Menu

I paesi Baltici tra fedeltà alla Nato e crisi economica

Tra i lacchè di più sicura fedeltà ai “valori occidentali” e membri devoti dell’Alleanza atlantica nell’Europa dell’est, le ex repubbliche sovietiche dei paesi Baltici non sfigurano nel paragone con altri stati. I loro quotidiani allarmi sulla “minaccia russa” sono secondi soltanto alle “assicurazioni” dei golpisti di Kiev secondo cui decine e centinaia di migliaia di soldati russi sarebbero già da tempo stabilmente in territorio ucraino.

Ma, in questi giorni, Mosca ha proposto la propria collaborazione alla Lettonia, per garantire la sicurezza nell’area del mar Baltico. Riga sta esaminando la proposta, che riguarda non solo il tema dei trasponder, ma molte altre questioni, “dalla cooperazione con la Nato, alle risposte coordinate su una serie di sfide e minacce comuni”.

Ora, tra marce annuali in onore della Legione lettone delle Waffen-SS e divieto, di contro, del Partito Comunista, tra sbarramenti al confine con la Russia sul modello del “Vallo europeo” dei golpisti ucraini e ghettizzazione a ogni livello dei “non cittadini” di lingua russa, privi del diritto di voto, sarà interessante vedere come reagiranno alla proposta russa i nazionalisti lettoni; quelli, per esempio, che hanno promesso di “rovesciare” il sindaco di Riga, Nil Ušakov, di nazionalità russa, che appena pochi giorni fa è stato multato dal Centro per la lingua di stato, per il fatto che i membri del Consiglio municipale della capitale, sui social network, si esprimono in russo.

 

Attualmente il primo partito a Riga è il socialdemocratico “Armonia”, mentre i nazionalisti della “Unione nazionale” sono all’opposizione nella capitale. Al Sejm nazionale, i socialdemocratici, pur essendo il partito di maggioranza relativa (alle elezioni del 2014 ottennero il 23,2% e 25 seggi), sono però all’opposizione, di fronte alla coalizione (61 seggi su 100) di nazionalisti, partiti “verdi” e dei contadini: gioca a sfavore di “Armonia” il fatto di avere l’appoggio della popolazione di lingua russa, in larga parte esclusa dal voto in quanto “non cittadini”. Di fatto, tentativi di rovesciare Ušakov vengono regolarmente intrapresi dal 2009, cioè dalla sua elezione alla carica di primo cittadino della capitale lettone. Una capitale il cui Consiglio cittadino aveva proibito la parata annuale delle Waffen-SS, decisione però abrogata dal tribunale, che però non esita a condannare ex partigiani comunisti.

E, al pari della Lettonia, anche la Lituania di quegli “eroi nazionali” che, come “partigiani per la libertà della Lituania”, combatterono contro l’Unione Sovietica per tutto il periodo della guerra e fino a metà anni ’50, sta cercando di fare una sorta di censimento dei “collaborazionisti russi”. Nel paese è stato condotto un sondaggio su come si comporterebbero le minoranze nazionali in caso di attacco russo: una sorta di “rastrellamento” in cerca di “traditori”, individuati in base all’appartenenza etnica.

Precisamente, la domanda alla base del sondaggio era: “Cosa farebbero i russi e i polacchi di Lituania, se i paesi Baltici venissero attaccati dalla Russia?”. La società Baltijos tyrimai/Gallup ha intervistato 500 – 46% polacchi, 35% russi, 8% bielorussi, 6% ucraini, 2% ebrei e il restante 3% di altre minoranze – cittadini non lituani, residenti in aree del paese in cui oltre il 90% della popolazione è composta di non lituani. E’ risultato che i non lituani, alla domanda se difenderebbero il paese in caso di attacco, hanno risposto non diversamente dai lituani: il 64,8% ha detto “sì”. Nel sondaggio condotto nel 2014 tra tutta la popolazione (non solamente tra le minoranze nazionali, come questa volta) il 57% aveva detto “sì” e nel 2005, la percentuale era stata del 32%. Inattese per i sondaggisti, nota il sito lituano “Delfi”, le risposte alle domande di politica internazionale: il 52,8% degli intervistati ritiene che le azioni di Mosca rappresentino l’adeguata risposta alle mosse USA e Nato dirette contro la Russia e il 40,8% è d’accordo con l’affermazione di Putin secondo cui “la fine dell’Urss è stata la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”.

