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Si scioglie LeU, la solita ammucchiata spacciata per “unità”

LeU non c’è più e nessuno la rimpiangerà. L’interesse per questa morte più che annunciata sta soprattutto nel suo essere – involontariamente, come sempre – un vero e proprio paradigma della breve parabola di ogni “unità a sinistra” negli ultimi dieci-quindici anni.

Proviamo a spiegarci: l’unità è un valore decisivo per chiunque si ponga il problema del cambiamento sociale in modo concreto; uniti si può vincere o perdere, divisi la sconfitta è sicura prima ancora di giocare. Le “ammucchiate” sono un’altra cosa, e in genere danno uno spettacolo tristissimo che porta a risultati pessimi.

Fin dal primo giorno Liberi e Uguali è stata la solita “ammucchiata”. Di nomi famosi, peraltro (il che smentisce e condanna definitivamente ogni tentativo di disegnare liste elettorali intorno a un “nome” che possa salvare la patria della “vecchia sinistra”). Le avevano dato vita gli ex dirigenti del Pd nati nel “grande Pci” (D’Alema, Bersani, Speranza, ecc), gli ex comunisti rifondati di Sinistra Italiana (Fratoianni, dopo il ritiro di Vendola a vita privata), meteore come Pippo Civati e il suo “Possibile”, i due ultimi presidenti di Camera e Senato (Laura Boldrini e l’ex capo dell’Antimafia, Pietro Grasso).

Famosi per i motivi sbagliati, tutti. Perché protagonisti delle privatizzazioni che hanno smantellato buona parte del patrimonio industriale italiano, applicato quasi tutti i diktat della Troika (insieme a Berlusconi e la Lega, alternandosi a palazzo Chigi), compresso i consumi, favorito l’esplosione della precarietà, la repressione poliziesca arbitraria (Minniti viene da lì, direttamente dall’entourage di D’Alema presidente del consiglio). Insomma: famosi come nemici del popolo. Ma “di sinistra”, nella più vaga e depistante accezione usuale nel dibattito italiano.

Dunque quei nomi non hanno “portato voti”, anzi hanno fatto fuggir via la matita degli elettori. L’insuccesso elettorale, in queste ammucchiate, diventa l’alfa e l’omega della permanenza in vita o dello scioglimento. E anche se qualcuno è stato “eletto” – ripetiamo: l’unico parametro preso in considerazione – questo non è bastato a proseguire l’avventura.

Da questa (mini) esplosione pare possano sortire almeno sei (6) formazioni diverse, tutte egualmente pretendenti a “fermare l’avanzata delle destre” e/o “federare la sinistra”. Il dettaglio sarebbe superfluo, ma è bene tenerlo presente.

Civati se n’era andato subito, perché tra i non eletti. Si era dimesso anche da leader di Possibile, di cui si sono comunque perse presto le tracce a livello nazionale (persiste qualche aggregato locale, che usa il nome per interloquire alla pari con altre realtà dello stesso tipo).

Mdp (ossia Bersani, D’Alema, Speranza) punta direttamente a rientrare nel Pd, sperando che il prossimo segretario sia Zingaretti. Qui, diciamo, di “federare la sinistra” non se ne parla neppure… «Vogliamo rimetterci in discussione in un campo nuovo», hanno scritto i coordinatori del “partito”.

Laura Boldrini si era un po’ distaccata già qualche mese fa e ora è stata eletta presidente onorario di un movimento politico alquanto immobile chiamato “Futura”, di cui non sappiamo granché, tranne che il principale animatore sarebbe Marco Furfaro, con un passato in Sel.

Stefano Fassina ne era quasi uscito quasi subito, vista la sua posizione fortemente eurocritica in un consesso “europeista senza se e senza ma”. Ora ha fondato insieme ad altri “Patria e Costituzione” e viene tacciato – ovviamente – di essere diventato un “sovranista”.

Grasso pareva intenzionato a mantenere in vita la sigla, ma dovrà trovare qualche compagno di strada.

