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Le elezioni del 11 novembre nelle Repubbliche popolari del Donbass

Affluenza superiore al 80% nella Repubblica popolare di Donetsk e oltre il 77% nella Repubblica popolare di Lugansk alla consultazione elettorale tenutasi ieri e a cui hanno assistito decine di osservatori internazionali, provenienti da 14 paesi. Alle 18 ora locale (in ambedue le Repubbliche, i seggi sono rimasti aperti dalle 8 alle 20) l’affluenza nella DNR aveva superato il 76% e il 72,5% nella LNR. Sia nella DNR, che nella LNR si votava per eleggere il presidente e il Consiglio del popolo.

La giornata si era aperta, come purtroppo consuetudine, con i tiri delle artiglierie ucraine; colpito in particolare il villaggio di Dolomitnoe, nelle vicinanze di Gorlovka; poco più tardi, il fuoco era stato diretto verso Krtutaja Balka e Jasinovataja.

Nonostante i tentativi di Kiev, l’affluenza è l’aspetto che ha più impressionato gli osservatori internazionali, giunti da Francia, Belgio, Grecia, Germania, USA, Italia, Russia: tutti concordi, a differenza delle cancellerie ufficiali europee, nel riconoscere la legittimità del voto e del processo elettorale, che non contraddice in niente gli accordi di Minsk.

L’osservatore finlandese Johan Bäckman ha dichiarato che l’atteggiamento delle capitali europee, di opposizione al voto nelle Repubbliche del Donbass, le rende “nemiche della democrazia” e le scopre quali dittature “del liberalismo, del blocco militare NATO, che rappresenta oggi la principale minaccia” mondiale.

La UE aveva già infatti annunciato in anticipo, per bocca della ineffabile Federica Mogherini, di non riconoscere il voto e considerarlo illegale. La “UE condanna queste “elezioni”, in quanto violano il diritto internazionale” aveva detto la novella Lady Pesch, “contraddicono gli obblighi derivanti dagli accordi di Minsk e violano la sovranità ucraina”. Secondo la Mogherini, il “Minsk-2” prevede elezioni locali esclusivamente nel quadro della legislazione ucraina, secondo gli standard OSCE e la supervisione degli osservatori ODIHR (Office for Democratic Institutions and Human Rights).

Le aveva risposto indirettamente la rappresentante della LNR ai colloqui di Minsk, Olga Kobtseba, spiegando perché il voto non contraddica agli accordi di Minsk: “I cittadini della LNR hanno fatto la propria scelta nel 2014, quando hanno espresso la loro volontà nel referendum e nelle successive elezioni, che costituirono i primi passi verso la sovranità delle repubbliche popolari”. Di contro, Kiev, “con i propri atti legislativi, ha messo fuori dalla legalità” i cittadini ucraini del Donbas. In quattro anni di guerra “il governo ucraino non ha fatto nulla, non solo per il cessate il fuoco lungo la linea di demarcazione, ma ha addirittura attaccato la cosiddetta zona cuscinetto”, in cui solo lo scorso ottobre, sono rimaste uccise quattro persone.

Anche la NATO, seguendo l’esempio dell’ambasciata USA a Kiev, non ha riconosciuto le elezioni che, secondo l’Alleanza, “contraddicono lettera e spirito degli accordi di Minsk”; secondo il solito ritornello, la “NATO sostiene pienamente la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina” e invita “ancora la Russia a ritirare le proprie truppe e cessare qualsiasi sostegno ai gruppi armati nelle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk”.

L’ex primo presidente ad interim della junta post-majdan e attuale capo del Consiglio di sicurezza golpista, Aleksandr Turcinov, ha minacciato coloro che hanno organizzato e tutti coloro che hanno partecipato alle elezioni nelle LDNR e ha detto che saranno chiamati a rispondere penalmente, secondo gli articoli 109 (Azioni volte al cambiamento o rovesciamento violento dell’ordine costituzionale o alla conquista del potere statale: fino a 10 anni di carcere), 110 e 110-2- (Violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, 8-15 anni o ergastolo), 111 (Tradimento, fino a 15 anni di reclusione) e 114 (Spionaggio, fino a 15 anni), prefigurando con ciò stesso il proprio destino e quello degli attuali nazigolpisti di Kiev.

Aleksandr Khaldej osserva su iarex.ru che, nonostante le urla di Kiev e dell’occidente e indipendentemente dalle persone che risulteranno elette alle massime cariche di DNR e LNR, l’autonomia e l’autodeterminazione del Donbass sono un fatto compiuto, legittimo dal punto di vista degli istituti della democrazia. D’ora in poi, qualsiasi forma di eventuale unione – associazione, federazione, confederazione – del Donbass all’Ucraina, o a qualunque altra entità statale, deve prender le mosse da questo fatto. D’ora in avanti, qualsiasi colloquio non potrà escludere le rappresentanze di L-DNR. “Il Donbass rappresenta l’avanguardia della resistenza antifascista” scrive Khaldej, e “se ciò riesce al Donbass, perché non dovrebbe riuscire a Kharkov, Odessa, Dnepropetrovsk o Zaporozhe?”.

Per quanto riguarda i risultati del voto, nella LNR, il 74,1% è andato al movimento “Pace per la regione di Lugansk”, fondato dall’ex capo della LNR Igor Plotniskij e guidato ora da Leonid Pasecnik; al secondo posto, il movimento “Unione economica di Lugansk”, con il 25,1%. Lo stesso Pasecnik, finora “facente funzioni” di capo della LNR e che secondo i risultati preliminari ha raccolto quasi il 69% dei voti, ha dichiarato che “Il Donbass e la Russia sono uniti e nessuno è in grado di separarli”.

Denis Pushilin, a capo della DNR dopo l’assassinio di Aleksandr Zakharcenko lo scorso 31 agosto, secondo il conteggio preliminare ha ottenuto circa il 61% dei voti. Al voto per il Consiglio del popolo della DNR, il raggruppamento “Donetskaja Respublika” ha ottenuto il 72,7%, davanti a al movimento “Donbass Libero”, con il 25,6%.

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