Di contro, il leader del Fronte popolare socialista ed ex vice-sindaco di Vilnius, Algirdas Paletskis, ha dichiarato alla russa “Vzgljad” che “tali sondaggi e pubblicazioni non contribuiscono né all’accordo interetnico in Lituania, né allo sviluppo delle relazioni tra i nostri paesi. L’impostazione stessa del sondaggio non è corretta”. Viktor Orlov, leader dell’Associazione lituana di storia militare, considera le domande provocatorie: “Cosa dovrebbero rispondere le persone? Dovrebbero forse dire che sono favorevoli a un possibile attacco russo? Così che verrebbero immediatamente accusati di essere una “quinta colonna”, collaborazionisti e, di conseguenza, si stringerebbe la morsa attorno a loro?”. D’altronde, continua Orlov, “le giovani generazioni non conoscono una Lituania diversa da quella attuale. E’ la loro patria e molti si considerano patrioti di questo paese: hanno ricevuto il passaporto, il diploma, guardano la tv locale; del resto, molti canali nazionali sono oscurati, dato che il punto di vista di Mosca non corrisponde allo spirito accettato in Lituania”.

Quello spirito con cui, nell’aprile scorso, il primo ministro lituano Algirdas Butkevičius e il presidente della Commissione sicurezza e difesa del Sejm, Arturas Paulauskac, avevano annunciato l’incursione di “sabotatori russi” su Juodkrantė, un piccolo villaggio nella penisola di Neringa (il tombolo che separa la laguna dei Curoni dal mar Baltico, la cui parte settentrionale appartiene alla Lituania e quella meridionale alla regione russa di Kaliningrad) assicurando che “le forze di sicurezza hanno reagito per tempo”. Dopo di che era sceso il silenzio sulla faccenda, tanto che l’ex Ministro della difesa, Rasa Juknevičienė, chiedeva su Facebook “E allora: i militari russi lanciatisi illegalmente sul nostro territorio, sono stati arrestati, o forse fucilati? O sono in prigione?”. Poi, si era derubricato il fatto a “probabile” e infine si era farfugliato che “potrebbe essersi trattato di un’incursione”, bisbigliando quindi che quelli avvistati avrebbero potuto essere sia militari russi, sia “reparti speciali senza segni distintivi di riconoscimento, che stavano effettuando manovre e si erano paracadutati”.

In compenso, è stato archiviato il procedimento contro due militari Nato che avevano quasi distrutto un taxi nel centro di Riga. Formalmente, la “causa penale è stata chiusa sulla base dell’accordo tra le parti, essendo stato risarcito il danno materiale”. A inizio giugno, il proprietario del taxi, aveva sorpreso un gruppo di soldati britannici ubriachi che stavano danneggiando la sua vettura. Due di essi erano stati fermati dalla polizia e, appartenendo alle forze che partecipavano alle manovre Nato “Saber Strike 2016”, erano stati semplicemente affidati alla sorveglianza del loro comandante.

D’altronde, non essendo questo il primo incidente occorso nel paese, di cui si sono resi protagonisti militari stranieri, la Lettonia, come pure gli altri paesi Baltici e la Polonia, dovranno abituarvisi, in vista della presenza permanente, a partire dal 2017, di battaglioni multinazionali (Canada, Germania, Gran Bretagna e USA; ma si uniranno presto Francia, Belgio, Danimarca Norvegia e, quasi sicuramente, Italia) in Polonia e nei paesi Baltici, come deciso al recente vertice Nato di Varsavia.

E qualcuno dovrà sostenere le spese di quella presenza.

