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A Primavalle serve uno sportello antiviolenza!

Gli ennesimi femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula, avvenuti negli ultimi giorni, oltre ad averci scosso profondamente, ci ricordano ancora una volta quanto la violenza contro le donne e le soggettività non conformi sia un fenomeno diffuso e strutturale. Due giovani studentesse che si aggiungono a una lunga lista di vite spezzate, e che rendono evidente l’urgenza di strumenti concreti di prevenzione, sostegno e tutela per le donne, a partire dalle nostre periferie.

Nel quartiere di Primavalle, periferia a Nord-Ovest della capitale, si sono susseguiti due femminicidi nel giro di un anno. Gli omicidi prima di Michelle Causo e poi di Manuela Pietrangeli sono stati al centro della cronaca per alcuni giorni, accompagnati – come al solito quando succedono nelle periferie – da indegni sproloqui televisivi sul degrado e la criminalità di quartieri popolari come questo.

E, come da copione, i rappresentanti delle istituzioni e della politica si sono palesati in quei giorni per le passerelle mediatiche (durante le quali giustamente la rabbia degli abitanti del quartiere si è fatta sentire), per poi sparire nuovamente e tornare a essere i grandi assenti.

In questo senso, se di degrado e di criminalità si vuole parlare, questi dovrebbero essere associati al totale abbandono da parte delle istituzioni di questo territorio e alla criminale assenza, come in tanti altri a Roma, di sportelli o centri antiviolenza pubblici a cui donne e ragazze si possano rivolgere.

Come Donne de Borgata, come comitati e realtà di quartiere e come abitanti del territorio, sappiamo infatti che anche le stesse iniziative di sensibilizzazione che portiamo avanti sul territorio non bastano per contrastare la violenza di genere, quando è tutta la società che è basata sulla violenza e la prevaricazione.

Evidentemente, a un problema strutturale come quello della violenza non si può che rispondere a livello strutturale, immaginando di ribaltare questa società violenta e ora come ora andando anche a chiedere risposte concrete alle istituzioni responsabili della salute e del benessere delle persone. E di fronte ai casi di violenza e ai femminicidi avvenuti nel territorio, come nel resto del paese, delle panchine rosse e delle iniziative tinte di rosa per l’8 marzo non ce ne facciamo niente.

Servono, invece, misure reali per il contrasto alla violenza di genere: serve educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, serve sensibilizzazione, ma soprattutto serve la possibilità di ricevere aiuto e sostegno immediato nelle situazioni di violenza, e che questa possibilità sia garantita in maniera stabile e continuativa da parte delle istituzioni pubbliche.

Al contrario, quello dei Centri Antiviolenza è uno dei settori più privatizzati in assoluto, al punto che nella nostra città, ma in generale in tutta Italia, non esiste un piano di supporto pubblico contro la violenza di genere se non sotto forma di convenzione e/o appalto a cooperative ed enti del terzo settore che ammirevolmente tentano di colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni dello Stato. Eppure, la normativa parla chiaro e Comune, Regione e Municipi potrebbero effettivamente stanziare fondi per una gestione pubblica di questi servizi, con strutture e figure professionali pagate tramite spesa pubblica.

Invece, CAV, case rifugio e sportelli antiviolenza gestiti dalle associazioni del terzo settore sopravvivono grazie a bandi pubblici, fondi europei una tantum o donazioni private, che non garantiscono continuità e stabilità nel tempo, a causa anche della lentezza della macchina istituzionale e dei vincoli di spesa e normativi previsti in tali procedure.

Non è un caso, quindi, se questi servizi sono pochissimi rispetto alle reali esigenze e rispetto alla normativa internazionale e che sono sempre meno (la Convenzione di Istanbul, in vigore in Italia dal 2014, prevede che ci sia un centro antiviolenza ogni 50.000 donne, molto meno della popolazione di Primavalle).

Oltretutto, la precarietà finanziaria connessa al taglio alla spesa pubblica – aggravata dal sostegno alle guerre e al riarmo – rende sempre più difficile pianificare interventi a lungo termine e servizi costanti nel tempo, penalizzando l’assistenza soprattutto nelle aree più periferiche della nostra città a discapito di donne e libere soggettività, peggiorando le condizioni di maggiore isolamento e vulnerabilità.

Inoltre, questa gestione privatistica genera forte precarietà lavorativa, bassi salari e importanti carichi di lavoro fisici ma anche psicologici per le operatrici, oltre che, in alcuni casi, situazioni di “volontariato” che si rende necessario per garantire l’assistenza: un’assurdità visto che stiamo parlando di servizi essenziali che dovrebbero e potrebbero essere garantiti dallo Stato che, al contrario, continua a lasciare un vuoto enorme nella loro gestione.

Un vuoto che, a volte, viene però occupato da grandi aziende private il cui obiettivo non è sostenere le donne e le ragazze vittime di violenza, ma ottenere visibilità e consenso. Un caso esemplare è quello del centro antiviolenza del Policlinico Gemelli – ospedale del Vaticano – finanziato da Wind3.

Si tratta dell’ennesimo esempio di pink-washing da parte di multinazionali, che alimenta la logica della privatizzazione della tutela e della salute delle donne e della popolazione, oltretutto delegando il contrasto alla violenza di genere alla Chiesa e alle associazioni cattoliche. Queste ultime, sempre più presenti all’interno delle strutture pubbliche, promuovono pratiche antiabortiste e che minano la libertà di scelta delle donne.

Per tutti questi motivi – e ancor di più dopo gli ennesimi femminicidi di Sara e Ilaria – continuiamo ad attivarci, come Donne de Borgata, insieme ai comitati, alle realtà di quartiere e agli abitanti del territorio. Il governo ha dimostrato che misure simboliche e puramente repressive, come le minacce di ergastolo previste dalla proposta di legge presentata l’8 marzo dal governo Meloni, da sole, non servono proprio a nulla.

Per questo abbiamo lanciato una campagna di raccolta firme a Primavalle, per chiedere alle amministrazioni municipali, comunali e regionali l’apertura di uno sportello antiviolenza: pubblico, gratuito, accessibile e continuativo.

Di fronte alla nullafacenza istituzionale, organizziamoci per ottenere lo sportello antiviolenza che ci spetta e che ci serve!

Per chi vuole aiutarci nella raccolta firme e nella campagna scriveteci su Instagram e Facebook o all’email donnedeborgata@gmail.com

Aiutaci firmando anche la raccolta firme online su change.org

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2 Commenti


  • Alessia Ciotti

    per un futuro migliore e una sicurezza maggiore per le mie due figlie femmine angelica e nicole che abbiamo sempre il coraggio di affiancarsi a qualcuno quando hanno paura


  • Irene

    perché le donne non si sentano sole

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