settori industriali.
Il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è tra i principali coordinatori dell’iniziativa e guiderà le attività di Graphene dedicate ai settori energetico e dei materiali compositi. Il progetto coinvolge anche altri partner italiani quali Fondazione Bruno Kessler, Istituto Italiano di Tecnologia, Università di Trieste, Politecnico Torino, Politecnico Milano e STMicroelectronics.
Il grafene ha innescato un’esplosione di attività scientifica fin dai primi esperimenti che meno di dieci anni fa portarono alla sua scoperta, premiati con il Nobel per la fisica nel 2010 a Andre Geim e Kostya Novoselov. «’Graphene’ è il più ambizioso programma di ricerca congiunto mai messo in campo dalla Comunità Europea: coinvolge 126 gruppi di ricerca tra enti, università e industrie in 17 paesi», evidenzia Luigi Ambrosio, direttore del dipartimento Scienze chimiche e tecnologie dei materiali del Cnr. «Le attività, suddivise in 15 aree strategiche, seguiranno una roadmap che porterà il grafene dai laboratori di ricerca alla vita di tutti i giorni con applicazioni in elettronica, ottica, dispositivi flessibili, fino ai materiali compositi e alle batterie di nuova concezione».
Fra i campi di applicazione, ad esempio, l’elettronica di consumo veloce, resistente e flessibile come ‘la carta elettronica’ o cellulari indossabili e pieghevoli, aerei più leggeri ed energeticamente efficienti.
In particolare, il Cnr coordinerà due attività strategiche. Le ricerche dedicate ai materiali compositi saranno coordinate da Vincenzo Palermo dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività (Isof-Cnr). «Il grafene è il materiale più sottile che esista in natura», spiega il ricercatore. «La sua forma, resistenza e stabilità possono essere utilizzate per creare materiali mai visti prima, provocando una rivoluzione simile a quella causata nel secolo scorso dall’utilizzo dei polimeri per produrre plastica».
Per quali proprietà il graphene è così “rivoluzionario”?
Si tratta di una materiale artificiale, da fabbricare con macchinari non proprio semplicisssimi, costituito da uno strato singolo di atomi di carbonio ordinati secondo la struttura della grafite; può essere considerato come l’elemento finale della serie naftalene, antracene, coronene, ecc. La parola grafene va quindi utilizzata per indicare gli strati singoli di carbonio all’interno dei composti della grafite. Il termine “strato di grafene” viene comunemente utilizzato all’interno della terminologia del carbonio.
Nelle prime applicazioni tentate, il grafene ha mostrato ottime caratteristiche come conduttore, ed è quindi utilizzabile per la realizzazione di sistemi a semiconduttori. Nel 2010, un gruppo di ricerca della IBM è riuscito a realizzare un transistor al grafene con una frequenza di funzionamento massima di 100 GHz e lunghezza del gate di 240 nm; Nel 2011, sempre IBM è riuscita a realizzare un transistor dello stesso materiale con una frequenza di 155 Ghz e lunghezza del gate di 40 nm. Sempre nel 2010, all’UCLA, un altro test con il grafene ha toccato il record di velocità di un transistor raggiungendo i 300 GHz.
Un secondo tipo di applicazione, invece, potrebbe riguardare gli impiani di desalinizzazione dell’acqua. Un esperimento di osmosi inversa è stato infatti condotto negli Stati Uniti dai ricercatori del Massachussets Institute of Technology. “La struttura molecolare peculiare del grafene consente di creare dei fori di qualsiasi dimensione sulla sua superficie. Questo ci ha permesso di far passare l’acqua da una parte e i sali dall’altra”, hanno spiegato i ricercatori sulla rivista dell’American Chemical Society. “La dimostrazione di questo processo di osmosi inversa non è nulla di nuovo, ma prima erano necessari equipaggiamenti ingombranti e un alto consumo energetico. Tramite il grafene, invece, il processo di desalinizzazione si può svolgere 1000 volte più velocemente e a un costo energetico pari a zero”.
(parti, nel finale, tratte anche da Wikipedia)
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Pietro
Veramente un bel articolo. Complimenti! Ho pubblicato l’articolo sul mio blog allegando il rispettivo link. Se ciò reca disturbo provvederò alla sua rimozione. Di solito uso gli articoli con licenza Creative commons, desidererei sapere se posso procedere in maniera simile anche con il vostro sito. Gradirei una vostra risposta. Vi saluto facendovi i miei migliori auguri per il vostro sito. Pietro