Il sito news.mirtesen torna sulla questione della “compensazione” che, da tempo, Polonia, Ucraina, paesi Baltici pretendono dalla Russia, in quanto erede dell’Urss, per i danni che sarebbero stati provocati da quella che essi definiscono “l’occupazione sovietica”. La Lettonia, che la recente classifica Eurostat ha classificato al 5° posto tra i paesi UE con la maggior percentuale di poveri (16,4% sul totale della popolazione), ha ora quantificato il compenso preteso in 185 miliardi di euro. Riga si appresterebbe a valutare, oltre quelle economiche, anche le “perdite demografiche”, per alcune decine di miliardi, causate dalla “politica coloniale dell’impero sovietico e dalla colonizzazione della Lettonia tra il 1940 e il 1990”. “Soldi come farmaci; la crisi economica si fa sentire”, scrive news.mirtesen, “ma questo non è un buon motivo per esigere soldi dai paesi vicini”. Tanto più che, nota la pubblicazione, “forse l’aspetto più strano di tutta questa dubbia storia è rappresentato dal fatto che Ucraina e Polonia si ritrovino nello stesso campo: ma l’Ucraina dovrebbe alla Polonia una somma non minore per i massacri della Volinija”.

E’ evidente, scrive news-front.info, che la situazione economica delle repubbliche Baltiche le obbliga a tentare qualunque strada per cercare di far cassa. Al boom successivo alla “liberazione dall’occupazione sovietica”, con un crescita di 3,6 volte del PIL (a parità del potere d’acquisto) procapite tra il 1993 e il 2008, ha fatto seguito un lungo periodo di ristagno.

In base al “The World Factbook” della CIA, nel 2015 l’Estonia registrava un tasso di disoccupazione al 6,2%; nel 2014 il 21,6% della popolazione era classificato al di sotto della soglia di povertà; nel 2014 gli occupati erano distribuiti per il 3,9% in agricoltura, 28,4% nell’industria e 67,7% nei servizi. La distribuzione degli occupati in Lituania era nel 2012 del 7,9% in agricoltura, 19,6% nell’industria e 72,5% in agricoltura. Il tasso di disoccupazione era del 8,2% nel 2015 e del 10,7% nel 2014, con un 4% stimato di popolazione al di sotto della soglia di povertà nel 2008. In Lettonia, nel 2010 l’8,8% della forza lavoro era impiegata in agricoltura, il 24% nell’industria e il 67,2% nei servizi; nel 2015 il tasso di disoccupazione era al 8,7%, mentre non è disponibile il dato sulla popolazione al di sotto della soglia di povertà.

Lo scorso aprile, su regnum.ru, Aleksandr Zapolskis in un servizio dal titolo significativo “La Russia smette di dar da mangiare ai regimi russofobi del Baltico”, riportava alcune cifre sugli scambi tra Russia e paesi Baltici. Le esportazioni lituane di frutta e verdura in Russia, scriveva Zapolskis, rappresentano appena il 2,70% dell’export totale del paese e anche l’acquisto da parte russa del 46,3% della produzione industriale lituana è poca cosa, considerando il piccolo volume di tale produzione.

In tutte e tre le repubbliche, la produzione nazionale del periodo postsovietico è infima. Di converso, dopo “l’indipendenza”, sono rimaste in mano loro infrastrutture rilevanti: ad esempio i porti, attraverso cui passava un volume di merci di circa 100 milioni di tonnellate per cui la Russia pagava 1 miliardo di dollari l’anno che, nel 1998, costituiva il 4,25% del PIL di Lituania, Lettonia e Estonia. Nel 2014, il volume è salito a circa 150 milioni di tonnellate: 41 in quello di Riga; 36,4 a Klajpeda; 28,3 a Tallin; 26,2 a Ventspils. Sul fronte del trasporto energetico, con la fine della “occupazione” il porto lettone di Ventspils ha ottenuto “in dono” un terminale attraverso cui l’ex “occupante” sovietico pompava oltre 30 milioni di tonnellate all’anno di petrolio e derivati. Considerando che la logistica valeva 0,7 dollari al barile e che in una tonnellata ci sono 7,33 barili, per il solo transito Riga riceveva 154 milioni di dollari l’anno. Nel 2009 il volume dell’export russo di petrolio era di circa 246 milioni di tonnellate, di cui 140 attraverso i porti dei paesi Baltici: più o meno 1,14 miliardi di dollari.

