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Pierino, una vita nelle lotte senza perdere la tenerezza

Nella notte del 18 Ottobre 2022 il compagno Eduardo Sorvillo, da tutt* conosciuto come Pierino, se n’è andato dopo aver lottato strenuamente, per 13 anni, contro una terribile malattia. È stato troppo intenso il dolore di questi giorni, tanto da non permetterci di comunicare subito e in modo adeguato il peso della sua perdita.

Pierino è stato un comunista rivoluzionario che dopo aver militato in alcune strutture di movimento, in particolare quelle dell’Autonomia, passò nelle organizzazioni combattenti, maturando definitivamente la scelta della lotta armata, inizialmente in Prima Linea per poi confluire, in carcere, nelle Br-Pg.

Come altr* compagn*, in quella formidabile e complessa stagione di lotte, fu arrestato, torturato e condannato a più di 30 anni di reclusione accumulati in vari processi e di cui 15 scontati in carcere e 9 in regime di semilibertà.

Per inquadrare meglio Pierino all’interno di quella stagione, può essere utile un breve passaggio su ciò che ha significato, per un ragazzo di quei tempi, scegliere di lottare in maniera radicale in quel determinato contesto storico. A tal proposito riteniamo esplicative le parole di chi con lui ha condiviso lotta, militanza, galera e l’ha amato, ricambiato, ben oltre la fine di quell’esperienza.

«Quelli erano gli anni in cui vivevamo un sogno che volevamo tramutare in realtà e che con caparbietà e lucida follia eravamo pronti a gestire e portare a conseguenze estreme. Eravamo a volte consapevoli, più spesso ignari, della difficoltà di un progetto che non riuscivamo sempre ad inquadrare nelle sue linee strategiche. Perché a venti, ventidue, venticinque anni – questa era l’età media dei militanti della lotta armata, salvo sporadiche eccezioni – non era facile definire il campo di impegno e di lotta politica!

Lo scenario internazionale, a quel tempo, stava verificando una possibile alternativa socialista (in varie forme) ai sistemi dominanti. In Medioriente, in Africa, in Sudamerica, si contavano numerose organizzazioni di resistenza, di guerriglia che lottavano per la trasformazione dei rapporti esistenti e per il potere.

Tra i paesi europei l’Italia fu quello che vide il più gran numero di giovani militare nelle formazioni combattenti (o appoggiarle in maniera concreta). Ma l’Italia fu anche un “unicum’’ se consideriamo la giovane età dei quadri e dei militanti.

In altri contesti le organizzazioni armate creavano formazioni giovanili che operavano sulla base di direttive centrali e compiti che venivano loro affidati. La crescita e l’esperienza maturavano con dinamiche di inserimento graduale nelle organizzazioni. Questo accadeva in Palestina con l’Olp e il Fplp, in Sudamerica con Tupamaros e Montoneros, in Europa con Eta e Ira.

Noi eravamo noi e basta…la storia l’abbiamo scritta man mano che procedevamo, la strategia – spesso- era una scoperta che facevamo sul campo. È come se ci realizzassimo più nella pratica che nella politica.

Ci venivano affibbiate diverse etichette: «compagni che sbagliano», «ragazzi sprovveduti», «provocatori» o addirittura «fascisti». E nella migliore delle ipotesi la risposta alla nostra lotta politica era «né con lo stato né con le Br». Ma noi siamo andati avanti per la nostra strada. La risposta dello Stato fu la repressione E alla repressione la lotta armata rispondeva».

Nonostante la brutale repressione e l’uso della tortura fisica e psicologica, come tante compagne e compagni Piero non ha mai ceduto alla delazione, né ha mai barattato la sua identità di comunista con il passaggio ai circuiti carcerari di differenziazione che lo Stato usò per dividere i prigionieri rivoluzionari.

Verso la fine degli anni ’70 ed ancor più agli inizi degli anni ‘80, nel pieno del dispiegamento della repressione – tra assassinii de* compagn*, carceri speciali, torture, desertificazione sociale e politica dei movimenti e di ciò che restava delle organizzazioni combattenti – un ruolo decisivo lo ebbero i/le familiari delle prigioniere e dei prigionieri, nel sostenerli. In questo senso un pensiero speciale va al compagno Gino, suo padre, che non personalizzò mai la sua lotta a sostegno del figlio prigioniero, ma anzi si fece promotore di iniziative contro le carceri speciali, contro l’art. 90 (poi confluito nel regime carcerario del 41 bis) e sostenne in ogni modo tutt* i/le prigionier*”.