Resta Fratoianni con Sinistra Italiana, che ha dato l’addio a Leu nello stesso weekend in cui Rifondazione si chiamava fuori da Potere al Popolo. A pensar male ci si piglia, perché entrambe le vecchie formazioni – protagoniste della scissione di Chianciano, con ben altri numeri – dovrebbero fornire un po’ di carne, sangue e voti al tentativo di De Magistris. Ma restando saldamente nelle retrovie, senza mai apparire, in cambio di qualche candidatura.

L’elenco dei nomi noti si ferma qui, probabile ci sia anche qualche ulteriore frammento più in periferia.

Perché, dunque, questa triste cosa ci sembra degna nota in quanto paradigmatica di altri mille tentativi simili?

Perché dimostra che le “ammucchiate” spacciate per unità hanno vita breve, brutta e dannosa. Bruciano energie, deludono attivisti sinceri e disinteressati, ma soprattutto allontanano dal blocco sociale popolare che un tempo costituiva il retroterra solido della “sinistra”. A gente impoverita, disoccupata, precaria, senza sanità, scuola pubblica e trasporti funzionanti, non puoi andargli a chiedere – una volta l’anno o giù di lì – un voto per “eleggere qualcuno di noi”. Lo hanno fatto per una vita e queste formazioni, o perlomeno quei “nomi”, li hanno presi a calci in faccia togliendo loro diritti, certezze esistenziali e protagonismo sociale. Ovvio che non ti si filino, anzi ti considerino “nemico”. O quantomeno parte del loro problema, non certo della soluzione.

Unità è un valore decisivo, ribadiamo. Si è uniti se ci si affianca nella lotta, ci si sostiene a vicenda nelle difficoltà, se si fa fronte comune sempre (non solo quando sei disposto a venire “sotto il mio comando”), se si condivide una visione – perfettibile e da perfezionare, naturalmente, ma tendenzialmente unitaria. Altrimenti ci si prende in giro. Se ognuno può sempre fare solo quello che considera più vantaggioso per sè e il proprio gruppo – situazione impropriamente definita “plurale” – non c’è alcuna unità effettiva, né nell’immediato né in prospettiva umanamente interessante (alcuni anni, non i secoli).

Una visione unitaria necessita di un’idea di progetto paese, indicando dove e come vogliamo trasformarlo, in che direzione portarlo. Se ogni ipotesi programmatica viene invece considerata potenzialmente “divisiva” – massimamente quelle relative al’Unione Europea, dunque alle politiche economiche e al posizionamento internazionale – allora si sta cercando di fare la solita “ammucchiata”. Priva di idee, gonfia di parole, con ambizioni minime, un orizzonte breve.

Ovvero un insieme così disomogeneo da non reggere un solo giorno al di là della data del voto. E che – nel caso miracoloso di esser riuscito comunque ad “eleggere” qualcuno – si spacca i mille pezzi (molti meno, è vero) non appena deve intervenire nella dinamica politica; parlamentare o meno.

Povera LeU, andrebbe quasi ringraziata per averci fatto vedere tutto quello che non bisogna fare per costruire l’unità.

Non sembra perciò così “folle” che Potere al Popolo! sia nata per fare tutto al contrario. Di questa roba qui…

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2 Commenti


  • giuseppe suriani

    comincio a pensare che un partito di sx sia un controsenso in un sistema liberista…è come giocare a Monopoli con le regole della dama cinese….meglio un movimento che, quando una crisi si acuisce , si struttura automaticamente in qualcosa di più definito…


  • Franco Mascolo

    Ci saranno motivi profondi da esaminare, per cui non si riesce a fare vera unità ma soltanto ammucchiate che si dissolvono poi come foglie al vento? a quando una riflessione seria incisiva propositiva su questo? Franco M. Mascolo (framas43@gmail.com – Milano, ex docente ex PCI anni 60-70 (Napoli ’67 e Castrovillari – CS ’75-’78)

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