Nel 2014, dai porti lettoni (Riga, Liepāja, Ventspils) è transitato il 7% dei container (circa 393 mila TEU: Twenty-foot Equivalent Unit) marittimi russi; dal lituano Klaipėda il 6,5% (360 mila TEU); da Tallin il 3,8% (209 mila TEU). Calcolando da 180 a 230 dollari a TEU, le tre repubbliche hanno intascato circa 180 milioni di dollari. Ma, dieci anni prima, il volume era quasi tre volte più alto.

Oltre petrolio, carbone e container, da quei porti la Russia scarica fertilizzanti minerali (1,7 milioni di tonnellate da Riga nel 2014; 5 mln da Tallin), prodotti chimici (1 mln di tonn. da Ventspils). In generale, fino al 2004, transitava dai porti dei paesi Baltici il 90% delle esportazioni marittime russe, che assicuravano loro il 18-19% del PIL totale, oltre al trasporto merci per ferrovia che assicurava al porto di Tallin oltre 115 mln di dollari l’anno.

Ovviamente, però, continua Zapolskis, si continua a chiedere la “compensazione” per la “occupazione sovietica”. Quei soldi fanno gola. Ad esempio: costruire da zero un nuovo porto a Riga costerebbe quattro PIL annuali lettoni. E però, al tempo stesso, non si rinuncia alle urla sulla “minaccia russa”. Ma, come nel caso dell’Estonia, ci si preoccupa se Mosca dimezza il transito di convogli merci ferroviari e li dirotta sul porto russo di Ust-Luga (nella regione di Leningrado; 160 km da Piter, ma appena 60 km dall’estone Narva) in continuo sviluppo. Lo scalo, che si iniziò a realizzare nel 2000, è passato da 0,8 mln di tonnellate di carico nel 2004 ai 10,3 mln nel 2009, agli 88 mln del 2014 e, in generale, i porti russi assicurano oggi il transito del 36% del carico di container sul Baltico.

La Russia oggi gestisce autonomamente l’export di 1/3 dei container, ¾ del gas, 2/3 del petrolio e il 67% del carbone; così che viene progressivamente riducendosi la necessità di scali nei paesi Baltici: essa è calata di 5 volte per i trasporti merci ferroviari e di 4 volte per i container. Solo nel 2015 è scesa del 21% per petrolio e derivati, del 36% per il carbone; nel primo trimestre 2016 il volume di smercio del porto di Riga è diminuito del 13,8% e quello di Tallin del 16,3%. Le prospettive per alcune decine di migliaia di lavoratori estoni del settore trasporti sono a dir poco buie e questo in un paese che conta una forza lavoro di circa mezzo milione di persone, di cui oltre 370mila nei servizi. Ecco uno dei risultati della politica “baltica”, scriveva ancora Zapolskis su regnum.ru: avendo puntato “incondizionatamente su UE e USA, sull’eliminazione e l’umiliazione dei russi del Baltico, avendo puntato sull’umiliazione della Russia, le élite al potere nei paesi Baltici hanno commesso un errore strategico, che non è più possibile correggere. Lo ricorderemo a lungo. Nonostante gli attriti politici, l’economia dei Baltici nel periodo postsovietico è stata assicurata solo grazie ai rapporti commerciali con la Russia. E la Russia ha sopportato a lungo, ha lanciato appelli, ha esortato l’élite del Baltico, ricevendo in cambio solo insulti”. Tra un paio d’anni le repubbliche Baltiche saranno ridotte al lumicino e, conclude Zapolskis, i contingenti Nato non avranno da difendere che territori desertificati.

Già, come se il vero obiettivo dello schieramento delle forze Nato sulle soglie di casa della Russia fosse quello di difendere qualcuno!

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *