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La Tav veneziana. Utile solo al partito del cemento

E’ un’opera ferroviaria di alta velocità lunga 8 km per collegare la stazione di Mestre all’aeroporto Marco Polo. La metà del tratto è sotterraneo e interessa una zona geomorfologica delicata.

Italia Nostra ne denuncia la pericolosità «la galleria attraverserà sedimenti alluvionali dell’ultimo massimo glaciale appartenenti al sistema deposizionale del fiume Brenta, producendo un abbassamento artificiale del livello delle falde che rischia di richiamare acqua dalla costa costiero con conseguente destrutturazione dei livelli argillosi della gronda lagunare. Per giunta il progetto prevede la totale demolizione del borgo storico di Ca’ Litomarino lungo il fiume Dese”.

Non è una bretella è un cappio.

Da un punto di vista tecnico, ovvero dell’efficacia delle scelte rispetto l’obiettivo di un collegamento ferroviario e il contesto, è già stato criticato da esperti che hanno presentato osservazioni al progetto.

Prima ancora di valutare se l’opera è tecnicamente efficace bisogna valutarne l’utilità per la collettività, perché è un’opera pubblica, pagata con i soldi pubblici, per ora stimati intorno ai 500 milioni. Ma si sa che queste opere sono pensate per durare decenni, con una variante dopo l’altra, in modo da nutrire consulenti e imprese.

In linea con la favola sterile e diciamolo, per niente innovativa, delle infrastrutture come volano della ripresa economica, quest’opera oltre a devastare un territorio fragile ci indebiterà per generazioni a venire.

A chi serve quest’opera? Non certo agli abitanti di Venezia, i collegamenti con l’aeroporto esistono, e si potrebbe potenziarli con interventi meno impattanti e meno costosi. Si tratta di un’ opera volta in realtà a beneficiare il traffico internazionale, ovvero quello turistico. Anacronistico, vista la necessità di diversificare l’economia urbana di Venezia, di cui tutti si riempiono la bocca e pochissimi propongono strategie in linea con questo obiettivo. Una forza politica che si oppone al progetto è Giovanni Andrea Martini – Tutta la Città insieme

Anche il discorso di creare posti di lavoro è una favola: le infrastrutture, che si basano su un vasto impiego di prefabbricati, non sono opere che premiano il lavoro, che poi è sempre usurante, mal pagato e insicuro. Sono altri i lavori da incentivare, molto più utili, nella scuola, nella sanità, nella manutenzione.

Chi la paga? Come al solito noi perché si tratta di soldi pubblici. In questo momento tragico abbiamo bisogno di tutto, tranne che di opere mastodontiche, costose e impattanti.

Questi provvedimenti hanno la stessa bieca logica di favorire la realizzazione di opere ad altissimo costo ambientale in quanto consumano suolo, spargono colate di cemento e asfalto, senza però soddisfare bisogni collettivi concreti o incrementare il benessere degli abitanti. E come se non bastasse tutto ciò vengono create procedure straordinarie, sbrigative e sommarie, aggirando proprio l’analisi dei costi-benefici che non viene contemplata, annullando anche ogni spazio di discussione democratica.

Un approccio quello delle infrastrutture come volano dell’economia, in voga da decenni, che si è rivelato fallimentare.

Le grandi opere non sono ideate e fortemente volute perché soddisfano rilevanti bisogni sociali. La Tav Torino-Lione, la Pedemontana Veneta, il Mose hanno dimostrato in tutti questi anni di denunce, critiche e puntuali analisi scientifiche di non essere progetti indispensabili per il miglior funzionamento del paese. Altre opere, a partire dalla manutenzione della rete ferroviaria esistente, sarebbero state più necessarie.

Il confronto tra i benefici che una data opera porta a una comunità e i costi, compresi quelli ambientali, che essa deve sopportare ha dimostrato che queste opere non si sarebbero dovute fare.

E allora a chi servono? Servono alle imprese costruttrici, a quelle del cemento e dell’acciaio per continuare ad avere commesse e sulle quali i padroni delle imprese possono lucrare. Di certo non saranno gli operai ad avere un tornaconto.

C’è una connessione strettissima tra quest’opera “locale”, il Decreto Semplificazioni e il piano Italia Veloce del Ministro De Micheli; a conferma della trasversalità del partito del cemento e della speculazione.

*Potere al Popolo – Venezia

 

 

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