La scelta di organizzare l’iniziativa tenuta sabato 4 febbraio all’Anatra Zoppa a Torino – presentazione della rivista di Contropiano su «Migranti, mercato del lavoro e guerra», unita alla rappresentazione dello spettacolo teatrale "Le scarpe dei caporali" e al momento di convivialità della cena – ha risposto ad una esigenza, al contempo di metodo e di merito, della Rete dei Comunisti. Partire dai processi storici e dalle contraddizioni alte – la costruzione del polo imperialista europeo nella competizione globale – e riconoscerne le conseguenze sul terreno delle dinamiche di guerra che negli ultimi venticinque anni hanno insanguinato, come un cerchio di fuoco, i confini dell'Unione Europea; di lì, leggere le dinamiche migratorie e provare ad individuare un terreno concreto di ricomposizione dei soggetti coinvolti in una nuova ed allargata soggettività di classe, al di là del pur necessario livello solidaristico. Su questo terreno di analisi e di proposta politica, si sono susseguiti i quattro interventi del pomeriggio di sabato, quello di Valter Lorenzi della RDC, quello di Mariagiovanna Italia dell'ARCI Catania, quello di Patrick Kondé di USB Migranti e quello di Matteo De Checchi di Melting Pot.
Valter Lorenzi ha inizialmente illustrato l'approccio della Rete alla questione: la lettura della fase storica, il lavoro di orientamento politico dispiegato sui tre fronti della lotta di classe, la relazione con i settori più conflittuali e dirompenti nella nostra società. La lettura di dati sui flussi migratori ci dice che siamo di fronte ad evento mai verificatosi prima né per numeri né per modalità; allo stesso tempo, l’afflusso di milioni di migranti rappresenta anche un’opportunità per il polo imperialista europeo, che ottiene in massa manodopera a basso costo ed estremamente ricattabile. La posizione assunta dall'UE, a detta di Lorenzi, risponde ad un'immagine ideologica di sé come luogo dell'accoglienza, ma si scontra con la politica materiale e concreta fatta di trattati, accordi criminali (Turchia, Libia), neocolonialismo. Come si contrasta tutto questo? La solidarietà umanitaria e l’imprescindibile rifiuto delle logiche razziste e xenofobe sono elementi necessari, ma che vanno collegati al conflitto di classe. Antifascismo e antirazzismo, infatti, rimangono lettera morta se non collegati alla soddisfazione di interessi e bisogni materiali. Occorre lavorare con il sindacato per la conquista degli interessi – indipendentemente dalla nazionalità e dal colore della pelle – sul terreno della casa, del lavoro, dei diritti, dello stato sociale; lavorare, in sintesi, per una ricomposizione di classe.
Mariagiovanna Italia è partita dalla descrizione dell’esperienza concreta condotta dall'ARCI Catania, per sottolineare come si possa scegliere di lavorare con i migranti non perseguendo le due vie degli SPRAR o dell'organizzazione legata agli sbarchi, proprio per rifiutare l'utilizzo di una logica umanitaria e l'uso di strumenti che non permettono l'autodeterminazione dei migranti, rimanendo sempre dentro la logica dei trattati e della normativa ad essi legata e al più fungendo da “stampella” dello stato sociale. Il lavoro da svolgere è quello che deve aiutare a fornirsi di strumenti (anche linguistici) che rendano i migranti autonomi politicamente, in grado di raggiungere un grado di consapevolezza dei loro diritti e del modo in cui ottenerli, ovvero tramite la lotta.
Patrick Kondé dell'USB ha voluto affrontare la questione partendo dall'origine, cioè dal colonialismo: è da quel momento – per arrivare a oggi – che si sono sistematicamente distrutte le potenzialità di ricchezza e di autodeterminazione politica dei paesi africani. Il neocolonialismo degli ultimi decenni ne è la diretta continuazione. La situazione non può cambiare se non tramite l’organizzazione e la sindacalizzazione dei migranti, trovando i terreni comuni di lotta anche con gli altri lavoratori, precari, disoccupati. In tal senso, il 21 e il 22 ottobre sono stati importanti anche in vista di una ricomposizione di classe. Un'analisi delle leggi sull’immigrazione, a giudizio di Kondé, mostra chiaramente il loro carattere repressivo e l’ideologia discriminatoria che le sottende.
Matteo De Checchi ha raccontato del progetto del collettivo Mamadou, nato da melting pot e dall'idea di fare un reportage sul ghetto di Rosarno e sulle drammatiche condizioni di vita dei migranti, impiegati come braccianti agricoli in quella che è a tutti gli effetti una nuova schiavitù: a migliaia vivono tra la spazzatura e le baracche, senza sportelli, medici, assistenza, nulla. A partire dall’organizzazione di corsi di prima alfabetizzazione per i migranti, il collettivo, che ha trovato la collaborazione della Chiesa valdese e di USB, ha in progetto la costruzione di una scuola polifunzionale da inserire nelle tendopoli; lo spettacolo teatrale che propongono intende sensibilizzare sul tema e raccogliere fondi per realizzare questo progetto. La rappresentazione di "Le scarpe dei caporali" è stato il degno coronamento di questo ragionamento, e siamo lieti di avere portato a Torino un lavoro che merita e che consigliamo alle realtà militanti che affrontano il problema dell’immigrazione.
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