Come compagn* di Officina99 intorno al ’93-’94, iniziammo ad avere rapporti epistolari con Piero ed altri compagni prigionieri. Prezioso in tal senso fu il contributo di una compagna anch’essa ex prigioniera comunista. In quel periodo in Italia era ancora ben presente il tema della prigionia politica, con centinaia di militant* rivoluzionar* ancora dentro.

Durante un’assemblea nazionale dei centri sociali al CSOA Officina99, fu dedicato un ampio momento specifico proprio alla questione prigionieri politici.

Le proposte di lotta per un’amnistia generalizzata, purtroppo, rimasero senza continuità, nella consapevolezza che su questo tema era indispensabile il coinvolgimento proprio delle compagne e dei compagni prigionieri.

Quando Piero uscì nel febbraio del 1995 in regime di semi libertà, iniziando a lavorare nel terzo settore, si avvicinò al CSOA Officina99 e al Laboratorio Occupato SKA, diventando in breve tempo un punto di riferimento politico ed umano.

Fu tra i fondatori e perno principale del Collettivo Operatori Sociali, il quale a sua volta divenne punto di riferimento prima cittadino e poi nazionale per coloro che lavoravano in quel settore.

Lotta per i diritti delle lavoratrici e di lavoratori, per la gratuità, la qualità dei servizi sociali ed in generale contro i processi di precarizzazione lavorativa ed esistenziale erano la base della piattaforma del collettivo, che ebbe la capacità di connettersi con altre lotte, in particolare con quella di alcuni operai Fiat dello stabilimento di Pomigliano.

In questo ambito lavorativo si è dedicato fino a poco tempo fa anima e corpo, nonostante l’incedere della malattia, alla tutela dei più deboli: donne vittime di tratta e di violenza, migrant*, persone messe ai margini da questo infame modello economico e sociale.

Piero ha sempre rimarcato la necessità di un’opzione anticapitalista, verso una prospettiva di liberazione: il comunismo, quell’urgenza di comunismo che comincia dentro di noi e non rimanda al «sol dell’avvenire» ma comincia adesso, nelle relazioni sociali che riusciamo a costruire a partire dal presente, nelle lotte.

La sua sensibilità e le sue capacità politiche ed umane, la sua tenacia nel continuare a lottare e nel mettersi nuovamente in gioco, hanno permesso a tant* compagn* di crescere, di avvicinarsi sempre più ad una prospettiva politica generale, collettiva e a una critica radicale alla società nella quale viviamo.

Lo ricordiamo con il Collettivo Operatori Sociali nei 33 giorni di occupazione del Maschio Angioino nel 2011, nelle lotte contro l’emergenza rifiuti in Campania soprattutto a Gianturco durante le settimane di occupazione dell’ex Manifattura tabacchi, in prima fila negli scontri a Roma del 2015.

Ne ricordiamo la forza nel sostenere la necessità di una battaglia per rivendicare il reddito incondizionato di base, obiettivo di fase per unificare quelle figure sociali scomposte dai processi di frammentazione della classe messi in atto dal capitalismo in questi anni.

Lo ricordiamo come un militante internazionalista, incondizionatamente solidale verso le lotte di liberazione dei popoli oppressi, in particolare verso la Resistenza delle compagne e dei compagni palestinesi del FPLP, verso cui nutriva stima e grande empatia.

Negli ultimi istanti di vita, trascorsi con grande dignità e determinazione, ha voluto fare una donazione e riservare un pensiero alle donne palestinesi di Gaza, vittime di violenza. Abbiamo fatto nostra questa sua indicazione, contattando l’Unione dei comitati delle donne palestinesi, che hanno risposto inviando un saluto di commiato a Piero, compagno nostro e compagno loro.

Questo era Piero, un militante rivoluzionario del quale vogliamo ricordare anche una grande capacità di relazionarsi empaticamente con tutt* al di là delle differenze di genere, etniche, anagrafiche, senza tra l’altro «far pesare» il suo ricco bagaglio di esperienza. Così lo ricorderemo sempre, inviando un abbraccio infinito a Gino, Irene, Blessing, Annalisa e Stefano.

Ciao Piero!

Ciao Lion’!

Un grande compagno in un mondo sempre più piccolo

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